Francesco Moser ci racconta il suo record dell’ora stabilito nel 1984.
Incontrando Francesco Moser qualche settimana fa, anche se il piatto principale era il record dell’ora, il discorso è dapprima caduto sulle classiche del Nord. Il trentino ci ha ricordato come la preparazione dei suoi anni fosse differente da quella odierna: “Quando correvo io la preparazione era fornita dalle gare che precedevano Fiandre e Roubaix. Correvamo molte gare nel periodo precedente e poi andavamo a vedere il percorso. Una volta, però: non di più. Neanche sempre, tra l’altro. Adesso la tendenza è cambiata. Le squadre e gli atleti vanno molto di più sul luogo della gara a visionare il percorso. Anche oggi contano le gare di avvicinamento ma la rifinitura della preparazione è quella sul percorso di gara. Rispetto a quando correvamo noi è cambiato tutto, c’è poco da dire. Conoscere bene il percoso conta molto. Non ho dubbi. Poi ovviamente possono esserci variazioni climatiche, ma questo si sa a priori e gli atleti sono abituati a farci i conti“.
Lo Sceriffo aveva già individuato i nomi chiave che avrebbero potuto ben figurare: “È quasi scontato dire Peter Sagan ma va detto. Sagan è uno di quei corridori che parte sempre da favorito: quando una gara lo vede alla partenza spesso lo vede anche tra i pronosticabili favoriti. Ci sono poi John Degenkolb, Philippe Gilbert e Alexander Kristoff. Quest’ultimo mi sembra abbia una forma straordinaria: ha vinto la Gent-Wevelgem e credo possa fare un buon risultato anche al Fiandre e alla Roubaix. Anche Oliver Naesen è un nome da tenere d’occhio“. Gilbert ha trionfato alla Parigi-Roubaix, ma il Fiandre è andato ad un atleta non pronosticato. Crediamo che Moser sia il primo ad essere contento di aver sbagliato quando ha affermato che al momento non vedeva italiani favoriti per le classiche del Nord: Alberto Bettiol è stata l’autentica meraviglia di un paio di domeniche fa. Il punto di vista del campione del mondo su strada e su pista è una prospettiva privilegiata per prepararsi al tentativo di record dell’ora che il belga Victor Campenaerts ha fissato per martedì 16 e mercoledì 17 aprile ad Aguascalientes.
Dopo aver rotto il ghiaccio, il record dell’ora è diventato l’argomento principale dell’intervista. Come ricorderanno gli appassionati, lo stesso Moser rientra tra quei corridori che il record dell’ora lo hanno assaltato con successo: 51.151 chilometri fatti registrare nel 1984 a Città del Messico, strappando il primato a Eddy Merckx.

Partiamo dall’idea, Francesco. La realizzazione del record dell’ora avviene a gennaio del 1984: l’idea di tentarlo, invece, quando nasce?
Chiaramente ho sempre avuto ben presente che tipo di prova fosse il record dell’ora. Avevo anche assistito al tentativo di Ritter, dal 1975 in squadra con me. Ritter nell’anno delle Olimpiadi di Città del Messico, il 1968, aveva stabilito il record. Nel 1972 Eddy Merckx riuscì a batterlo, restando poi imbattuto fino al 1984. Molti tentarono ma nessuno riuscì a batterlo. Veniamo a me. Nel 1983 Enervit, attraverso il suo presidente Mauro Sordini, mi chiese se fossi disponibile a tentare il record, garantendo supporto a livello tecnico ed economico. Dopo il Giro d’Italia del 1983 decisi di fare questo tentativo.
Tutti si ricordavano delle parole di Merckx al termine della prova: quel “mai più” pronunciato a record conseguito. Lei, consapevole di questo, compie una scelta particolare. Ci racconti.
Certo. Il fatto è questo: sarebbe stata una cosa da matti partire per Città del Messico e tentare il record pochi giorni dopo l’arrivo. Il clima era totalmente diverso, il fuso orario era diverso, serviva il tempo per ambientarsi. Io sono arrivato a Città del Messico praticamente venticinque giorni prima di cimentarmi nel record.
Fu un periodo intenso di innovazioni tecniche.
Proprio in quegli anni era iniziata la sperimentazione delle ruote lenticolari. Inoltre si era capito che a quella velocità l’aerodinamica rivestiva un’importanza incredibile. Quando si iniziano a superare i 50 chilometri orari, il vento si fa sentire. Su velocità più basse, diciamo 30 chilometri orari, il vento invece non conta praticamente nulla. Ovviamente se il carico è esagerato si percepisce sempre, ma se parliamo di una cosa normale il discorso è questo. Faccio un esempio: quando ho iniziato a correre io, le magliette degli atleti avevano le tasche sia davanti che dietro. Parlo dei miei tempi, dei tempi di Coppi e di quelli di mio fratello Aldo. Quando stavano piegati sul manubrio davano l’idea di un “paracadute”. Assurde dal punto di vista aerodinamico. Successivamente hanno iniziato a fare magliette senza tasche e alla fine non le hanno più fatte.

