Quali sono i corridori che hanno maledetto la brusca interruzione della stagione?
In attesa di capire quali saranno stati i corridori ad aver maggiormente giovato dalla pausa improvvisa e forzata che ha impedito loro di correre, parliamo invece di quegli atleti che hanno visto interrompersi proprio sul più bello un ottimo inizio di stagione – talvolta persino folgorante. Agli inizi di marzo, vale a dire nei giorni in cui la stagione si è arenata, di corridori in forma ce ne sono parecchi: chi si è allenato tanto e bene nell’inverno, chi ha brillato nelle prove australiane e mediorientali che aprono il calendario, chi punta alle classiche e alle brevi corse a tappe che si disputano tra marzo e aprile. Insomma, fatta eccezione per alcuni scalatori interessati perlopiù alle classifiche generali dei grandi giri, il resto del gruppo sembrava godere di uno stato di forma piuttosto buono: anche chi doveva affinare la propria condizione, ad esempio, pareva in crescita e il tempo per farlo non gli mancava di certo. A questi corridori – erano tanti, selezionarne dieci non è stato semplice – la momentanea sospensione delle gare ha letteralmente tagliato le gambe, mandando a monte mesi di lavoro e sacrifici e l’opportunità di vivere una primavera memorabile – c’è chi bramava il successo che vale una carriera.
Tiesj Benoot

Se c’era un corridore che stava stupendo, quello era Tiesj Benoot. E infatti, le sue parole sono state tra le più ricercate nei giorni immediatamente successivi alla decisione di fermare il ciclismo. «Non è la fine del mondo e non posso farci nulla», rifletteva in un’intervista concessa a Cycling News, «ma è davvero un peccato non poter partecipare alle classiche con una forma del genere». Per mettere le cose in chiaro, a Benoot era bastata una sola corsa: la Parigi-Nizza. Il debutto era arrivato nel primo fine settimana belga, quello della Omloop Het Nieuwsblad e della Kuurne-Bruxelles-Kuurne, e non lasciava presagire niente di clamoroso: quattordicesimo nella prima, nel gruppetto che si giocava il quinto posto e che comprendeva tra gli altri Naesen, Gilbert, van Aert e Van Avermaet; sessantaquattresimo il giorno dopo, distante quasi due minuti dal drappello dei migliori che inseguiva Asgreen. Fin dalla prima tappa della Parigi-Nizza, tuttavia, Benoot ha dimostrato di stare sempre meglio: terzo dietro a Schachmann e Teuns. Poi, nelle ultime due tappe, si è superato: nella sesta si è levato di ruota Nibali per poi involarsi in solitaria verso il successo di tappa – appena la terza vittoria della sua carriera; nella settima, che da penultima è diventata ultima a causa della pandemia ormai dilagante, Benoot ha chiuso secondo, il primo degli inseguitori di un Nairo Quintana che sugli arrivi in salita sembra aver ritrovato il colpo di pedale di qualche anno fa. La Parigi-Nizza di Benoot è stata significativa: una vittoria di tappa, secondo in classifica generale e in quella riservata agli scalatori, primo in quella a punti. Dopo più di cinque anni con la Lotto, l’esperienza alla Sunweb non poteva iniziare in maniera migliore. La primavera sarebbe stata la sua stagione: tra brevi corse a tappe e classiche, infatti, Benoot avrebbe avuto di che divertirsi. E invece, tutto rimandato. La speranza è che questi mesi gli abbiano schiarito le idee: cosa vuole diventare? Deve chiederselo, ormai: non può più rimandare. Ha ventisei anni, è professionista dalla fine del 2014 e fino ad oggi si è rivelato paradossalmente troppo completo per primeggiare con continuità su un terreno piuttosto che su un altro: lo scorso anno fu quinto alla Strade Bianche, nono al Fiandre e quarto al Giro di Svizzera, una delle brevi corse a tappe più impegnative. Un’indecisione che Benoot rischia di pagare caro: perché le gambe servono, d’accordo, ma anch’esse devono sapere per cosa stanno mulinando.
