Peter Sagan, la Strade Bianche, le classiche e i nomi da appuntarsi.
Strade Bianche: corsa giovane eppure antichissima e spettacolare. Come va considerata?
Alessandro Autieri: La Strade Bianche in pochi anni è cresciuta così tanto da meritarsi l’appellativo, che non invento di certo io, di sesta Monumento. Oramai è a tutti gli effetti la Grande Classica che apre la stagione delle corse in linea, andando a togliere lo scettro alle prime corse del Belgio, che restano sempre interessanti e spettacolari, oltre a essere intrise di storia e agonismo. La Strade Bianche però ha la peculiarità che ha già avvicinato questa gara in solo dodici edizioni all’altra grande Regina delle classiche, ovvero la Parigi-Roubaix: un percorso unico che non si rivede in nessun’altra corsa durante l’anno. I settori in sterrato si percorrono per questa corsa e poi basta, come succede alla Roubaix (escludiamo da questo argomento le volte che il Tour ha toccato qualche settore di pavé, o il Giro lo sterrato senese nel 2010). Se poi parliamo oltre che di valori tecnici, anche di partecipazione, ecco un albo d’oro che in pochi anni, a eccezione di un unico vero carneade (lo svedese Lövkvist in un’edizione dimenticabile per quanto riguarda la lista di partenza), vede tre volte Cancellara, due volte Kwiatkowski, una Gilbert, un campione del ciclocross come Štybar, e lo scorso anno Benoot in quella che è stata finora l’unica affermazione del campioncino belga tra i professionisti, al termine di una gara entusiasmante da rivivere altre centomila volte. Nomi importanti che aiutano ad accrescere lo spessore delle Strade Bianche. Oltretutto lo scorso anno la corsa ha visto al via un numero così importante e completo di corridori che difficilmente abbiamo ritrovato durante l’anno. Tutti la vogliono correre, la gara ha un seguito incredibile all’estero (in Belgio la amano già alla follia, ma anche fuori dall’Europa): è uno spot magnifico per il nostro ciclismo, per tutto il ciclismo. Eroismo, epica, battaglie faccia a faccia: parole chiave di una corsa che è già appuntamento caldo della stagione. E a proposito di “nostro ciclismo”, da sottolineare, se qualcuno fosse atterrato solo ora sul pianeta Due Ruote, come l’Italia abbia vinto solo una volta, con Moreno Moser nel 2013. Sagan, invece, qui ha collezionato due secondi posti, un quarto e un ottavo: la digerisce a fatica pur essendo pienamente nelle sue corde; chissà che non possa vincerla quest’anno, anche se di recente ha dichiarato di non vivere le vittorie che gli mancano, come un’ossessione. Chiediamo però una cosa: la televisione ci offre gli ultimi cento chilometri di Sanremo – quando ne basterebbero quaranta, massimo cinquanta, forse anche dieci o l’ultimo chilometro – mentre della Strade Bianche in questi anni abbiamo visto solo le fasi finali di gara con il collegamento iniziato a corsa già esplosa, perdendoci sempre il gusto di ammirare lo spettacolo dei luoghi in cui si corre sin dalle prime battute, la meraviglia dei primi tratti in sterrato, tanto pericolosi quanto dotati di fascino. Speriamo che da quest’anno le cose possano andare meglio, perché è una corsa che merita di essere seguita dalle prime fasi, come e più di una diretta integrale del Tour.
Sagan ha detto che vincere Sanremo, Fiandre e Roubaix nella stessa primavera sarebbe un sogno. Può farcela? E cosa aspettarsi da lui alla Liegi?