Lei prova per la prima volta il record dell’ora il 19 gennaio: lo centra. Successivamente riprova il 23 gennaio.
La data stabilita era il 23 gennaio. Qualche giorno prima, invece, avevamo deciso di fare una prova sui venti chilometri per verificare il corretto funzionamento delle rilevazioni cronometriche e di tutto il resto. Inoltre era importante capire cosa avrei potuto fare in gara: un conto sono gli allenamenti, un conto la gara. Dopo venti chilometri ero in vantaggio sui nostri programmi di più di un chilometro e ho deciso di continuare. Ho battuto il record dell’ora quattro giorni prima rispetto a quanto avevamo stabilito.
Nel primo caso percorre 50.808 chilometri, nel secondo 51.151 chilometri.
Diciamo che il primo risultato era quello che potevo fare non dico tranquillamente, ma agevolmente. Avrei potuto rifarlo. Per aumentare la velocità abbiamo messo un dente in più. Aumentando la velocità è necessario aumentare il rapporto, altrimenti le gambe si impallano.
Brevissima parentesi tecnica: che rapporti usò?
Avevo il 56×15 in occasione del primo tentativo ed il 57×15 in occasione del secondo. I centimetri di sviluppo non riesco a dirli con precisione. Le ruote lenticolari erano state fatte quasi come le altre ma un poco più grandi, perciò sviluppavano più metri. Il rapporto cambia la lunghezza in base alla circonferenza della ruota. Di sicuro posso affermare che sviluppavano poco meno di nove metri.
Le cronache del periodo descrivono un clima abbastanza teso da parte di tutto lo staff. Molti dicono il più tranquillo fosse proprio lei. Come viveva le aspettative e il confronto, seppur a distanza, con Eddy Merckx?
Il record era importante da battere. Non ci sono dubbi. Merckx era Merckx: il numero uno. Non era semplice affrontare questa prova perché si rischiava molto. Se non fosse riuscito, le critiche si sarebbero sentite. Posso dire che mi giocavo tutto con quel record.
Ha avuto modo di parlare con Merckx dopo la realizzazione del record? Cosa vi siete detti?
A dire il vero Merckx non ha mai ammesso fino in fondo il fatto che in quell’occasione ho superato il suo record. Ha sempre detto che io ho corso con ruote lenticolari e con una bici completamente diversa dalla sua: anche oggi dice così. Nel film che abbiamo realizzato c’è un’intervista in cui afferma che il mio record era tutta un’altra cosa rispetto al suo.

Parliamo della preparazione tecnica al record.
Gli allenamenti veri e propri per il record li iniziai a novembre. Ero ancora in Italia. Successivamente continuai ad allenarmi durante il mio soggiorno in Messico cercando di adeguarmi anche al clima. Ricordo che praticammo un allenamento all’avanguardia per il momento storico: ripetute e allenamento forza-resistenza sviluppati in maniera completamente innovativa.
Venendo a oggi: quanto può aiutare una cronometro del Giro d’Italia o del Tour de France? Negli ultimi anni abbiamo visto che le cronometro sono state notevolmente ridimensionate.
I corridori che decidono di provare il record dell’ora devono essere dei cronomen. Devono resistere alle alte velocità, da soli, per lungo tempo. Ci sono atleti che sanno già che non potranno mai cimentarsi in una prova di questo tipo. Rispetto alle cronometro, devo dire che nei miei anni di professionismo non ho mai affrontato prove contro il tempo particolarmente lunghe. Ho fatto la 100 chilometri da dilettante, ho fatto il Trofeo Baracchi, una cronometro a coppie sempre di cento chilometri. Nei grandi giri a cui ho partecipato non ricordo ci fossero cronometro più lunghe di trenta o trentacinque chilometri. Quando vinsi il Giro d’Italia nel 1984, la cronometro conclusiva di Verona misurava quarantadue chilometri. Qui però siamo già dopo il record: fino ad allora cronometro lunghe individuali nelle corse a tappe non le avevamo mai fatte.
In chiusura entriamo idealmente in pista: come imposterà quell’ora di gara Victor Campenaerts?
Si prepara una tabella minima. Si prende come riferimento il record precedente e si cerca di migliorarlo di cento metri. Se un atleta sente di poter andare più forte ovviamente lo farà, ma il riferimento iniziale deve essere la tabella. Sulla tabella si danno i vantaggi o gli svantaggi che il corridore ha rispetto a quella. Io a Città del Messico sapevo che per battere il record dovevo correre a meno di ventiquattro secondi al giro. Durante ogni giro mi veniva comunicato il tempo, inoltre una persona si spostava sulla pista in base al vantaggio che avevo. Sono sempre stato in vantaggio. Si corre così. Adesso ci sono anche altri strumenti, ma la base è questa.
Foto in evidenza: @La voce del Trentino