Niccolò Bonifazio

A nove giorni dalla Milano-Sanremo, la corsa che lo ha lanciato tra i professionisti e l’unica classica monumento alla sua portata, Niccolò Bonifazio conquistava la vittoria più bella e significativa della sua carriera: la quinta tappa della Parigi-Nizza, con una volata talmente imperiosa da assomigliare ad una stoccata da finisseur. Alle sue spalle alcuni dei migliori velocisti del mondo: García Cortina, Sagan, Bouhanni, Degenkolb, Viviani, Coquard, Nizzolo, Stuyven, Matthews. Si trattava della seconda vittoria stagionale, avendo già alzato le braccia al cielo nella seconda tappa del Saudi Tour: al secondo giorno di corsa della sua stagione, infatti, Bonifazio si produceva – questa volta sì – in un affondo da finisseur che non pensavamo gli appartenesse. Un’azione durata diverse centinaia di metri che gli permetteva di mettere nel sacco i velocisti: con le dovute proporzioni, non molto diversa da quella che s’inventò Fernando Gaviria alla Parigi-Tours 2016. Due giorni più tardi, soltanto Bouhanni gli negò una bis benaugurante. Arrivato alla Total Direct Energie lo scorso anno, Bonifazio sembra aver trovato nella squadra francese una realtà estremamente adatta alle sue caratteristiche: è uno dei capitani, dunque le occasioni e la libertà di rincorrerle non gli mancano; in più, essendo una Professional, la Total Direct Energie negli appuntamenti più prestigiosi del calendario può permettersi di nascondersi e di lasciare che siano le squadre del World Tour a gestire la corsa. Considerando che a ottobre compirà ventisette anni, senza dimenticare che è professionista da quando ne aveva venti, per Bonifazio è arrivato il momento di sfruttare al massimo l’enorme potenziale di cui è dotato e di dimostrare che almeno una parte di tutti quei piazzamenti conquistati in carriera possono trasformarsi in vittorie. Stiamo parlando di un corridore che arrivò quinto alla Milano-Sanremo del 2015, vale a dire quando aveva ventuno anni e mezzo; che al Giro d’Italia 2018, fin qui l’unico della sua carriera, chiuse tre tappe al terzo posto; che l’anno scorso, al primo Tour de France della sua vita, fu quinto a Nîmes e terzo sui Campi Elisi, battuto soltanto da Ewan e Groenewegen. Se riuscisse ad affinare la continuità, Bonifazio diventerebbe una delle mine vaganti più pericolose. Il talento non gli manca: quand’è in giornata ha già dimostrato di valere poco meno dei migliori velocisti del gruppo.
