10 nomi da seguire nella prova in linea Uomini Élite

È il momento d’immaginare chi potrebbe essere il nuovo campione del mondo.

 

 

Il campionato del mondo che in gran parte è già stato corso nello Yorkshire non ha regalato particolari scossoni, inserendosi dunque in quella tradizione praticamente centenaria che vede nel Mondiale uno dei momenti più attesi e allo stesso tempo prevedibili e ordinari – eppure sempre emozionanti, fortunatamente non ci si abitua mai. La prova in linea che si corre oggi, quella che chiude la rassegna ed è riservata agli atleti professionisti, non si discosta dalla norma: c’è un favorito assoluto, un manipolo di contendenti dal talento cristallino e un percorso di difficile interpretazione. Da questi tre fattori dipenderà l’esito della corsa – non è mica una novità, d’altronde in ogni gara contano atleti e strada: van der Poel è il faro dell’evento, vuoi perché è in forma, vuoi perché lo Yorkshire sembra disegnato per essere attraversato e dominato da un corridore come lui – o, molto più semplicemente, perché è un fuoriclasse; dietro di lui, tuttavia, si muovono Sagan, Alaphilippe, Kristoff, Matthews, il Belgio, la Spagna, l’Italia e tante altre varianti che ad imboccare una tangente impiegherebbero un attimo, quindi distrarsi è vivamente sconsigliato; infine c’è il disegno del tracciato, più la planimetria che l’altimetria: è un percorso complicato e nervoso, tortuoso e scostante, vallonato e pericoloso, a maggior ragione se la carreggiata dovesse essere punteggiata qua e là da copiose pozze d’acqua. Abbiamo tanti dubbi, diverse domande e pochissime risposte, ma è giusto che sia così: chi vuol vivere di certezze non guarda certo lo sport, tantomeno il ciclismo – figuriamoci il campionato del mondo.

Philippe Gilbert

©La Vuelta, Twitter

Tre anni fa Gilbert non era né un campione né un outsider; il suo periodo sembrava tramontato, la sua carriera prossima alla fine, i suoi risultati modesti. Il 2016, l’ultima stagione passata alla BMC, fu eloquente: non partecipò né al Giro d’Italia né al Tour de France, si ritirò dalla Vuelta dopo due settimane, non prese parte a nessuna delle quattro classiche monumento primaverili, finendo in compenso lontanissimo tanto all’Amstel Gold Race quanto alla Freccia Vallone; vinse quattro volte, e uno di questi successi arrivò nella prova in linea dei campionati belgi, ma il bel corridore che fu era ormai svanito. O almeno, così pareva. Il passaggio alla Quick-Step lo ha rivitalizzato ed è facile capire perché: gli stimoli favoriti dal cambiamento, la dissoluzione dell’ingombrante presenza di Van Avermaet, l’interesse comune per le classiche che unisce corridore e squadra. Ripercorrere le prestazioni di Gilbert dal 2017 ad oggi ci pare superfluo, ce le ricordiamo tutti; più importante, invece, reputiamo il nuovo approccio che guida la sua caccia: lo scatto e l’esplosività che lo hanno caratterizzato e arricchito nella prima parte della carriera si sono trasformati in potenza e resistenza, coadiuvate da quel coraggio che può maneggiare soltanto il più forte o il più leggero – ed è questo il caso di Gilbert, al quale non si chiedeva certo di vincere sul pavé dopo averlo già fatto sulle Ardenne, al Lombardia, al campionato del mondo e nei grandi giri. Le sue lievi carenze sulle pietre hanno modellato un corridore nuovo, costretto ad anticipare i tempi per evitare lo scontro frontale e la volata finale. È questo che dovrebbe spaventare van der Poel e gli altri: il controllo sul proprio corpo e sulla propria psiche che Gilbert ha già dimostrato di possedere. Non teme né la sconfitta né il fallimento, a muoversi da lontano è incentivato dallo spunto veloce dell’altro capitano belga, Van Avermaet, e dalla maggiore freschezza di van der Poel, Sagan e Alaphilippe quando la corsa entrerà nel vivo. In più, il Belgio ha una squadra in grado di assecondarlo – che sia rompendo i cambi o affiancandogli un paio di uomini sarà eventualmente la corsa a dircelo. Dopo la clamorosa esclusione dal Tour de France, spiegabile soltanto col cambio di casacca che evidentemente ha infastidito la Quick-Step, Gilbert ha affermato d’aver trovato la voglia di portare in fondo la stagione pensando alla Vuelta, al Mondiale e al Lombardia: nella corsa spagnola ha vinto due tappe, al Lombardia mancano ancora due settimane, mentre la prova in linea del campionato del mondo è oggi, l’unico giorno che conta ormai nella carriera di Gilbert.

