L’ultima volata del Giro d’Italia 2019 se l’aggiudica Ewan davanti a Démare.

 

Le tappe di pianura sono la quintessenza del ciclismo da divano. Quel sottile piacere d’avere un sottofondo diverso dalla solita musica o dal podcast hipster nel fare le cose del quotidiano, mentre nelle orecchie, sotto gli occhi, scorrono immagini di biciclette.

Vabbè, quindi: c’è da fare la lavatrice, magari si fa in tempo, forza allora; si sta passando per San Zenone al Po, dove nacque Gianni Brera, penna raffinata, secondo lui non si iniziava nemmeno: Coppi über alles, quell’altro non lo considerava minimamente. In fuga? Tre simpatici, tre italiani, tre formazioni Professional: Maestri, Frapporti, Cima. Se si scommette sull’arrivo in volata c’è la possibilità che i bookmaker ti chiedano dei soldi anche in caso di vittoria, le possibilità di questi sono sotto lo zero. Poco male, mai giudicare la bellezza di una fuga dal suo risultato.

Ma sta lavatrice? Boh, magari un caffè, poi sigaretta, intanto si parla un sacco ma non succede niente. C’è un tipo, nel gruppo, che conosce un botto di lingue: buon per lui; tra i commentatori si discute sulla penetrazione della lingua inglese nei nostri usi e costumi. Bene, ma non benissimo. Si demonizza la creazione di corsi di laurea esclusivamente in inglese (vi prego, smettetela), si argomenta che la lingua spagnola è la più parlata al mondo quando in realtà è la quarta, dietro a mandarino, inglese e hindustani. Vabbè, so ragazzi, il problema è che proprio ragazzi non sono, magari un controllino la prossima volta. Lo spirito di Gianni Brera si dispera.

I fuggitivi sono sempre più vicini al gruppo, finale più scontato non ci potrebbe essere. Intanto siamo quasi in dirittura d’arrivo con questa lavatrice, questo dolce far niente non nasconde insidie, un pomeriggio perfetto, le biciclette in sottofondo.

Si arriva a Novi Ligure, città di Campionissimi, c’è proprio un tempio per venerare le due ruote, i pedali, i tubolari, i manubri: il museo di Novi Ligure racchiude secoli di storia di un ciclismo non solo finalizzato alla competizione, ma anche interpretato come modello di vita, un po’ quello che alcuni esponenti della cosa pubblica provano, timidamente, a riproporre. Il pianeta sta morendo, la scelta più illuminata l’hanno già fatta parecchi anni fa, solo che non ce lo ricordiamo.

Si parla, si parla, a quanto pare le storie di Costante Girardengo e Dorando Pietri si sono incrociate. Il primo batte il secondo, i genitori capiscono di averne uno buono per davvero. Il gruppo intanto ha accelerato, i fuggitivi vengono riassorbiti, un finale scontato non è mai una buona scusa per non provare a renderlo meno scontato.

Stesi i panni, ultimi dieci chilometri; domani Cuneo-Pinerolo, più omaggio di così si muore, poi è solo montagna fino al giorno di riposo. Oggi però si arriva in pianura, poi se ne riparlerà tra otto giorni, troppe cose possono succedere in otto giorni, questa è troppo importante. Viviani non vede l’ora di andare a casa e il ciclismo per ora lo sta punendo. Le corse si onorano, sempre e comunque. Il gruppo è lanciatissimo, Knees prova a uscire, tenero, ma anche no.

I treni della FDJ e della Dimension Data sembrano quelli più organizzati, la Quick-Step (l’altro nome non si può sentire) prova a organizzarsi, la BORA amministra, come se fosse scontato andare in testa prima o poi, e infatti accade. La sparata di Ackermann è poderosa ma un filo anticipata, il vento contrario fa il resto, Viviani prende la ruota di Ewan ma non c’è spazio, Démare non ha la zampata, Ewan scappa via come un furetto. Ricorda molto le volate di Cavendish. Rispetto al britannico ha dieci centimetri in meno, rispetto ad Ackermann addirittura quindici e pesa undici chili in meno. Bissato il successo di Pesaro, bravo lui; intanto Démare scavalca il tedescone della BORA e da domani si vestirà di ciclamino. Bella sfida anche questa. Chissà, magari ne riparleremo, magari in un altro pomeriggio passato a guardare e ascoltare biciclette in sottofondo.

 

 

Foto in evidenza: ©Giro d’Italia, Twitter