Rui Costa

Come da tradizione, Rui Costa ha iniziato la stagione in maniera brillante. Ha vinto subito, al debutto, la prima tappa del Saudi Tour, breve corsa a tappe nella quale avrebbe poi ottenuto il terzo posto finale. Due settimane più tardi, invece, grazie ad un paio di piazzamenti tra i primi cinque, concludeva al quarto posto la Volta ao Algarve: a precederlo, Evenepoel, Schachmann e Miguel Ángel López; seguivano, invece, tra gli altri, Wellens, Mollema, Daniel Martin, Nibali, Van Avermaet e Kwiatkowski. Rui Costa, tuttavia, non è l’unico corridore della UAE-Emirates ad essersi distinto nella primissima parte della stagione: tutti i corridori più attesi, infatti, hanno dato prova del loro talento. Pogačar ha esultato in quattro occasioni diverse, mentre Gaviria e Molano sono arrivati a tre; Kristoff ha terminato al secondo posto la Clasica de Almeria e al terzo la Kuurne-Bruxelles-Kuurne, mentre Ulissi è stato secondo nella classifica generale del Tour Down Under – lo stesso risultato centrato da Pogačar all’UAE Tour. Essendo ormai prossimo ai trentaquattro anni – li compirà ad ottobre -, per Rui Costa le recriminazioni per l’interruzione forzata della stagione sono maggiori rispetto agli eventuali vantaggi: era tornato alla vittoria tre anni dopo l’ultima volta e la primavera, tra prove di un giorno e brevi corse a tappe, gli aveva promesso gloria e riscatto. Anche se non è più il bel corridore ammirato qualche anno fa, Rui Costa non è un atleta in disarmo: pur avendo vinto soltanto quattro volte dal giugno del 2015 ad oggi, i tanti piazzamenti accumulati tratteggiano il profilo di un corridore completo e volitivo, che non ha mai avuto paura di cercare la fuga se tutte le altre strade gli erano inaccessibili. La classica sulla quale puntava tutto era la Liegi-Bastogne-Liegi, che lo ha visto entrare tre volte nei primi dieci e salire una volta sul podio – terzo nel 2016, un’edizione piuttosto strana e caratterizzata dal maltempo, vinta infine da Wouter Poels. Delle brevi corse a tappe, invece, gli interessava perlopiù il Romandia, ormai uno degli appuntamenti fissi del suo calendario: terzo nel 2012, 2013 e 2014, sesto nel 2016, quinto nel 2018 e secondo lo scorso anno. La vicinanza di molte corse potrebbe favorire chi è intenzionato a sfruttare un eccellente stato di forma; tuttavia, rimane l’amarezza d’aver perso la primavera più promettente delle ultime stagioni, quella che faceva seguito al successo ritrovato, una delle ultime primavere della carriera ciclistica di Rui Costa.
Søren Kragh Andersen

Terzo al debutto stagionale alla Omloop Het Nieuwsblad, l’unico a contenere entro i dieci secondi il distacco da Stuyven e Lampaert, la coppia che s’è giocata il successo di giornata; e poi decimo alla Parigi-Nizza, col successo nella cronometro individuale ad impreziosire la settimana. Quel giorno, nei quindici chilometri che si esaurivano a Saint-Amand-Montrond, Søren Kragh Andersen batté dei passisti di tutto rispetto: Asgreen, De Gendt, Campenaerts, Küng, Jungels, Porte. Eppure, al netto di una subitanea e comprensiva sorpresa, Kragh Andersen non spuntava dal niente: il passo e il cronometro, infatti, gli hanno sempre strizzato l’occhio. Delle cronometro fu campione danese tra gli Under 23, senza dimenticare la vittoria nel prologo del Tour de l’Avenir 2015. Una volta arrivato tra i professionisti, Kragh Andersen si è rivelato imprescindibile nel treno della Sunweb che nel 2017 ha vinto la medaglia d’oro nella cronosquadre mondiale e un anno più tardi quella d’argento. In più c’è il quinto posto nella cronometro di Espelette, quella che chiudeva definitivamente la lotta per la maglia gialla del Tour de France 2018. Da quand’è professionista, ovvero dal 2016, Søren Kragh Andersen non aveva mai principiato una stagione in maniera così convincente. Per lui vale lo stesso discorso fatto per Rui Costa: più in generale è stata la squadra, nel caso di Kragh Andersen si tratta della Sunweb, a lasciare il segno fin da subito. Alle vittorie del danese, di Hindley, di Bol, di Benoot e di Dainese si aggiungono i piazzamenti di Matthews, di Kelderman, di Roche. Coi suoi venticinque anni – saranno ventisei ad agosto -, Søren Kragh Andersen è uno dei corridori più promettenti di un movimento, quello danese, che nel giro di qualche stagione ha raggiunto i vertici del ciclismo professionistico. Forte sul passo e tutto sommato resistente su percorsi non proibitivi, davanti a lui si aprono praterie di possibilità. Nelle cronometro può diventare uno dei migliori al mondo, dato che quand’è in giornata batte gli specialisti; sulle pietre, pur essendo sull’uno e ottanta e pesando più di settanta chili, deve ancora dimostrare molto: l’anno scorso fu undicesimo alla Gand-Wevelgem, ma al Giro delle Fiandre non è andato oltre un cinquantatreesimo posto nel 2018 e alla Parigi-Roubaix ha tre ritiri in altrettante partecipazioni. Come per Benoot – sono entrambi del 1994 -, la primavera che non c’è stata avrebbe potuto dare indicazioni importanti sul loro futuro: dovranno affidarsi all’autunno, dunque.