Davide Bernardini: Partirei da un punto fermo: Milano-Sanremo, Giro delle Fiandre e Parigi-Roubaix sono tre corse che strizzano platealmente l’occhio a Peter Sagan, che infatti partecipa sempre col piglio di chi vuole vincerle e sa di poterci riuscire. Che inanellarle sia un sogno non lo metto in dubbio, sono più scettico invece sulle effettive possibilità di realizzazione. Nessuno ha mai vinto queste tre Monumento nella stessa stagione: nemmeno Merckx, nemmeno De Vlaeminck. Il Fiandre mi sembra quella più adatta alle caratteristiche di Sagan; anche la Sanremo, a voler essere sinceri, ma le varianti possibili e l’ampia rosa dei favoriti riducono notevolmente le sue chance di vittoria, che rimangono comunque buonissime; la Roubaix, invece, ha sempre messo abbastanza in difficoltà lo slovacco: la stupenda vittoria dello scorso anno non cancella il ventitreesimo posto del 2015, l’undicesimo del 2016 e il trentottesimo del 2017. Per conquistare le prime tre classiche monumento della stagione, a Sagan non basterebbe nemmeno una forma straripante: fatica accumulata di corsa in corsa, pressione mediatica, imprevisti, incidenti meccanici e la presenza di avversari di prim’ordine rendono ogni campagna (sua, ma anche degli altri capitani) un’avventura. Il discorso che riguarda la Liegi-Bastogne-Liegi è soltanto una conseguenza di quanto detto fino a questo punto. Pensare di disputare una buona quarta classica monumento dopo averne corse tre in trenta giorni con l’obiettivo di vincerle mi pare impossibile. È anche vero che l’ultima parte del percorso della Liegi è stato rivoluzionata: via la Côte de Saint-Nicolas e il tradizionale arrivo ad Ans per far posto al ritorno di Côte de Wanne, Stockeu e Haut-Levée, con la Roche-aux-Faucons come trampolino a circa quindici chilometri dal traguardo, spostato, dopo ventisette anni, nel centro di Liegi. Il segmento conclusivo e l’arrivo pianeggianti aprono, come sempre, un ventaglio di soluzioni indecifrabile: c’è chi attaccherà senza riserve, chi temporeggerà aspettando la volata, chi potrà mollare in un primo momento per rientrare nelle battute finali e chi, invece, anticiperà per evitare uno sprint a ranghi ristretti. Altimetricamente parlando, il finale è sicuramente più semplice e questo, almeno sulla carta, favorisce un corridore come Sagan. Ci sono alcuni precedenti incoraggianti: i piazzamenti di Albasini, la vittoria di Gerrans e il quarto posto di Matthews nel 2017, atleti che, come lo slovacco, rendono al meglio su percorsi misti pur non essendo particolarmente abili in salita. Dal mio punto di vista, Sagan può tentare l’assalto alla Liegi-Bastogne-Liegi a patto che lasci perdere la campagna del Nord e che non venga fuori una corsa ingestibile. Avversari come Bardet, Woods, Alaphilippe, Kwiatkowski, Dan Martin e Valverde arriveranno più freschi e motivati: se decidessero di impostare un ritmo elevato, non credo che lo slovacco possa essere in grado di rispondere a sollecitazioni del genere. Sagan, per quanto potente e duttile, fino a oggi raramente ha saputo stupirci. Ha brillato dove ci si aspettava lo facesse: per questo credo che una Liegi-Bastogne-Liegi dopo una primavera così intensa possa regalargli più delusioni che soddisfazioni.
Giovani, outsider, sorprese: è l’ora delle scommesse.
Paolo Stradaioli: La morfologia delle Classiche, unita a un blasone che spesso si trasforma in timore reverenziale per quelle strade ammantate di leggenda, si presta alle sorprese almeno quanto non si presta alle improvvisazioni. Dunque, diventa difficile immaginare un giovane capace di rapire la scena: non è nemmeno chiaro se e quali classiche correrà un predestinato come Remco Evenepoel, a dimostrazione della cautela che le squadre impongono ai loro corridori più inesperti. Parlando di sorprese e di outsider, invece, si potrebbe non finire mai, tanto è vasto il panorama dei ciclisti capaci di mandare in fumo il lavoro dei bookmaker, quindi proviamo a dare dei paletti.
Per le classiche pianeggianti e sul pavé bisogna partire da un nome: Matteo Trentin. La crescita del ragazzo di Borgo Valsugana è stata esponenziale negli ultimi due anni. Ormai si fatica anche a chiamarlo outsider, ma il successo di spessore manca. Nel piovoso europeo di Glasgow ha dimostrato di poter mettere la ruota davanti ai migliori, la Sanremo è il primo obiettivo, meno di un mese dopo la Parigi-Roubaix, why not?
Dopo un 2018 del genere non si possono non citare i nomi di Magnus Cort Nielsen e Matej Mohorič, due schegge impazzite, competitivi negli arrivi a ranghi ridotti, pregevoli finisseur, lottatori nati. Attenzione alla nuova vita all’Arkéa di André Greipel, a cui in carriera manca uno splash nelle classiche; e a proposito di nuova vita, se cercate un nome hipster segnatevi Łukasz Wiśniowski. Il polacco è passato alla CCC per fare da gregario a Van Avermaet ma se il fuoriclasse belga non dovesse essere in condizione l’ex Team Sky potrebbe regalarci sorprese. Restando sul Team Sky sarà interessante capire quanto spazio d’improvvisazione avrà Owain Doull, un classe ’93 che ha mostrato buone sensazioni sul pavé. Gli ultimi due nomi spendibili per far saltare il banco sono Silvan Dillier, con la consapevolezza del secondo posto alla Roubaix dello scorso anno, e Nils Politt, tedesco della Katusha che sempre nella corsa francese ha ottenuto un promettente settimo posto.