Alexander Kristoff

©Aivlis Photography

Per capire e apprezzare davvero l’unicità di Alexander Kristoff dovremmo porci la seguente domanda: quanti e quali sono i corridori in grado di sopravanzarlo in una volata che arriva al termine di una gara prestigiosa, lunga e dura? Perché il problema, quando si parla di Kristoff, non è tanto levarselo di ruota, bensì affrontarlo in volata e avere la meglio su di lui. Il suo passato ci viene in contro. Questo, ad esempio, è il suo ruolino di marcia alla Milano-Sanremo, la corsa più lunga dell’anno: ottavo nel 2013, primo nel 2014, secondo nel 2015, sesto nel 2016, quarto nel 2017 e nel 2018; quello che si riferisce al Giro delle Fiandre non è poi così diverso: quarto nel 2013, quinto nel 2014, primo nel 2015, quarto nel 2016, quinto nel 2017, terzo quest’anno; perfino alla Parigi-Roubaix, la classica che storicamente finisce sempre per respingerlo, può contare sul nono posto del 2013 e sul decimo del 2015. Come se questi numeri non bastassero, citiamo la vittoria di quest’anno alla Gand-Wevelgem, quella agli Europei di Herning del 2017, la medaglia di bronzo nella prova in linea dei Giochi Olimpici di Londra 2012 e il successo sui Campi Elisi al Tour de France 2018 – ci sembra indicativo che l’unica affermazione di un corridore in un’edizione della Grande Boucle arrivi nell’ultimo giorno utile: significa avere una discreta riserva d’energie, quantomeno saperle amministrare bene. Di fondisti come Kristoff in gruppo ce ne sono pochissimi: va eliminato il prima possibile, se non si vogliono affrontare spiacevoli sorprese nel finale. Le beghe, per gli altri contendenti, non finiscono qui: il norvegese tollera egregiamente il maltempo ed ha una discreta confidenza con gli appuntamenti che gli si addicono e che contano. A testimonianza di ciò ecco il suo storico nella prova in linea dei campionati del mondo: ottavo nel 2014, quarto nel 2015, settimo nel 2016, secondo nel 2017. Non essendo né un velocista puro né un classicomane a suo agio soltanto sulle pietre, Kristoff rientra a pieno diritto in quel ristretto novero di corridori che può ambire seriamente alla medaglia d’oro – tutto lascia immaginare che almeno una medaglia la porterà a casa, e non sono mica tanti gli atleti a partire con un tale grado di considerazione nell’opinione pubblica. Quest’anno, pur facendo parte della UAE-Emirates, Kristoff ha messo insieme una buona stagione: l’apogeo ce l’ha alle spalle, ma i piazzamenti raccolti tratteggiano il profilo di un corridore ancora estremamente pericoloso. Giunto ormai a trentadue anni, e considerando le asperità che nel 2020 lo taglieranno fuori dalla lotta per il Mondiale, il norvegese potrebbe essere arrivato all’ultima recita iridata; di aiuto dai suoi connazionali dovrebbe averne poco, ma a rimboccarsi le maniche c’è abituato da una vita.

