La velocità è il principio su cui basa la carriera Alberto Dainese.

 

Alberto Dainese è veloce come un caccia, ma l’interesse per gli aerei, trasmesso da un nonno ex aviatore, c’entra fino a un certo punto. Alberto Dainese è veloce come una moto, un’altra delle sue passioni: pistoni, valvole e cilindri lo spingono in volata fino a regimi elevati. Le conosce bene le moto, lui che, ci racconta, si diletta nello smontarle e rimontarle.

Alberto Dainese è veloce quanto basta; vorrebbe vincere sugli Champs-Élysées: “È la gara dei miei sogni, come per ogni velocista. Intanto per quest’anno spero vinca Viviani“, mentre non si sente adatto alle corse del nord, pur avendo in Philippe Gilbert uno dei suoi corridori preferiti: “La Roubaix è una corsa brutale. Quando esci da un settore sembra che ti abbiano preso a botte. Entrare nel velodromo è stata un’emozione: ma i chilometri in pavé prima? Ne abbiamo fatti trenta tra gli under, ce ne sono più di cinquanta tra i professionisti. Ho passato la giornata a inseguire e sono arrivato a quasi venti minuti dal vincitore. No, non fa per me“.

Dainese viene da Abano Terme e si appassiona al ciclismo quando già era grandicello; sale sulla bici – un telaio da corsa anni ’80 ereditato dallo zio e con i cambi sul manubrio – e inizia quasi per gioco: qualche uscita sui Colli Euganei e da lì vuole vedere l’effetto che fa. Abbandona il basket e si iscrive a una squadra della zona e da allievo inizia a vincere subito: “Capii di essere un velocista sin dalle prime corse, battere i miei avversari in volata mi veniva naturale“. Da junior, in maglia Padovani, arrivano i primi successi di peso e anche le prime difficoltà: “Ho iniziato a correre tardi e i primi mesi  furono un dramma. Mi mancava la malizia nel gettarmi in volata, il colpo d’occhio. Al primo anno una sola corsa vinta, poi la svolta al secondo: sette vittorie“.

Alberto Dainese quel feeling con le braccia alzate sul traguardo lo abbandonerà solo al suo passaggio tra gli Under 23, nel 2017: “Un anno difficile: zero vittorie, ma sono cresciuto molto come persona e corridore“. Il secondo anno parte con qualche dubbio, ma il passaggio in Zalf gli permette di fare un primo salto di qualità. Vince alla prima gara, la Firenze-Empoli, e si ripete poco dopo a San Vendemmiano, in una delle classiche più prestigiose del calendario nostrano: “È la corsa più dura che ho vinto fino a oggi, ho tenuto botta sul Ca’ del Poggio, sono rientrato sui migliori e li ho battuti.” Un successo che farebbe pensare a un corridore predestinato per le corse di un giorno: “Se in Italia posso dire la mia anche su percorsi impegnativi, all’estero e anche nelle corse che ho fatto con i professionisti, la musica cambia. Niente classiche dure: mi sento un velocista puro“.

In quel 2018 si mette in mostra con fibre da sprinter e fiuto da vincente. Al Giro conquista in volata la tappa di Valdobbiadene e il feeling con il Triveneto si rinforza settimane più tardi: vincerà anche a Spilimbergo nel Giro del Friuli, dopo un finale tortuoso. A una settimana da quella corsa inizia la sua nuova vita in maglia SEG, prima come stagista – con due vittorie e numerosi piazzamenti di peso – e poi da quest’anno come uomo di riferimento in volata, non solo per la squadra, ma per tutta la categoria. Con un ricordo che resterà indelebile: “Lo scorso anno l’emozione di lottare con Groenewegen e Greipel è stata indescrivibile. Li ho anche battuti: peccato fosse per il sesto posto.

Il passaggio in SEG, ci racconta Dainese, è stato come cambiare sport. Se prima per lui il ciclismo era un gioco, ora è un vero e proprio lavoro: “Qui è come essere tra i professionisti. Si cura tutto nel minimo dettaglio: ritiri, preparatori, ho imparato una nuova lingua e incontrato nuove culture. Si disputa il calendario internazionale, c’è programmazione e proprio per questo con la squadra avevamo deciso già a gennaio di non correre il Giro, concentrandoci sulle gare in Francia, Olanda e Belgio”.

Anche il tipo di corse – sostiene Dainese – aiutano a crescere: “Prima correvo gare per il campanile, corse di un giorno in Toscana e in Veneto, circuiti da cento chilometri. Ora invece disputo corse a tappe dove non puoi che diventare un vero corridore. Dopo sette giorni di gara sviluppi un’altra gamba. E poi le gare di un giorno all’estero mi preparano al meglio al mondo del professionismo. Un mondo che Dainese ha già assaggiato prima del salto definitivo nel 2020: “Preferisco le gare tra i grandi. Corse più lineari, meno pazze e dove alla fine si butta allo sprint chi ha le gambe. Tra i dilettanti dopo cento chilometri tutti sono buoni a lanciarsi in volata e diventa pure più pericoloso”.

Quando gli diciamo che, nel nostro podcast, lo abbiamo definito il Cavendish italiano, Dainese ride e coglie l’assist al volo, finalizza perfettamente il lavoro di squadra lanciandosi per la volata: “Appena arrivato in SEG, hanno iniziato a chiamarmi esattamente così. È vero, gli assomiglio. Un po’ per la fisionomia, un po’ per per la capigliatura. Per me è un’investitura importante: è il corridore che guardo sempre sin da ragazzino davanti alla televisione. Vincente, esplosivo, è un velocista completo: quando era al top in volata non ce n’era per nessuno“. Nell’intervista cita spesso Affini che, come lui, è passato dalla SEG prima del salto tra i professionisti: “L’esperienza all’estero la consiglio a tutti i ragazzi che ne hanno la possibilità. È un passaggio importantissimo. Qui si prende tutto più seriamente, si matura; oltre ad Affini, guardate anche Moschetti o Scaroni quanto sono cresciuti”.

In una stagione che fino a oggi gli ha visto cogliere ben cinque successi, Dainese punta tutto sull’europeo: “Si corre in Olanda e il percorso mi si addice: vorrei vincere“. Mentre ha qualche dubbio in più per il Mondiale: “È un circuito duro, al limite per me. In giornata super potrei dire la mia, altrimenti i favoriti restano altri: Pidcock e Groves restando ai dilettanti e poi dipenderà da chi arriverà tra i professionisti. Se c’è qualcuno che avrà la Vuelta nelle gambe, sarà il favorito numero uno.

Dainese va veloce e ha le idee chiare anche quando risponde a domande su un suo futuro lontano dalla bici: “A un certo punto della mia vita ho pensato di mollare tutto per continuare gli studi. In futuro spero di avere una mia attività, magari un ristorante, un’officina. Qualcosa di mio, dove possa lavorare e creare, restando indipendente“. Intanto però vuole godersi un po’ di ciclismo.

 

 

Foto in evidenza: Twitter ACCPI, Assocorridori

 

Alessandro Autieri

Alessandro Autieri

Webmaster, Fondatore e direttore editoriale di Suiveur. Doppia di due lustri in vecchiaia i suoi compagni di viaggio e vorrebbe avere tempo per scrivere di più. Pensa che Mathieu Van der Poel e Wout Van Aert siano la cosa migliore successa al ciclismo da tanti anni a questa parte.