Il ciclismo ai tempi del rock

La passerella di Parigi vede l’ultima volata vinta da Caleb Ewan.

 

Il 23 luglio 1978 Freddie Mercury si trovava a Parigi. Bicycle Race nacque quel giorno. I Queen avrebbero dovuto incontrare dei produttori proprio ai Campi Elisi. Quel giorno a Parigi, però, arriva il Tour de France: “Il tasso” Bernard Hinault vince la sua prima Grande Boucle. Gerrie Knetemann vince a Parigi. Mercury, May, Taylor e Deacon restano bloccati in hotel. Ruote barrée, non passa nessuno, neanche i Queen. Parigi è nelle mani di Felix Levitàn, organizzatore del Tour, e, per un giorno all’anno, uomo più potente della nazione: ai suoi piedi c’è la capitale di Francia. Un uomo qualunque avrebbe mandato al diavolo la corsa più importante al mondo che gli aveva fatto perdere tempo e soldi; non Freddie Mercury. Gli scatti più belli della passerella finale del Tour sono quelli che immortalano gli atleti nella curva vicino all’Arco di Trionfo: quel tratto in cui, come disse Antoine Blondin, l’unico peccato è non poter essere per qualche istante la vista dei tifosi e vedersi transitare. I fotografi più abili qui sovvertono le regole della fotografia che vuole le immagini ferme e nitide; lasciano il plotone in movimento, su uno sfondo monumentalmente radicato. Ascoltare Bicycle Race è ascoltare quella frenesia.

In quel brano si susseguono variazioni di ritmo e di tonalità. La partitura presenta un due quarti, un tre quarti e un quattro quarti. Coesistono gli assoli di chitarra di Bryan May, le batterie martellanti di Roger Taylor, i bassi “nascosti” di John Deacon e i virtuosismi vocali di Freddie Mercury. Cori e solista che si sovrastano affermando il modo di essere di quel circostante in perenne mutamento che sono gli uomini in bicicletta nei boulevards parigini. Ci sono anche campanelli di biciclette, pensate. A livello tecnico sono individuabili persino tre chiavi di si bemolle: nelle sinfonie di Liszt il punto malinconico, qui anche il si bemolle rivoluziona il naturale effetto sulle note. Genio e sregolatezza. Come il video che creò scandalo per quelle sessantacinque ragazze nude messe in sella ad una bicicletta allo Wimbledon Greyhound Stadium. Un video così sregolato che la casa produttrice che aveva noleggiato le biciclette chiese al gruppo di acquistare quelle stesse bici quando seppe come erano state utilizzate. L’assurdo più affascinante. Il singolo uscirà ad ottobre e sarà un successo. In quel luglio, nella mente di Mercury, il Tour de France era questo. Tutto questo.

Quarantuno anni dopo vi proponiamo un’inversione della visione e della percezione. Mercury vide da quella finestra d’albergo e perciò riuscì a rendere percepibile la frenetica follia del Tour de France in quel brano. Noi partiamo dalla percezione tratteggiata da quel brano, che resta in sottofondo, per arrivare a vedere i fotogrammi della Grande Boucle a Parigi.

Prima lenti: Egan Bernal brinda al via con la squadra, Peter Sagan cerca furtivo di apparire nella foto del Team Ineos, Roman Bardet e Vincenzo Nibali chiacchierano, le strade della periferia parigina in una sera anticipata, il sole si avvia al tramonto, il plotone arriva al Louvre, attraversa il cortile, passa accanto alla piramide.

Poi andanti. Si arriva ai Campi Elisi: Bernal transita con la sua squadra sul pavé che porta all’arco di trionfo tra due file di bandiere francesi, alberi arrostiti da un luglio ormai quasi assonnato. Gente in festa, Parigi sullo sfondo, il plotone sfila intorno all’arco di trionfo. I primi scatti quando mancano sette giri all’ultima pedalata. Velocità che si sfidano rincorrendo un’impossibilità; a Parigi, quasi sempre, arriva la volata, ma tanto vale crederci almeno per Politt, Tratnik, Fraile e Scully che ormai sono al vento.

In crescendo arriva il “tempo veloce”. Le squadre dei velocisti davanti, i giri al termine che calano, il vantaggio che non cresce. L’inesorabile che allunga le sue ombre e il plotone che allunga le sue fila. Politt e Fraile inghiottiti dal gruppo, poco dopo Tratnik e Scully seguiranno lo stesso destino. Bonifazio davanti, lucida follia, bellezza in realizzazione, Ewan che lo supera, Groenewegen che prova a beffare entrambi. Ewan che vince e asseconda quel desiderio che lo cullava da Nîmes.

Dal tempo che rincorre si salva solo Egan Bernal che quel tempo aveva rincorso per tre settimane. Quell’assurdo dei Queen. Bernal si gusta quegli ultimi metri come quando tutto è possibile. Come gli inizi. Pedalando verso quella linea bianca tra calma esteriore e tempesta interiore con i compagni accanto. Sturm und drang. Proprio quando le luci del tramonto sfumano nel primo blu della sera. E quelle note di si bemolle iniziano ad acquistare senso per una lieve malinconia. Sì perché per oggi la sera tarderà a venire, almeno sui chilometri di Francia percorsi dal serpentone colorato, per il cuore di Parigi e dei suoi impenetrabili boulevards. Perché anche stasera “i bambini piangono e a dormire non ci vogliono andare”. È l’ultima sera di Tour. Sarebbe un peccato chiudere gli occhi prima del tempo.

Foto in evidenza: ©Lotto Soudal, Twitter

Stefano Zago

Stefano Zago

Redattore e inviato di http://www.direttaciclismo.it/