Peter Sagan

©s.yuki, Wikimedia Commons

Non giriamoci intorno: l’aura che circondava Peter Sagan fino allo scorso anno si è quasi dissolta del tutto, soprattutto a causa della consacrazione di Alaphilippe e all’avvento di tanti nuovi talenti – un termine persino riduttivo. Per la prova di oggi, tuttavia, non sembrano esserci incognite intorno allo slovacco: la nazionale slovacca è poca roba, ma ormai si è abituato, e comunque suo fratello Juraj riesce sempre a trovare il colpo di pedale giusto quando si parla di campionato del mondo; se non è un argine insormontabile il valore della squadra, figuriamoci se può esserlo il percorso: come per Richmond e Bergen, la durezza verrà data più che altro dal ritmo imposto alla gara e dalle evoluzioni meteorologiche, scenari nei quali Sagan sguazza letteralmente; infine, il suo stato di forma non preoccupa nella maniera più assoluta: un mese fa è stato sesto nella volata di gruppo che ha deciso la classica di Amburgo, mentre due settimane addietro soltanto Matthews è stato più veloce di lui sul traguardo del Gran Prix de Québec. Perché – ricordiamocelo sempre – l’annata più scarna del Peter Sagan formato fuoriclasse rimane una stagione d’assoluto livello: quarto alla Milano-Sanremo, undicesimo al Giro delle Fiandre, quinto alla Parigi-Roubaix, primo nella classifica a punti del Tour de France grazie ad un successo di tappa e ad altri nove piazzamenti tra i primi dieci. Più che di dubbi intorno allo slovacco, dunque, bisognerebbe parlare di apparente invincibilità di van der Poel, che fino alla vigilia ha praticamente oscurato tutte le alternative presenti. Sagan non sarà forte e straripante come un paio d’anni fa, ma relegarlo in un’ipotetica seconda fascia sarebbe deleterio: rimane – e rimarrà almeno per qualche altro anno – l’unico corridore della storia ad aver vestito la maglia iridata per tre stagioni consecutive, uno degli atleti più vincenti ed eclettici dell’ultimo decennio. Non sembra avere l’esplosività necessaria per fare la differenza in salita, quindi non attendiamoci affondi simili a quelli fatti vedere alla Milano-Sanremo 2017 e al Mondiale di Richmond 2015; potrebbe allora puntare tutto sulla volata, a patto che ci arrivi: se così dovesse essere, i suoi rivali dovranno essere scaltri nel trovarlo e scovarlo, ché Sagan se vuole sa nascondersi benissimo.

Julian Alaphilippe

©DH.be, Twitter

L’impressione di chi scrive – vogliamo dirlo nonostante tutto, avendo ben presente il rischio incombente della figuraccia – è che Julian Alaphilippe non sia arrivato così bene alla prova in linea dei campionati del mondo dello Yorkshire. Dalla fine del Tour de France che lo ha eletto nuovo fuoriclasse del ciclismo mondiale sono passati due mesi, e si sa: in un mondo come quello odierno due mesi non sono pochi. C’è il pericolo concreto che le gerarchie si ribaltino, che il bene diventi male e viceversa. Da allora, Alaphilippe si è visto poco e nulla: ritirato a San Sebastián, impalpabile al Giro della Germania, settimo al Gran Prix de Québec e tredicesimo due giorni più tardi in quello di Montréal. Nell’avvicinamento del francese al campionato del mondo sono evidenti le due volontà principali: staccare la spina dopo una prima parte di stagione corsa a cento all’ora e arrivare a fari spenti, sperando che la povertà di risultati delle ultime settimane contribuisca alla sua sottovalutazione. C’è sicuramente qualcuno che oggi reputa Alaphilippe meno pericoloso di qualche mese fa, e forse non avrebbe tutti i torti; tuttavia, basta ripensare alla pedalata piena e irrequieta che aveva in primavera per scacciare qualsiasi dubbio. Il passato ci dice che Alaphilippe ha sempre steccato gli appuntamenti di cartello ai quali si presentava come favorito principale: è successo, ad esempio, tanto al campionato del mondo di Innsbruck di un anno fa quanto alle ultime due edizioni della Liegi-Bastogne-Liegi; mentre, al contrario, ha stupito quando i nomi di riferimento erano altri – si veda il quarto posto raccolto alle Olimpiadi di Rio de Janeiro, il quinto al Tour de France di quest’anno e la vittoria alla Milano-Sanremo di quest’anno, frutto anche del terzo posto ottenuto nel 2017. È vero, da favorito ha vinto Strade Bianche, San Sebastián e Freccia Vallone, ma il prestigio, le pressioni e il livello dei partenti di queste tre corse non vale quello di una classica monumento o di un campionato del mondo. Quest’anno gli va bene: è uno dei nomi più interessanti, ma il corridore sul quale verrà fatta la corsa è un altro. Resta da capire se ha smaltito le scorie accumulate fino a luglio e il punto in cui ha intenzione di muoversi; a differenza di Sagan, Kristoff e Matthews, Alaphilippe può provare a fare la differenza prima della volata conclusiva, anche se questa seconda eventualità non lo vedrebbe sconfitto in partenza. La Francia non è una corazzata, ma è composta da corridori in forma smagliante: basterà un’azione concertata con Cavagna e Cosnefroy a scardinare Mathieu van der Poel?

