Schurter domina e noi ci domandiamo: che futuro ha il cross country?
Sabato scorso, in quel di Mont-Saint-Anne, Canada, si è tenuta la 30esima edizione dei Campionati del Mondo di Mountain Bike specialità cross country. Nino Schurter, leggenda vivente delle ruote grasse, ha conquistato il suo ottavo oro iridato – 11esimo se si considerano anche quelli vinti nelle categoria inferiori. Quinto consecutivo, oltretutto. Un dominio incredibile, che fa dell’elvetico il GOAT della specialità.
Schurter ha dominato la gara dall’inizio alla fine. Ha rintuzzato nelle prime tornate gli attacchi del brasiliano Avancini, poi, pian piano, è passato al contrattacco e via via ha costretto tutti i rivali, uno dopo l’altro, ad alzare bandiera bianca. L’ultimo a cedere, a due giri dalla fine, è stato il francese Stéphane Tempier. Una gara senza storia, dove lo spettacolo l’hanno dato più le doti di funambolo in bici di N1NO piuttosto che il testa a testa con i rivali. Da notare, inoltre, che l’elvetico, tra i quattro bikers che sono andati più forte sul circuito, vale a dire, oltre a lui, il connazionale Mathias Flückiger, il sopracciato Tempier e l’azzurro Gerhard Kerschbaumer, è stato l’unico a non avere problemi meccanici. Un po’ di fortuna magari anche sì, ma questo accade principalmente perché Schurter ha doti di bike handling nettamente superiori a quelle della concorrenza.
Forse l’unico momento da ricordare della gara è stato il dramma – sportivo – di Kerschbaumer. L’italiano sembrava sicuro di bissare il secondo posto dell’anno scorso dopo una grande rimonta, ma nelle ultime centinaia di metri ha forato ed è stato superato da Flückiger, Tempier e Carrod. Per il resto c’è stato veramente poco da segnalare. Quando Mathieu van der Poel non c’è, per Schurter, sovente, è un gioco da ragazzi vincere.
Un peccato l’assenza della Bestia neerlandese, poiché i duelli tra lui e Schurter, benché sostanzialmente a senso unico (a favore dell’olandese), ci hanno regalato i momenti più esaltanti di questa stagione delle ruote grasse. Testa a testa tra i due fuoriclasse, dunque, rimandato all’anno prossimo, quando oltre al Mondiale ci saranno anche le Olimpiadi, il vero motivo per cui il nipote di Poulidor ha deciso di darsi anche alla MTB.

Certamente vedere Schurter così dominante deve portarci a riflettere su quello che è l’attuale stato dell’arte del Cross Country. Dietro a N1No, in questo momento, se si esclude ovviamente van der Poel, c’è davvero poco. Non esiste un vero e proprio ricambio dopo i ritiri delle leggende Julian Absalon e José Antonio Hermida e il declino di Jaroslav Kulhavý, affossato dai problemi fisici. Questi tre erano capaci di battagliare sovente ad armi pari con l’otto volte campione del mondo, cosa che, invece, non si può dire dei pur bravi Flückiger, Kerschbaumer e compagnia.
Ahinoi, il cross country paga il continuo saccheggio che subisce da parte del ciclismo su strada. E se ai tempi di Evans ed Hesjedal, quantomeno, li portavano via che erano già éite, ora si agisce molto prima. Se andiamo a scorrere l’albo d’oro dei Mondiali juniores di specialità troviamo sia Sagan che Bernal. Ma i due fenomeni non hanno fatto nemmeno a tempo a correre un mondiale di XCO con gli U23, poiché, dopo quei risultati, sono passati immediatamente alla strada.
Con questa problematica il XCO ci convive da che è nato. Si pensi che, ad esempio, Schurter, da U23, ha perso due Mondiali su quattro disputati. Uno per mano di Trofimov e l’altro di Fuglsang. Purtroppo, però, questi due rivali non ha avuto modo di ritrovarli tra gli élite. Per prevenire ciò, sono anche state cambiate le regole della specialità, in modo da rendere lo sforzo più differente da quello richiesto su strada. La durata delle gare è stata ridotta di trenta minuti, così da penalizzare un po’ l’endurance e favorire altre qualità. Ciò dovrebbe servire per fare in modo che i bikers si plasmino fisicamente come atleti ben diversi dagli stradisti. Cosa che in parte accade anche, ma, chiaramente, se gli scout mandati dai team che si occupano di strada vanno a pescare nella categoria juniores, come nel caso di Bernal, trovano corridori ancora tutti da costruire e, dunque, il problema dell’adattabilità fisica a un’altra specialità non si pone.
Considerando questa mancanza di ricambio che il Mondiale ha esposto in maniere evidente, oltre al fatto che van der Poel, dopo il 2020, potrebbe mollare la mtb, per dedicarsi a tempo pieno a strada e cross, il futuro dell’XCO sembra un po’ plumbeo. Chissà che a dare una botta di vitalità non possa essere un ragazzo che viene da un paese, storicamente, alla periferia del ciclismo in tutte le sue specialità, ovvero la Romania.
Parliamo, chiaramente, di Vlad Dascalu, il biker classe ’97 che ha letteralmente dominato questa stagione tra gli U23. Il rumeno, già campione europeo di categoria e leader di Coppa del Mondo, a Mont-Saint-Anne ha annientato la concorrenza. Solo il secondo classificato, l’elvetico Filippo Colombo, è riuscito a contenere il distacco al di sotto dei due minuti – per appena 3″. Per trovare una superiorità simile, nel Mondiale U23, dobbiamo tornare ai tempi della doppietta di Absalon nel 2001-2002. Insomma, il giovane rumeno sembra proprio qualcosa di speciale e se continua così potrebbe essere lui il futuro del XCO.
Foto in evidenza: ©esmtb, Twitter