Alexey Lutsenko

La carriera di Alexey Lutsenko sta prendendo forma anno dopo anno, una crescita apparentemente giusta proprio perché graduale: nel 2012 la maglia iridata tra i dilettanti; poi le prime importanti affermazioni parziali tra i professionisti – Giro di Svizzera, Parigi-Nizza, Vuelta; in seguito la classifica generale di alcune brevi corse a tappe di secondo piano, sintomo di una resistenza sempre più marcata e di una costanza via via più affidabile; e infine, nel 2019, una serie di risultati che lo ha fatto entrare di diritto nella ristretta rosa degli outsider per gli appuntamenti più importanti: il quarto posto alla Kuurne-Bruxelles-Kuurne, il settimo alla Strade Bianche, la vittoria di tappa alla Tirreno-Adriatico, il settimo al Delfinato, il diciannovesimo al Tour de France dopo aver corso perlopiù come gregario di Fuglsang; e ancora il quarto al Giro di Germania, il secondo alla Coppa Agostoni e le due vittorie consecutive alla Coppa Sabatini e al Memorial Marco Pantani. Il 2020 era iniziato nel solco delle ultime stagioni. Lutsenko è parso sempre più solido e concreto: prima ha chiuso al terzo posto il Tour de la Provence, grazie anche al secondo posto sul Mont Ventoux dietro ad un inarrestabile Nairo Quintana; poi è stato di nuovo terzo all’UAE Tour, in virtù dei due ottimi piazzamenti strappati nelle due frazioni che terminavano in cima alla salita di Jebel Hafeet – terzo dietro ad Adam Yates e Pogačar nella terza tappa, secondo poiché battuto in volata da Pogačar nella quinta. Alexey Lutsenko è ormai entrato nel suo periodo più maturo: a settembre compirà ventotto anni e ormai ha esperienza da vendere, correndo con l’Astana dal 2013. La formazione kazaka è una garanzia: pur non avendo velocisti e uomini da pavé, riesce a ritagliarsi un ruolo da protagonista in quasi tutte le prove più prestigiose della stagione, in particolar modo in quelle altimetricamente più impegnative. Se la stagione fosse andata regolarmente avanti, Lutsenko avrebbe potuto provare finalmente a cercare il successo in una classica monumento: più la Liegi-Bastogne-Liegi del Giro delle Fiandre, anche se sui muri belgi nel 2016 arrivò quattordicesimo; anche se, ne siamo sicuri, non disdegnerebbe certo una Amstel Gold Race o la classifica generale di una breve corsa a tappe. Quando il gruppo ripartirà, Lutsenko non sarà l’unico corridore in forma; di corridori che a gennaio e febbraio andavano forte tanto quanto lui, invece, ce n’erano pochi.