Greg Van Avermaet

©LesoirSports, Twitter

Ecco, se c’è un corridore che non conosce pause né passaggi a vuoto è Greg Van Avermaet. Per quanto combatte vince troppo poco, è vero, ma la sua costanza è invidiabile. La prima vittoria stagionale, la terza tappa della Volta a la Comunitat Valenciana, l’ha centrata l’otto febbraio; l’ultima, il Gran Prix de Montréal, il 15 settembre; nel mezzo, una sfilza di prestazioni solide e convincenti, eppure non sufficientemente valide per valergli la vittoria: secondo alla Omloop Het Nieuwsblad, sesto alla Strade Bianche, terzo alla E3 BinckBank Classic, decimo al Giro delle Fiandre, dodicesimo alla Parigi-Roubaix, quattordicesimo all’Amstel Gold Race, secondo al Tour de Yorkshire, quattro volte tra i primi dieci al Tour de France, secondo a San Sebastián, quarto al Binck Bank Tour, sesto a Plouay, terzo al Grand Prix de Québec, settimo alla Primus Classic. Van Avermaet è lo stesso di sempre: coriaceo e resistente, forte sulle pietre e nelle volate a ranghi ristretti, abbastanza veloce per pensare di poter mettere tutti nel sacco e temerario quanto basta per attaccare da lontano. È sempre stato questo, fu il 2017 ad essere un’eccezione. Al campionato del mondo si è sempre comportato bene: a Ponferrada fu quinto, a Bergen sesto, anche se il primo piazzamento importante risale a nove anni fa, a Melbourne, quando chiuse quinto, subito alle spalle di Pozzato. Le azioni di Van Avermaet più che improvvise sono intense, lunghe, esigenti; il suo scatto non vale assolutamente quello di van der Poel, Sagan e Alaphilippe, ma come loro e forse anche meglio sa dare continuità alle sue mosse. Se van der Poel appare inavvicinabile per esplosività, chissà che non possano essere le bastonate di Van Avermaet a fiaccarlo. La presenza di Gilbert non depone a suo favore: i due si tollerano a malapena, tant’è che Gilbert scelse la Quick-Step anche – se non soprattutto – per separare la propria carriera da quella del connazionale. Che il Belgio sia diviso a clan a supporto dell’uno o dell’altro ci crediamo poco, mentre reputiamo possibile che i due capitani facciano corsa parallela, ovvero ognuno per sé finché le energie lo permetteranno. Come Kristoff, Van Avermaet ha un fondo invidiabile; per toglierselo di ruota serviranno attacchi fulminanti e ripetuti, considerando la forma sulla quale può contare. Ai traguardi prestigiosi c’è abituato e per il piglio che lo contraddistingue – ma questo diciamolo sottovoce – Greg Van Avermaet sarebbe un campione del mondo di cui poter andare fieri.

 

Mathieu van der Poel

©lavoixdessports, Twitter

Gli ultimi quattro titoli mondiali sono andati ad appannaggio di chi, alla vigilia, recitava il ruolo del grande favorito. Van der Poel è proprio colui che oggi vestirà i panni dell’uomo da battere, ha solo ventiquattro anni, ma se lo guardi sembrano ancora di meno, poi pensi a quanta potenza e cattiveria esprime nella sua pedalata e ti chiedi se sia realmente umano, tanto che ti verrebbe da scomodare Gozer il Gozeriano e domandargli: “sei tu un Dio?” Si scherza, caro lettore, è un gioco: van der Poel lo sappiamo tutti che è sceso in terra per portare il verb… ok, torniamo seri davvero questa volta. Riuscirà Mathieu van der Poel a resistere alle pressioni in arrivo da tutte le parti e vincere il Mondiale nel quale si appresta a partire come favorito assoluto, secondo media, appassionati e bookmaker? Nel ciclocross, dove La Bestia ha conquistato il titolo mondiale a inizio 2019, in realtà c’è stata una volta in cui si fece abbattere dalla pressione. Era il mondiale di casa, era il 2018 e dopo un errore andò in tilt: vinse van Aert. Quest’anno, quando è sceso in strada, ha dominato in maniera a volte, perdonate il termine, imbarazzante, per sé e per gli altri. Pur provando ogni tanto a fare di tutto per perdere le corse: basti pensare all’Amstel Gold Race, senza riuscirci, o al Giro delle Fiandre, dove ha ottenuto quello che ha voluto, ovvero non vincere quella corsa correndo come un principiante. Tuttavia, uno così nelle gare di un giorno lo abbiamo visto, sì, ma raramente: basterà per vincere? La prova si prospetta massacrante, anche per il chilometraggio, tutto sembra combaciare per riportare l’Olanda in vetta al mondo trentaquattro anni dopo anni Zoetemelk. Se prendessimo in esame quello visto nelle altre categorie allora sarebbero diversi gli scenari adatti a van der Poel, perché l’olandese  – escludiamo a priori il chiamarlo “volante” – è capace di attaccare da lontano; guida come un funambolo – anche se a volte pasticcia per distrazione o troppa sicurezza nei propri mezzi – e quindi diventa difficile staccarlo in quelle curve o sulle salitelle che contraddistinguono il tracciato finale; la distanza non gli fa paura; ha una squadra forte e non teme il maltempo. Sul penultimo strappo è un osso duro, su quello che porta all’arrivo potrebbe essere praticamente impossibile da battere. Bene, avete letto sin qui e siete ancora convinti che non possa essere il vincitore? Per fortuna nel ciclismo non c’è nulla di scontato: godiamoci la corsa e la sua imprevedibilità.

