Mattia Bais sogna di percorrere una luminosa carriera andando sempre all’attacco.
Quando Mattia Bais è in sella alla sua bici diventa un duro. Coriaceo come il guscio di una noce. Arriva da un piccolo paese in provincia di Trento, Nogaredo, il cui nome deriva da nux, “noce” in latino. Quando è in corsa lo vedi sempre all’attacco, con il sole o con la pioggia non fa differenza: “Non ho problemi a correre in tutte le condizioni“, ci racconta. Non è una coincidenza che il successo più importante da ragazzo lo ottiene in una giornata caratterizzata dal diluvio, a Palù di Giovo, nella corsa di casa per il Montecorona, la squadra per la quale correva quando era junior.
Ama la montagna, da percorrere in bici oppure a piedi, per lui è uguale: “Mi piace fare fatica e tenermi occupato” – ci dice – “e sono fortunato perché dalle mie parti è pieno di salite. Ne ho una preferita, tra le tante. Tredici chilometri, impegnativa ma con uno spettacolo mozzafiato, e poi d’estate c’è ombra e si sta freschi e arrivati in cima c’è pure una casetta che mi piace tanto: è il Monte Velo“. Vélo, in francese “bicicletta”.
Non ricorda il modello della sua prima bici: “So che era tutta blu, probabilmente pitturata“, ma ha ben in mente qual è la sua più grande delusione in una carriera ancora tutta da formare: “Giro del Friuli 2019. Penultima tappa. Ero fuori da una cinquantina di chilometri, in fuga. A cinque, sei chilometri dall’arrivo ho iniziato a crederci. A un chilometro dal traguardo mi sono girato e ho visto il gruppo arrivare. Mi hanno ripreso a quattrocento metri dalla linea e ho avuto come un colpo al cuore“.
In quella corsa per lui arrivò il podio finale in classifica generale – oltra alla vittoria nella classifica dei Gran Premi della Montagna – che gli darà consapevolezza nei suoi mezzi in ottica futura: “Mi vedo a curare la classifica nelle brevi corse a tappe, mentre pensare di farlo nei Grandi Giri mi sembra un po’ troppo al momento“. Grazie a quella corsa riesce anche a convincere l’Androni Giocattoli a fargli correre da stagista il calendario italiano: “Vista la forma, la squadra ha deciso di testarmi in Italia e non in Cina“. Ha potuto perciò misurarsi di fianco ad alcuni grandi corridori: “Roglič mi ha impressionato, volava, ma anche Valverde: che gamba!“. Certo, pure Bais se l’è cavata discretamente: nei venti alla Coppa Sabatini e alla Tre Valli Varesine, quest’ultima chiusa nel gruppo dei migliori di fianco a gente di un certo spessore come Roglič, Wellens, Benoot, Higuita, Latour, Caruso, Moscon e Vendrame.
Su quest’ultimo, come su Masnada, ha qualcosa da dire: “Forti, tenaci, sono due corridori che mi affascinano tantissimo“. Mentre resta perplesso e umile sul paragone che gli lanciamo con Gianni Moscon, anche lui trentino, anche lui trattore, come si autodefinisce Bais: “È vero che anche lui mena come un trattore, ma è un corridore già affermato, io devo ancora costruire la mia carriera“.
La sua storia è simile a quella di molti che hanno iniziato ad andare in bici un po’ per caso: “Mio cugino mi convinse a provare a correre nel velodromo di Mori“. E una volta salito in bici non è più sceso. Si allena in compagnia del fratello Davide: “È una fortuna avere un fratello nella stessa squadra e con cui allenarsi. Non c’è rivalità, anche se ogni tanto qualche sfida la facciamo. In salita lo stacco,” – racconta, sempre con una punta di umiltà – “sarà perché ho due anni in più?“.
Il suo punto di riferimento è De Marchi; il corridore friulano spesso si allena con il Cycling Team Friuli, la squadra di provenienza di Bais: “De Marchi è una fonte di ispirazione e in un certo senso mi rivedo in lui. Sempre all’attacco, generoso, grintoso. Anche a me piace restare per tanti chilometri a tirare in testa al gruppo oppure provare ad andare in fuga e difendermi, specialmente sui terreni mossi. Lui ha fatto cose strepitose, ora vorrei provarci anche io“.
Quel Cycling Team Friuli che grazie all’attività all’estero ha permesso in questi anni a corridori come Fabbro, Venchiarutti, lo stesso Bais e in futuro Aleotti di trovare un contratto tra i professionisti: “Con il Cycling Team Friuli sono cresciuto come corridore, ma anche come persona. Anno dopo anno sono maturato e le corse che facciamo in giro per l’Europa sono state fondamentali in questo processo. Quando vai in Romania o Polonia ti ritrovi a correre con gente che non conosci, che non sai come interpreta la gara e dunque non puoi che crescere atleticamente, ma anche mentalmente. In Italia tra i dilettanti è tutto un altro modo di correre“.
La stagione che arriva lo vedrà vestire la maglia dell’Androni Giocattoli: “Ho trovato un ambiente familiare e super organizzato, non mi hanno fatto mai mancare nulla“, e di conseguenza alle dipendenze di Gianni Savio: “Come lo vedete, lui è. Carismatico, trova sempre la parole giuste ed è un piacere ascoltarlo. È una persona importante per il ciclismo“.
Sogna di vincere una tappa al Giro d’Italia, magari proprio in Trentino. Si difende bene in salita, anche se specifica di non essere uno scalatore puro: “Sulle grandi salite faccio più fatica; preferisco le corse vallonate, magari quelle italiane di fine stagione. Come ho dimostrato in questo 2019, posso tenere duro nelle prove impegnative“. A patto di ritrovare quello spunto veloce che pare andato smarrito in questi ultimi mesi: “L’anno scorso mi difendevo anche negli sprint ristretti, quest’anno ho fatto più fatica“.
Per il 2020 la sua attenzione sarà rivolta al calendario italiano, dove lo vedremo battagliare per lui e per la squadra “Si parte a febbraio con il Laigueglia“, ci dice raggiante. Scommettiamo che lo vedremo subito all’attacco?
Foto in evidenza: ©Mattia Bais, Facebook