Parlando invece di classiche mosse bisogna partire dal grande assente del 2018, ovvero Lilian Calmejane. L’hype che circondava il ciclista della Direct Energie, dopo un 2017 da next big thing del ciclismo francese, si è piuttosto ridimensionato e starà a lui riportare il suo nome tra gli argomenti più succulenti del ciclismo contemporaneo. Se sulla solidità di Calmejane ci sono dei dubbi, ne rimangono molto pochi sul valore di Gianni Moscon. Il quinto posto ai mondiali è già una dichiarazione d’intenti: la Sky probabilmente si appoggerà a lui nelle corse di un giorno, dato che riesce a essere competitivo per tutta la stagione primaverile, dalle Strade Bianche alla Liegi. Se sceglierà bene i suoi obiettivi ne vedremo delle belle. Quando i capitani bucano l’appuntamento spetta ai luogotenenti puntare al bersaglio grosso, e allora segniamoci i nomi di Jan Hirt, Jack Haig, Lawson Craddock e Pello Bilbao, tutta gente che in salita va veramente forte e, qualora liberi da ordini di squadra, potrebbe anticipare i big della corsa. Merita ancora più considerazione Sam Oomen, talento cristallino del Team Sunweb. Alla Liegi sarà a disposizione di Dumoulin, ma Freccia Vallone e Amstel Gold Race saranno un terreno di caccia ghiottissimo per il giovane olandese. Chiudiamo con una citazione speciale per Alessandro De Marchi: il Rosso di Buja è uno dei corridori più apprezzati nel gruppo e a maggio compirà trentatré anni, il momento perfetto per togliersi una grande soddisfazione. Dopo aver perso in estate Dennis e Porte, la CCC non ha un nome forte per questo tipo di corse (quelle troppo dure per Van Avermaet, ovviamente). Chissà che non arrivi la sorpresa che non ti aspetti, dopotutto le classiche sono fatte per chi ha voglia di attaccare, sempre e comunque.
Perché le classiche ci piacciono così tanto? Perché questo periodo è così magico?
Stefano Zago: Lo abbiamo detto più volte: il ciclismo, in particolare il racconto del ciclismo, soffre di una malattia: la continua ricerca, quasi nostalgica, dell’epica delle gesta ciclistiche di un tempo. Quasi come la melassa con le mosche. La bicicletta, però, come mi disse Marco Pastonesi in un’intervista, va avanti, non va indietro. Per questo l’epica va ricercata ma andando in avanti, non volgendosi sempre indietro per rimpiangere “i bei tempi”. Il primo atteggiamento è costruttivo, il secondo, agli antipodi, è la rovina del racconto sportivo. Le classiche di primavera e quelle del Nord sono una giusta commistione tra un’epica sportiva che guardi avanti e l’influsso della storia passata di questo sport. L’epica è rivolta al presente perché le gesta per cui ci si entusiasma sono quelle dei corridori attuali. Non serve richiamare (anche se talvolta si fa per impreziosire il narrato) le gesta degli anni ’50 perché le gesta attuali sono altrettanto epiche. E questo perché la cornice è storica, è d’altri tempi e chiunque vinca in quella cornice fa qualcosa “fuori dal tempo”. Non serve tornare al ciclismo dei tempi che furono perché i paesaggi di gara hanno qualcosa di “dolcemente invecchiato”. Non ci si volta indietro; si guarda solamente un qualcosa che il tempo non ha trasformato del tutto. Ecco la magia: una bicicletta che va avanti in posti che hanno, almeno in parte, fermato la storia. Una sorta di equilibrio temporale spezzato dove presente e passato si fondono nel “qui e ora”. Una forma d’arte. In fondo cos’è l’arte se non perdita di equilibrio?
Sanremo, Fiandre, Roubaix e Liegi: un pronostico.
AA: Alaphilippe è il mio nome per Sanremo senza se e senza ma: ci sta arrivando bene e secondo me sarà lui l’uomo capace di scongiurare l’arrivo in volata. In alternativa, in caso di sprint, dico Degenkolb. Sagan, in un modo o nell’altro, non la vincerà nemmeno quest’anno. Anche al Fiandre la rosa è ampia, e senza aver visto come sono messi i corridori nelle prime gare del nord, dico banalmente Gilbert, Sagan, Van Avermaet. La Roubaix sarà affare belga: Van Aert, Stuyven, Gilbert, Van Avermaet o Vanmarcke. La Liegi dipende da che svolgimento avrà, contando che sarà cambiato il percorso e non ci sarà più l’arrivo ad Ans, dunque chi non vuole essere fucilato in uno sprint ristretto deve partire da un po’ più lontano. A oggi i nomi sono i soliti: Alaphilippe, lo Yates forte e simpatico e Don Alejandro.