Matteo Trentin

©Emanuela Sartorio – Caffè & Biciclette

Un’altra nazionale storica che vuole tornare in vetta al mondo è sicuramente l’Italia, che mai, sotto la guida di Davide Cassani, si ritrova in casa una punta così in forma e con questo valore assoluto. Matteo Trentin è alla sua migliore stagione in carriera, inutile girarci attorno ed è sicuramente il miglior corridore che l’Italia ha espresso per le corse di un giorno – almeno per un certo tipo di tracciati – in questi ultimi anni. Ha raggiunto la maturità atletica, fisica e un’invidiabile continuità di risultati che lo pongono tra i papabili per la conquista di una medaglia. Che a questa nazionale manca da tanto, troppo tempo. Fu proprio il corridore di Pergine Valsugana a sfiorarla due stagioni fa a Bergen con un quarto posto che grida vendetta in un finale che purtroppo non c’è stato modo di vedere e che troppo spesso ce lo siamo dovuti immaginare. Dopo che Moscon e Alaphilippe furono ripresi e Gaviria con un danese provarono il colpo di mano, un Bettiol in grande spolvero lanciò lo sprint, ma Trentin si ritrovò proprio in quelle centinaia di metri verso il traguardo un po’ chiuso, un po’ svuotato, poco lesto e finì alle spalle di Sagan, Kristoff e Matthews: guarda caso tre dei grandi favoriti quest’oggi. Se, come si racconta, la corsa che si appresta a partire assomiglia molto a una classica che ben si sposa con le caratteristiche del corridore in procinto a passare alla CCC nel 2020, ovvero l’Amstel Gold Race, allora sognare una medaglia è più che lecito; questo Trentin nella classica olandese fu tra i grandi protagonisti, ma, come spesso gli è accaduto in passato in determinate prove in linea, anche quel giorno gli mancò qualcosa per competere con i migliori fino alla fine. Anche se di certo, quello che non gli manca è il coraggio di andare in fuga da lontano in corse importanti –  Gand-Wevelgem e Roubaix di quest’anno – e chissà che oggi non provi ad anticipare lo sprint finale portando via una bella fuga magari a tre, quattro giri dalla fine. Nel 2019 Trentin ha vinto sei corse, un po’ in tutti i modi, attaccando, in volata, in gruppetto, va forte col brutto tempo e sa guidare bene la bici; arriva da un periodo di forma notevole in cui, al recente Tour of Britain, è stato l’unico a provare a contendere lo scettro a Mathieu van der Poel, vincendo una tappa e arrivando sette volte su otto nei dieci. Al Trofeo Matteotti ha vinto, anzi dominato, dopo una lunga fuga: l’Italia potrebbe aver trovato il finalizzatore ideale. Basterà?