Nairo Quintana

Se Hollywood fosse in Colombia, Nairo Quintana sarebbe una superstar del cinema. Venerato dai tifosi, stimato dai tecnici, preso ad esempio da tutti i suoi connazionali, modello da seguire per emergere come corridore professionista. Criticato in Europa dalle bocche buone e dalle lingue taglienti che seguono il ciclismo, a conti fatti Quintana negli anni ha raccolto molto – lasciando per strada, però, altrettanto. Sentiva bisogno di cambiare aria e all’Arkéa Samsic ha trovato l’ossigeno necessario per partire forte come mai sinora in carriera. Cinque vittorie in sedici giorni di corsa; secondo al campionato nazionale nella prova a cronometro, quarto in quella in linea; vincitore delle tappe più impegnative e della classifica finale al Tour de la Provence e del Tour des Alpes Maritimes et du Var; per non lasciare nulla al caso – o agli altri -, primo anche nella tappa regina della Parigi-Nizza. Nella breve – ma storica – corsa a tappe francese, solo i ventagli del secondo giorno non gli hanno permesso di conquistare il successo finale; l’impressione è che nei mesi di marzo e aprile, quelli costellati di brevi corse a tappe in giro per l’Europa, il suo palmarès, che al momento comprende ben quarantaquattro successi, poteva ulteriormente rimpinguarsi. Il suo obiettivo principale in stagione, il Tour de France, è stato spostato di quasi due mesi, ma se dovesse arrivarci con la fame, la cattiveria e il passo in salita mostrato oramai a inizio stagione, allora esiste davvero la possibilità concreta di vedere un corridore di una Professional vincere il Tour – o perlomeno lottare per provarci. A maggior ragione un Tour così, con una sola cronometro in programma e tante salite. Riuscirà Quintana a scardinare le difese di Jumbo-Visma e Team INEOS e a conquistare la tripla corona? Questo potrebbe essere uno dei temi più interessanti dello strano settembre che vivremo sulle strade del Tour de France. E a prescindere dalla voglia di seguire una corsa in bicicletta dopo tutti questi mesi, non vediamo l’ora di gustarci la nuova (o è semplicemente quella vecchia, ma senza polvere) versione di Quintana sulle strade del Tour de France.
Giacomo Nizzolo

Dopo diversi alti e bassi, tanti sogni dai quali si è svegliato bruscamente, infortuni, incidenti e vari problemi di natura fisica, il 2020 di Giacomo Nizzolo era partito come meglio non si poteva. Nonostante abbia compiuto trentuno anni, e per un velocista quell’età a volte corrisponde con l’imbocco del viale del tramonto, i primi mesi del 2020 per Giacomo Nizzolo sembravano il prodromo di qualcosa di importante, emblema di una squadra, la NTT Pro Cycling, che quest’anno pare aver decisamente cambiato marcia rispetto a un 2019 che peggio non si poteva. Nizzolo ha conquistato una tappa al Tour Down Under, primo successo italiano in stagione nel World Tour, meglio di Elia Viviani, fino a prova contraria il miglior velocista italiano. Primo successo della sua squadra, che lo scorso anno, con il nome di Team Dimension Data, aveva conquistato l’ultimo successo proprio con Nizzolo ad agosto nella Vuelta a Burgos, e che non vinceva una prova World Tour da quando Edvald Boasson Hagen anticipò tutti in una tappa del Criterium del Delfinato 2019. Nizzolo, poi, pochi giorni dopo il successo in Australia, sempre in Oceania sfiora il successo nella prima edizione della Race Torquay, piazzandosi alle spalle di Bennett; arriva secondo in un’importante classica belga, la Kuurne-Brussels-Kuurne, vincendo lo sprint del gruppo anticipato da Asgreen. Due giorni dopo, sempre in Belgio, a Le Samyn, il velocista milanese fa il diavolo a quattro, ma non va al di là di un sesto posto: troppe le energie sprecate nei chilometri finali di gara. Una corsa, però, che simboleggia la sua voglia di rifarsi dopo diverse stagioni in chiaroscuro. Alla Parigi-Nizza, a dimostrazione della brillantezza ritrovata, conquista una tappa davanti a Pascal Ackermann, lo scorso anno mattatore degli sprint al Giro d’Italia e uno dei velocisti più promettenti del gruppo. In programma per Nizzolo ci sarebbero state le corse più adatte alle sua caratteristiche da velocista atipico, a volte non troppo veloce per battere gli sprinter puri, ma abbastanza resistente per dire la sua alla Milano-Sanremo e alla Gand-Wevelgem. Il destino, però, ha mandato tutto e tutti a farsi benedire – è proprio il caso di dirlo. Tempo fa Nizzolo ci raccontò in un’intervista: «per rimanere davanti nelle classiche è necessario aver trascorso un inverno tranquillo e produttivo, cosa che a me non è mai capitata». L’impressione è stata quella di un inverno passato bene e c’auguriamo che possa essere accaduto qualcosa di simile durante la lunga primavera di stop, di modo che da agosto in poi possa di nuovo far valere la freschezza e la maturità manifestata all’inizio del 2020.