DB: Dato che i pronostici non servono a niente se non a discutere e a far polemica, dico quello che mi viene. Alla Sanremo spero Colbrelli o Matthews (da qualche settimana mi ronza in testa Bonifazio, me lo sarò sognato, nel dubbio metto anche lui) ma temo Sagan; lo slovacco è tagliato per i muri del Fiandre, quindi me lo aspetto anche alla Ronde, nonostante preferisca uno tra Trentin e Van Avermaet; la Roubaix sarà la consacrazione di Stuyven, e non nascondo che mi piacerebbe poter dire lo stesso di Moscon; la Liegi, infine, se la giocheranno Alaphilippe e Valverde: farò il tifo per Dan Martin e Woods, perché oltre che forti sono anche interessanti, e per Ulissi, perché le emozioni non si spiegano e quindi tocca prenderle come vengono.
PS: La Milano-Sanremo rischia di diventare quasi un’ossessione per Sagan e quando lo slovacco si mette in testa una cosa difficilmente non tira fuori la gara della vita. Dopo due anni ad appannaggio degli attaccanti, potrebbe toccare di nuovo ai velocisti, quindi è lecito sognare un bis italiano con Viviani a dare seguito al capolavoro di Nibali. Se arriva in condizione, però, il mio favorito è Gaviria: la UAE potrebbe giocare anche la carta Kristoff, ma il colombiano è di un altro livello e avrà l’occasione di cogliere il suo primo grande successo nelle corse di un giorno.
Il percorso del Giro delle Fiandre è veramente tosto, una delle classiche più imprevedibili del circuito. Quest’anno è forse la corsa più difficile dove fare pronostici, quindi serve un nome abituato a non sbagliare sotto pressione e per me quel profilo è Greg Van Avermaet: nonostante le quasi trentaquattro primavere sul groppone sarà ancora lui l’uomo da battere.
Dopo aver rischiato di saltare la stagione pur di correre con il Team Jumbo-Visma (non si sta dietro a questi continui cambi di nome) alla Parigi-Roubaix mi aspetto l’acuto di Van Aert e la Roubaix rischia di essere il delitto perfetto. Per me è lui il favorito, ma attenzione a chi questa gara sa come vincerla, penso soprattutto a Terpstra: trionfante nel 2014, passato alla Direct-Energie in estate, vuol far rimpiangere a Lefevere di non aver dato fiducia a un cavallo, seppur stagionato, di razza purissima com’è l’olandese.
Esiste una cosa più romantica di Valverde a braccia alzate nella sua corsa con la maglia arcobaleno addosso? Creo que no, ma rischia di essere troppo, così come sarebbe troppo per uno come Simon Yates imporsi anche come uomo da classiche dopo aver palesato che il futuro dei Grandi Giri, in linea di massima, è roba sua (voi comunque un occhio datecelo, parliamo di un fuoriclasse). A mio avviso la Liegi è l’esame di maturità di Alaphilippe: vincere la Freccia Vallone mica è poco, ma per imprimere il proprio nome nella storia del ciclismo serve una Classica Monumento. Per il francesino della Deceuninck potrebbe essere l’anno giusto.
SZ: Un pronostico a lungo termine è sempre complesso. Ancora di più per chi parla: sinceramente più di una volta ho avuto il serio dubbio di portare sfortuna agli atleti pronosticati. Mettiamola così: i miei saranno auspici. Mi piacerebbe fosse Elia Viviani a imporsi alla Milano-Sanremo: sarebbe la conferma di una consacrazione a miglior velocista del nostro tempo che si fa via via più certa volata dopo volata. Sognerei un bis di Peter Sagan nel velodromo di Roubaix: lo slovacco di successi consecutivi, dopo i tre mondiali, se ne intende e a Roubaix potrebbe bissare la vittoria del 2018. Sarebbe bello vedere Alejandro Valverde a braccia alzate, con la maglia di campione del mondo ed il sorriso, alla Liegi-Bastogne-Liegi. L’ultima sua vittoria in questa gara, due anni fa, fu bagnata dalle lacrime per la scomparsa di Michele Scarponi. Credo che Greg Van Avermaet meriti quel successo sfuggitogli di mano all’ultimo secondo al Giro delle Fiandre: il campione gentiluomo non può permettersi di sbagliare ancora.
(immagine in evidenza s.yuki [CC BY 2.0 (https://creativecommons.org/licenses/by/2.0)]