Alejandro Valverde

Non è sicuramente il più esplosivo tra i favoriti o meglio: non lo è più come una volta. Alejandro Valverde, però, è il campione in carica, arriva da un podio alla Vuelta e resta tutto sommato uno dei migliori interpreti di sempre nelle prove iridate. Su dodici campionati del Mondo tra i professionisti a cui ha preso parte, è stato dieci volte nei primi nove, salendo sei volte sul podio, di cui tre consecutivamente, ed è andato a medaglia quattro volte nelle ultime cinque edizioni. La fame in un corridore normale potrebbe venire meno, ma qui l’argomento è Alejandro Valverde. Avrà il numero uno sulle spalle e la sua Spagna, che in questo Mondiale non ha raccolto nulla in nessuna delle altre prove tra giovani, donne ed élite, sarà tutta per lui. Oltre all’esplosività che fisiologicamente non è quella dei giorni migliori, su Valverde potrebbero pesare alla lunga le fatiche della corsa spagnola, appena conclusa, e il maltempo: se dovessimo trovare un punto debole nel murciano, quello potrebbe essere proprio la sua risposta in una corsa sotto la pioggia incessante. Attenzione però: il Mondiale di Firenze fu bagnato e lui finì terzo, perché quando Valverde si attacca il numero e corre la prova iridata è capace di andare più forte di sé stesso e dell’ordine stabilito. I suoi scenari prediletti potrebbero essere agli antipodi: corsa dura, magari con attacco da lontano, oppure quell’attendismo esasperato che ne ha contraddistinto gran parte della carriera, entrambe chiavi di lettura valide per rivedere per l’ennesima volta Valverde sul podio. Ve lo riuscite a immaginare un altro anno di Valverde in maglia iridata? Le foto, volendo, ce le abbiamo già.

Alexey Lutsenko

©Alexey Lutsenko, Twitter

Campione del mondo tra gli Under 23 e da anni considerato un talento assoluto per le corse di un giorno, Alexey Lutsenko in questo finale di stagione sembra aver trovato la formula giusta. Nelle classiche italiane è stato mattatore, cannibale, dominatore: scegliete voi il termine più corretto. Ha usato il territorio nostrano, sul quale era già andato a segno a inizio 2019 in una delle frazioni più belle della Tirreno-Adriatico, come test in vista del mondiale britannico: prova superata. Si è esaltato vincendo in due modi differenti e che potrebbero tornargli molto utili oggi: al Memorial Pantani, da finisseur, partendo a poche centinaia di metri dal traguardo divorando uno a uno gli avversari come fa Pac Man con le pillole energetiche, mentre a Peccioli, nella Coppa Sabatini, ha vinto dopo settanta chilometri di fuga solitaria. È nella sua migliore stagione in carriera, anche dal punto di vista della continuità dei risultati, fatto che è sempre stato uno dei suoi difetti più pronunciati: a inizio stagione, oltre alla già citata vittoria a Fossombrone nella celebre corsa a tappe italiana, vince tre frazioni e la classifica finale del tour of Oman, suo feudo, salta tutta la campagna del pavé per presentarsi in forma nelle Ardenne, ma come sovente accade, quando te lo aspetti, lui delude. È protagonista di un Giro del Delfinato di qualità, chiude nei venti al Tour de France e domina il Tour of Norway. Poi si arriva in Italia, e quei risultati sono già storia. Il percorso iridato sorride alle sue note e già citate qualità: sia da fugaiolo, che da passista, che da finissuer. Quello che non convince è il suo eclissarsi nei grandi appuntamenti, o la scarsa attitudine mostrata, spesso e volentieri, nelle corse dal chilometraggio elevato. Altro punto a sfavore, poi, è il fatto che nessun campione del mondo tra gli under 23 si è poi ripetuto tra i professionisti: riuscirà a invertire la tendenza?

