Arnaud Démare romba a Modena e conquista il primo successo al Giro.

 

Era definita la società delle spinte. Giro d’Italia 1974 da Carpegna a Modena. A inizio tappa si sale e i tifosi spingono i corridori in difficoltà. Volano ammende, polemiche e accuse. Quel giorno, dopo la fuga iniziale, si arriva allo sprint, vince Sercu grazie a un brillante colpi di reni, davanti a un Bassocon la faccia da diavolo e del cane bastonato” che resta ancora a secco. Anche quel giorno il Giro incontra finalmente il sole dopo giorni martoriati dalla pioggia, anche quel giorno il Giro vede un corridore italiano che cerca la rivincita dopo un avvio tormentato.

Elia Viviani non ha la faccia di Basso, ma è ugualmente indiavolato, dice che: “Vinco una tappa e poi torno a casa“. Si risveglia come un inquieto Gregor Samsa e prova a reagire alle difficoltà di un Giro amaro, con una squadra che sembra non difenderlo a dovere tra le pallottole che sibilano nei convulsi sprint di gruppo.

I corridori partono da Ravenna verso Modena per la tappa più piatta e soporifera di questo Giro. Un esercizio all’apparenza comodo, per sciogliere muscoli e fatica e che allunga una giornata di riposo passata in relax a confortarsi sotto il sole. La sosta è benedetta. È il lunedì dei barbieri, la domenica del fedele. Assolve peccati, confessa, asciuga gambe e polmoni, lenisce ferite e cura raffreddori. Alcuni corridori si rilassano tra un gelato e una bibita, tra sorrisi e autografi, mentre centinaia di cicloturisti vestiti come attori protagonisti del Giro prendono d’assalto i pullman delle squadre. Ackermann appare il più tranquillo, scherza con i tifosi, Valerio Conti è ricercato, non può essere altrimenti quando sei vestito di rosa in mezzo a macchie di ogni colore, i fotografi lo portano in spiaggia, i giornalisti gli chiedono se sarà possibile vederlo leader della classifica fino a Verona: “Già così è un sogno, poi tutto può succedere“. Le ambizioni di Miguel Ángel López vengono invece riportate in patria da decine di giornalisti arrivati dalla Colombia che lo circondano su una panchina con vista mare. Il suo sogno è scivolato lungo curve bagnate nella cronometro del Sangiovese, ma da venerdì promette battaglia. E mentre Formolo regala imitazioni con un paio di scarpe in mano, in Casa Bardiani si gioca a biliardo per stemperare la lunga attesa di un Giro che scruta dal lontano le montagne in arrivo.

Da Ravenna a Modena si pensa a Enzo Ferrari anche quando il gruppo passa da Lugo la città di Francesco Baracca. Si racconta che in una gara automobilistica di inizio novecento, Ferrari conobbe la madre dell’Asso degli Assi che gli consigliò di mettere come simbolo sulle sue auto “il cavallino rampante del mio figliolo“. Da Ravenna si va in fuga, come Giuliana ne “Il Deserto Rosso”, film bello, ma lento come la carovana in processione che tiene Hatsuyama e Covili a bagnomaria.

La tappa assume i contorni della noia, è un Gran Premio di Formula Uno letto al contrario: se lì aspetti la partenza, qui si attende la volata finale per interrompere una serie infinita di sbadigli. Mentre Battaglin cade e suo malgrado ci risveglia dal torpore, Cima sprinta per i traguardi volanti finendo dietro Démare e Ackermann prima e dietro Kluge poi. La sorte dei due fuggitivi, intanto, è scritta dalle prime pagine di questa pedante puntata e ai meno trenta si trasformano in due pedine mangiate dal plotone.

Il gruppo è sin troppo rilassato, ma intorno ai meno sette chilometri, su una serie di chicane, si fa irrequieto, inizia la battaglia delle posizioni: in testa i treni, o presunti tali, dei velocisti e i sempre indaffarati domestici a protezione degli uomini di classifica. Si avvicina il traguardo, mamme e bambini salutano il gruppo, ma l’aria di Modena “coi suoi motori fenomenali” ispira finalmente gli assonnati corridori.

Lo sprint è il solito caos: Ackermann va a terra pesantemente e rimpiange quella calma del giorno di riposo, Moschetti finisce malamente contro le transenne e ne esce malconcio, davanti Démare sorprende tutti verso sinistra, mentre Ewan e Viviani liberano i propri cavalli verso destra. Vince il francese, Viviani con la sua livrea tricolore è di nuovo secondo, non potrà tornare a casa e ora la sua faccia ricorda un po’ quella di Basso su questo traguardo, quarantacinque anni prima.

Domani è prevista ancora noia e torpore fino all’adrenalinico finale: tappa piatta e volata. I suiveur si consolino con il pensiero delle cime innevate in arrivo nei prossimi giorni. Almeno così si spera.

Foto: Twitter, Giro d’Italia

Alessandro Autieri

Alessandro Autieri

Webmaster, Fondatore e direttore editoriale di Suiveur. Doppia di due lustri in vecchiaia i suoi compagni di viaggio e vorrebbe avere tempo per scrivere di più. Pensa che Mathieu Van der Poel e Wout Van Aert siano la cosa migliore successa al ciclismo da tanti anni a questa parte.