Al Tour Bernal stacca tutti, si ritira Pinot, Alaphilippe perde la gialla.
Un po’ di tutto oggi al Tour de France. Difficile non partire dalle lacrime di Pinot: si stacca poco dopo l’inizio di una tappetta che diventa tappona, ma poi si ridimensiona ed entra ugualmente nella storia, anche se sul più bello – o poco dopo – viene neutralizzata a causa di una tempesta che provoca una frana. Pinot, qualche ora prima, si stacca dal gruppo, si avvicina alla macchina del medico, fatica a pedalare, si ferma, riparte, scoppia in lacrime, poi l’abbraccio con Bonnet e il ritiro. Difficile non partire da qui, dalla sfortuna che accompagna un corridore che a questo Tour aveva dimostrato di essere il più forte in salita e che rafforza il binomio ciclismo-maledetto e la retorica dell’etterno dolore di chi pedala.
Ma siamo uomini scafati e allora azzeriamo tutto e parliamo della corsa. O di quello che è stato fino a poco meno di venticinque chilometri dall’arrivo. E allora difficile non partire da quei quattro che accendono la miccia subito dopo il via; mica quattro qualunque: Nibali, Herrada, Pello Bilbao e Martin (l’irlandese). Poi tra attacchi e contrattacchi e mentre da dietro le immagini raccontano il dramma di Pinot, davanti sono ventinove, poi ventisei e poi in ventuno scollinano la Madeleine. E i nomi sembrano spauracchi non solo per la tappa, ma anche per la classifica. Farebbero paura, in realtà, se non si fossero fatti i conti con Egan Bernal, uno che ha un nome che sembra uscito da “Le cronache del ghiaccio e del fuoco”.
In fuga si ritrovano così: Urán alla ricerca di una forma mai raggiunta, Ciccone più di grinta che di gambe, Barguil per uscire dalla mediocrità di un piazzamento fuori dai primi dieci; e poi ancora Konrad, impalpabile a questo Tour: si staccherà sulle prime pendenze dell’Iseran; Valverde, eterno nella sua maglia iridata; Martin (il francese) e Simon Yates, mattatore delle fughe della Grande Boucle e incapace, oggi, di dare mezzo cambio in ogni situazione di corsa.
Se su gli altri in avanscoperta sorvoliamo, difficile non citare Aru: in fuga o in gruppo, non riesce a fare differenza e si stacca, prima dai fuggitivi e poi dal gruppo maglia gialla. Difficile non parlare di Caruso; accarezza il sogno della maglia a pois dopo aver passato dieci giorni da incubo per una caduta: oggi con lui c’è un Nibali in versione gregario che lo guida. Anche loro dovranno fare i conti con Bernal e l’Iseran.
Difficile, appunto, non parlare dell’Iseran; una montagna nuda che spoglia gambe e limiti dei corridori. Così bella e dura che ci si domanda come mai non si passi più spesso da quelle parti. Nel ’92 lanciò Chiappucci in una cavalcata indimenticabile, oggi smaschera Quintana ai meno sette dal gran premio della montagna, mentre il ritmo regolare di Poels l’aguzzino riduce il gruppo a un pugno di condannati alla peggior sorte.
Alaphilippe, invece, è capo ufficio-facce, e subito dopo l’attacco di Thomas si stacca. Buchmann e Kruijswijk possono sembrare alleati del francese in giallo, ma in realtà ognuno è una scintilla che brucia la propria miccia e, più che riportarlo sotto, fanno la loro corsa verso il podio. Poi arriva l’affondo di Bernal, uno che doveva correre il Giro e invece rischia di vincere il Tour. Il colombiano in maglia bianca ha un nome che starebbe bene a un drago: Egan, in gaelico, significa fuoco. Attacca, stronca uno a uno gli avversari di classifica e i superstiti della fuga del mattino, pardon, del pomeriggio.
Passa per primo sull’Iseran, ci si prospetta un finale con il cronometro in mano per contare i distacchi e i recuperi tra discesa e salita finale, ma la corsa, folle e bizzarra, all’improvviso viene fermata e il tempo dei corridori preso in cima all’Iseran.
Non c’è nemmeno tempo di arrivare a Tignes, di raccontare di quella volta in cui Rasmussen prese la maglia gialla dando distacchi d’altri tempi a tutti, di un possibile recupero di Alaphilippe, di Nibali che più di classe che altro trova il modo di mettersi in evidenza, di Yates che poteva vincere, senza dare cambi, la terza tappa a questo Tour. Di Thomas che tampona il duo Jumbo e di un Buchmann che zitto zitto è in lotta per il podio.
In tempi folli, il meteo ci mette lo zampino: “vince” Bernal senza esultare e va in maglia gialla senza – quasi – rendersene conto. Magari domani racconteremo di tattiche, di vita, di aneddoti, di attacchi e di smorfie, di una Francia ribaltata e di una Colombia in vetta. Oggi, invece, parliamo solo di lacrime, gioie smorzate, frane e tempeste. Di sicuro un domani racconteremo di come, in un modo o nell’altro, il 26 luglio 2019, al Tour si è fatta la storia.
Foto in evidenza: joscelinryan, Twitter