Iván García Cortina

Potrebbe essere l’uomo nuovo spagnolo per le corse di un giorno, pronto a raccogliere l’eredità di Óscar Freire e di Juan Antonio Flecha. A suo agio nei percorsi tortuosi, col maltempo, tra freddo, pioggia e ventagli, la parabola di García Cortina ci sembra quella dell’uomo – pardon, del ragazzo – al posto giusto nel momento giusto. Certo, ci sarebbe molto da ridire su quest’ultima affermazione, ma tant’è: a soli ventiquattro anni, il nativo di Gijón avrà tempo e modo per rimediare e rifarsi dello stop causato dalla pandemia. A inizio stagione volava, o meglio, sprintava più forte di tutti in quelli che potrebbero diventare i suoi arrivi: quelli convulsi e che tirano all’insù. Roba per corridori esplosivi, roba per i Peter Sagan, i Sonny Colbrelli – con i quali dividerà i gradi di capitano nelle corse di un giorno e negli arrivi di tappa -, i Jasper Stuyven e compagnia bella: potenti, forti e scattanti, agili, proprio come Ivan García Cortina. Lo spagnolo, stando a quelli che dovevano essere i suoi programmi, non avrebbe dovuto disputare la Milano-Sanremo, ma si sarebbe messo in mostra nelle corse del Belgio: ad agosto vedremo se la sua squadra rivedrà i suoi piani, perché un corridore così potrebbe dire la sua in una corsa come la Classicissima e anche nelle classiche del Nord. Forse giusto le Ardenne al momento gli potrebbero risultare indigeste, ma la sua parabola, lo abbiamo detto, è quella dell’uomo forte e in costante crescita e la Spagna potrebbe aver trovato il suo corridore di punta per le prove in linea di ogni tipo. Anzi, senza usare il condizionale: ci sembra il corridore sul quale, da quelle parti, dovrebbero scommettere a occhi chiusi.
Maximilian Schachmann

Nel suo secondo giorno di gara del 2020, Maximilian Schachmann ha dovuto fare i conti con l’astuzia e la malizia di Remco Evenepoel: è la seconda tappa della Volta ao Algarve e sull’arrivo all’Alto da Fóia il belga lo precede prima andando via di forza, poi resistendo di intelligenza. Ma d’altronde non è un caso se quando parliamo di Remco Evenepoel sottintendiamo ormai diversi concetti inutili – oltre che fuori tema – da ripetere. Nelle tre tappe successive, Schachmann chiude due volte quarto finendo secondo in classifica generale, proprio alle spalle del corridore belga. Solo un antipasto di quello che il tedesco mostrerà pochi giorni dopo alla Parigi-Nizza. Mentre il mondo si interrogava sugli effetti del COVID-19, Schachmann si rendeva protagonista di una corsa spettacolare, sempre all’attacco, noncurante del maltempo e delle situazioni che si venivano a creare in corsa e tutto intorno. Schachmann vince a Plaisir, il primo giorno, in una delle tappe più spettacolari degli ultimi anni della corsa francese, che di recente si è distinta, rispetto alla “gemella” Tirreno-Adriatico, per dispute sempre divertenti e mai scontate. Sotto la pioggia, corsa per uomini veri, Schachmann, da sempre a suo agio col maltempo e con la corsa d’attacco, mette le basi per quella che sarà la sua vittoria finale, la prima in una corsa a tappe in queste sue quattro annate da professionista. Sarà secondo nella cronometro di Saint-Amand-Montrond, resisterà agli attacchi che gli verranno sferrati da ogni parte, portando la maglia gialla fino all’ultimo giorno – che sarebbe dovuto essere il penultimo, ma questa è