Michael Matthews

©Cervélo, Twitter

Un altro ex campione del mondo tra gli Under 23 pronto combattere la cabala è Michael Matthews, il quale però, a differenza del corridore kazako sopra menzionato, è andato ben due volte vicinissimo a sfatare quel tabù. Nel 2015, a Richmond, finì secondo alle spalle di Sagan e vincendo la volata dei battuti davanti a Navardauskas e Kristoff. Nel 2016, nello strano mondiale di Doha, arrivò quarto, preceduto da tre grandissimi della storia recente di questo sport: Peter Sagan, Mark Cavendish, Tom Boonen. Infine, a Bergen, conquista la medaglia di bronzo: Sagan vince l’oro, secondo arriva Kristoff e lui si accomoda sul terzo gradino del podio. Dunque, quando Sagan si veste con la maglia iridata, la costante è Matthews che gli finisce alle spalle, più o meno vicino. Se lo scorso anno il mondiale austriaco era troppo duro per le sue caratteristiche, e infatti non venne nemmeno convocato nonostante pochi giorni prima conquistò una storica doppietta nelle due classiche canadesi, quest’anno il tracciato disegnato nello Yorkshire sembra adattarsi particolarmente alle spalle larghe e ai possenti dorsali del ventinovenne di Camberra. Di recente, per tornare alle due gare del Canada, ha sfoggiato un’ottima condizione: vincitore del Grand Prix de Québec, due giorni dopo nella prova sorella – il Grand Prix de Montréal – è stato più attento a proseguire l’allenamento in vista della gara di oggi. Fra poche ore, chi vorrà vestire la maglia iridata, o conquistare un prestigioso posto sul podio, dovrà accertarsi di non avere Matthews nei paraggi: quel chilometro finale sembra fatto apposta per esaltare gli anelli e i braccialetti di Michael “Bling” Matthews.

Altri

©La Flèche Wallonne, Twitter

E se nel ciclismo si vive di incertezze, in un campionato del mondo così ricco di attori di prim’ordine, dieci nomi non bastano. Ecco dunque una carrellata di nomi alternativi ai favoriti menzionati sopra. Partiamo dal Belgio che come tra gli Under 23 avrà il ruolo di nazionale faro. Dietro Gilbert e Van Avermaet spunta il nome di Evenepoel, corridore sul quale ci si potrebbe scommettere nel vederlo in fuga già dal tratto in linea prima del circuito. Ci sono anche Teuns, brillante in stagione su tutti i terreni e Wellens, uno al quale gli manca sempre il proverbiale soldino per fare la lira, ma che prima o poi potrà fare bersaglio grosso: in caso di pioggia e freddo potrà essere corridore capace di scompigliare i piani a molti. Occhio anche a Naesen: osso duro e buono per diverse soluzioni. I cugini olandesi, con il dente avvelenato dopo la gara degli Under 23, saranno tutti per van der Poel, ma hanno in Teunissen una pericolosissima carta di riserva da giocare: spunto veloce e qualità, in un percorso così, non mancano all’ex campione del mondo tra gli Under 23 nel ciclocross. La Spagna ha in Garcia Cortina il futuro nelle corse di un giorno: occhio a lui perché è veloce e va forte nelle situazioni intricate di vento e maltempo. Gli altri sono tutti uomini di grande esperienza che potrebbero provare a inserirsi nelle fughe dalla media o lunga distanza: i fratelli Izagirre e Sanchez sono uomini da non sottovalutare in caso di corsa nervosa.

La Francia è tutta per Alaphilippe, ma Voeckler ha convocato diversi corridori buoni per ogni soluzione: Laporte per uno sprint di gruppo, Cosnefroy per giocare d’anticipo, mentre Cavagna esce in grande forma dalla Vuelta e sarà l’uomo da fuga a lunga o media gittata. La Colombia ha Molano per uno sprint e Betancur che qualche anno fa sembrava poter competere anche nelle classiche più impegnative: oggi invece sarà la solita incognita. Difficile immaginarci Ackermann vincente sul traguardo di Harrogate, o Degenkolb che vuole archiviare subito un 2019 che non gli ha sorriso; la Germania guarda più a Politt e Arndt, coraggiosi quanto basta per mettersi in evidenza. Vorranno corsa dura la Slovenia di Pogačar e Roglič, e con un Mohorič fra i più pericolosi underdog del gruppo, e la Gran Bretagna arrivata a questo mondiale un po’ spuntata: Thomas sembra al via più per onore di firma – ma non dimentichiamoci il suo passato di qualità nelle gare di un giorno – Geoghegan Hart  ha qualità anche per le corse di un giorno e ha chiuso la Vuelta in crescendo, Adam Yates non dovrebbe essere quello dei giorni migliori, mentre Swift è la ruota veloce del sestetto. Occhio alle motivazioni extra in quanto nazionale padrona di casa.

