La conferenza stampa di Cesare Benedetti ha rivelato l’uomo dietro al ciclista.
La comune prassi vuole che vi siano luoghi consacrati a determinati usi e a determinate persone o personalità. L’umano pensare porta a ritenere che talora vi possa essere una trasgressione a queste regole ferree, quasi matematiche. I formalisti non ammettono questo secondo assunto. Per esempio, i volontari alpini dello strappo di Pinerolo che si rifiutano di lasciare defluire il pubblico da una transenna sostenendo che ordini superiori lo impediscano, senza notare che dalla transenna opposta un loro collega sta facendo passare tutti. Non c’è ragionamento. C’è pura forma sulla base di assunti, di prassi o regole imposte. Francamente stantio, questo modo di ragionare. Per nulla umano. Ci sono poi menti fresche che non solo ammettono la possibilità di trasgredire una regola di forma qualora in contrasto con la ragione umana, ma hanno una tendenza a non riconoscere i luoghi comuni come predestinati ad un uso o a un comportamento. Le chiameremo “menti dei non luoghi”.
Cesare Benedetti è oggi l’uomo dei non luoghi. Anzi, forse sono trentadue anni che Benedetti è un uomo dei non luoghi. E pazienza (ma neanche tanto) se, tra tanti palmarès, nessuno lo ha mai notato. Il luogo comune per il festeggiamento della vittoria è il podio: lì si stappa lo spumante, lì si sorride, lì si urla. Benedetti no. Benedetti scende da quel podio e va a festeggiare accanto alle transenne che dividono il podio stesso dai fotografi: lì ci sono i suoi compagni. Quello non è il luogo per festeggiare, ma così è più bello. Per buona pace dei formalisti. A dire il vero, poi, il luogo di Benedetti non doveva essere manco il podio, visto che tutti lo chiamano gregario. E i gregari non vanno sul podio: vanno sui pullman a rimettere assieme ossa e muscoli, pronti a flagellarsi di nuovo i polmoni ventiquattr’ore dopo. Scendendo da quel podio, Benedetti scende da un non luogo per approdare ad un altro non luogo.
Il luogo per le parole di Cesare Benedetti non sarebbe la sala stampa. Lì quasi tutti mettono assieme le dichiarazioni più banali, magari suggerite dal team o dall’addetto stampa. Verosimilmente, il luogo più adatto per le parole odierne di Benedetti sarebbe stato un bar del centro, magari appartato con un buon bicchiere di vino della zona. Ma a Cesare Benedetti non interessano i luoghi più appropriati e parla in conferenza stampa come parlasse con un fratello. Ecco un altro non luogo. Dice che è contento, ma non esterna molto i sentimenti. Dice che non ha alzato le braccia al cielo per festeggiare perché gli hanno sempre insegnato che si pedala fino a un metro dopo l’arrivo per essere sicuri di vincere. Davide Boifava, il suo primo allenatore, non amava neppure i festeggiamenti esosi. Forse lui si vergogna anche un poco di alzare le braccia e gridare come un dannato. Si vergogna perché è persona e non personaggio. Ed è persona per tutto questo e perché nel ciclismo cerca persone e non personaggi o campioni.
Dice questo e tanto altro. Si commuove, forse. Anzi, certamente si commuove, ma i sentimenti viscerali sono troppo importanti per darli in pasto a un grumo di giornalisti che spesso non è neppure in grado di andare oltre il risultato. Oggi le grandi penne diranno il contrario. Domani, se Benedetti arriverà, come probabile, con mezz’ora di ritardo dai primi, non si interesseranno più di quell’uomo, che poi è l’unica cosa che conta. Cesare Benedetti nella sua vita si è commosso e ha pianto più volte, ma non c’erano giornalisti ad ascoltarlo. Una delle prime volte è stata vent’anni fa: 5 giugno 1999, Madonna di Campiglio. Quel giorno, un ragazzino si innamorava della bicicletta transitando da un villaggio di partenza e un uomo moriva pur essendo vivo e vegeto. Sempre per buona pace dei formalisti. Cesare Benedetti il primo, Marco Pantani il secondo. Benedetti si innamora della bicicletta in un non luogo: gli appassionati di ciclismo cancellerebbero Madonna di Campiglio, potendo. Un altro non luogo. Non predicato. Non verbo. Chiamatelo come volete: un’eccezione a quell’ammasso di consuetudini che ci propinano e che non fanno altro che uccidere la parte più vera della nostra umanità. Per poi farci dispiacere ma dispiacersi dopo non vale, anche questo dice Benedetti.
Altre volte Benedetti ha pianto con sua moglie e sua figlia: le persone che contano, quelle a cui dedica la vittoria. Stanotte piangerà, probabilmente. Al telefono. Un altro non luogo. È bello piangere se qualcuno quelle lacrime può toccarle. Sentirle. Non asciugarle come dicono. Quella è la cancellazione di un sentimento: un altro formalismo, quello per cui guai a farti vedere uomo. Benedetti è talmente uomo che di quel formalismo nemmeno si ricorda. Lo dice forte e chiaro: “Non vedo l’ora di arrivare in hotel e chiamare mia moglie. Spero di arrivarci presto”.
Per l’uomo dei non luoghi stasera ci sarà un luogo, forse l’unico, che avrà senso: il luogo della liberazione. Il luogo dell’umanità. Solo ma non solo. Perché oggi tutti sono con Benedetti. Anche se a lui, adesso, interessa solo della moglie e della figlia. Ed è giusto così, dopo tanto tempo.
Foto in evidenza: ©Giro d’Italia, Twitter