In Norvegia, dietro Kristoff, c’è il solito Boasson Hagen, principe delle incognite, mentre in una Polonia orfana di Kwiatkowski l’uomo più importante sarà Majka: per lui l’ideale sarebbe partire in una delle salite prima del circuito. La Svizzera ha in Hirschi, il terzo più giovane al via, e in Albasini, il secondo più vecchio, le due punte, ma attenzione anche a Küng: tutti e tre potrebbero stare lì davanti con corsa selettiva e resa dura dal maltempo. L’Austria con Postelberger, la Russia dei giovani Sivakov e Vlasov, Canada, Ukraina, Romania, Stati Uniti, Estonia, Ecuador, Nuova Zelanda hanno buoni corridori, ma difficile immaginarceli dei fattori in questa corsa. Discorso differente per il Sudafrica Impey è veloce e arriva da una buona stagione – il Portogallo di Rui Costa – che un Mondiale lo ha pure vinto – il Costa Rica di Amador – è parso in forma, ama il maltempo e le corse dure – e la Lettonia che già un Mondiale lo vinse nel nuovo nel millennio e che schiera al via un trio assolutamente da seguire: Liepiņš, che nella prossima stagione correrà con la Trek-Segafredo è una ruota veloce da non sottovalutare, Skujinš è imprevedibile e chissà che non entri in una top ten, mentre Neilands di recente al Gran Prix de Wallonie ha offerto una delle prestazioni più entusiasmanti dell’intera stagione: chi non ci crede lo vada a vedere.

Chiudiamo poi con tre nazionali che meritano un capitolo a parte: la Repubblica Ceca schiera un duo da considerare anche in chiave podio finale: Kreuziger, che non sarà più quello di un tempo, ma è anche capace di esaltarsi in certe condizioni di corsa e se vale per altri l’idea che questo tracciato ricorda l’Amstel, beh, lui in Olanda ha già vinto: potremmo vederlo muoversi a metà corsa e provare a fare selezione da lontano, mentre Štybar, non soffrisse un certo tipo di chilometraggio, sarebbe di diritto tra i dieci favoriti, visto che il percorso si sposa perfettamente con le sue caratteristiche e con la condizione mostrata di recente alla Vuelta. La Danimarca ha una vera e propria corazzata, ma tanti ottimi corridori non portano necessariamente al successo: basti vedere gli errori commessi proprio dai danesi nella prova Under 23. Fuglsang è stato a lungo vicino a essere inserito nella lista dei dieci nomi, molti lo indicano come l’outsider più temibile se dovesse dimostrare una condizione anche lontanamente vicina a quella espressa a inizio stagione: d’altronde nelle classiche impegnative, in questo 2019, è stato secondo solo ad Alaphilippe. Potrebbe attaccare su una delle salite prima del circuito e poi fare la selezione in un gruppetto: il suo nome tornerà spesso di moda nella giornata di domani. Valgren, dopo non essersi praticamente mai visto in questa stagione, è cresciuto di recente e ha un certo feeling con il Mondiale, Cort Nielsen, veloce e resistente, è corridore da non portarsi mai appresso e vicino all’arrivo. E che dire di Asgreen e Mads Pedersen? Tra i giovani più interessanti del panorama e sul podio nelle ultime due edizioni del Fiandre, sono corridori resistenti e forti sul passo e con qualche chance di medaglia domani, dovessero emergere corridori non di primissima fascia.

Infine l’Italia: Trentin è il capitano designato, ma se la gara dovesse rivelarsi particolarmente impegnativa, allora Moscon e Bettiol assumerebbero un ruolo importante anche in funzione tentativo di conquistare le medaglie. Visconti avrà il compito che sarebbe stato cucito su Nibali: un luogotenente di qualità, capace di inserirsi in una fuga importante magari accoppiato a qualche altro azzurro. Colbrelli è la carta  alternativa da giocarsi in caso di sprint (??) di un gruppo più o meno scremato, Cimolai, invece, potrebbe essere inserito in qualche azione dalla media distanza, ma dovrà superare indenne la prima parte, mentre Puccio sarà il tuttofare. Ci siamo tenuti per ultimi Ulissi: per lui vale un discorso simile a quello fatto qualche riga prima su Wellens; è un corridore che se è in giornata potrebbe far paura a molti e che prima o poi troverà la pedalata giusta anche in un grande appuntamento. Quel finale che tira all’insù potrebbe ispirarlo in maniera particolare, il problema per lui sarà arrivare a quel punto insieme ai migliori. In tal caso, la condizione mostrata in questo 2019, e anche di recente, potrebbe farlo ambire persino a una medaglia.

Foto in evidenza: ©WielerFlits.nl, Twitter