un’altra storia. Lo stop è stato penalizzante anche per lui, che con questa condizione sarebbe diventato automaticamente uno dei corridori da battere tra brevi corse a tappe spagnole e Ardenne, con la sua indole da attaccante che gli fa conquistare corsa dopo corsa sempre più tifosi. Tedesco atipico per caratteristiche, Maximilian Schachmann spera di vedere, tra agosto, settembre e ottobre più pioggia che sole, per poter provare a dire la sua e salire di colpi mentre gli altri magari cercheranno di portare a casa la pelle, tra vento e maltempo, cadute, strade che si sgretolano oppure che si impennano sotto le ruote. Vuole misurarsi al Tour, raccontava qualche giorno fa, e provare anche a fare classifica; a breve gli scadrà il contratto che lo lega alla BORA-hansgrohe e questo sembra un motivo in più per immaginarcelo al massimo anche con la riapertura dei battenti. Uno così in Francia sarà da tenere d’occhio in ogni situazione.
Sergio Higuita

Sergio Andrés Higuita García, o più semplicemente Sergio Higuita, è il nome nuovo del ciclismo colombiano, corridore che per alcune caratteristiche ricorda da vicino Carlos Betancur. Sergio Higuita va forte un po’ ovunque, ma predilige le salite secche e brevi alle lunghe scalate in successione. Almeno questa è l’idea che ci siamo fatti in queste prime stagioni, durante le quali il classe ’97 antioqueño di Medellín appare più tagliato per le corse di un giorno o le brevi corse a tappe che per dare battaglia nelle classifiche generali dei grandi giri. Arrivato più in sordina di altri ai vertici del ciclismo – e questo non è per forza un male, anzi -, Sergio Higuita in queste due stagioni cresce all’ombra della chioccia per antonomasia del ciclismo colombiano, Rigoberto Urán, il quale, quando gli chiesero chi fosse Sergio Higuita, rispose laconico: «non ne ho idea». Ma il biglietto da visita di Sergio Higuita non è tanto la conoscenza che Urán ha di lui, o la pubblicità che gli faceva il suo agente alla ricerca di una squadra per il proprio assistito, o le risposte che cercava Jonathan Vaughters prima di considerarlo per la sua squadra. No, il marchio di Higuita è lo scatto fulmineo, la resistenza, l’indole da attaccante, la voglia di dare spettacolo, la capacità di andare forte anche con il brutto tempo e in caso di sprint ristretto al termine di una corsa dura. Così le corse più adatte a lui diventano Freccia Vallone e Liegi-Bastogne-Liegi, anche se il suo unico successo nel 2019 lo ottiene alla Vuelta, diciottesima tappa, al suo primo grande giro disputato e concluso in quattordicesima posizione. Se proprio dovessimo scegliere un tipo di corse nelle quali provare sin da subito a vincere, le Ardenne fanno al caso suo e mai come in questo 2020 si sarebbe presentato se non con i gradi del favorito, almeno tra i nomi più interessanti da seguire. Soprattutto dopo aver fatto fuoco e fiamme in tutte le corse a cui ha partecipato: primo nel campionato colombiano, vincitore di una tappa – davanti a Bernal e Alaphilippe – e della classifica finale del Tour Colombia 2.1, e poi protagonista in una corsa infarcita di difficoltà simili a quelle delle classiche più impegnative come la Parigi-Nizza, dove chiude terzo in classifica generale e primo in quella riservata ai giovani. Difficile non aspettarselo protagonista anche quando la stagione riprenderà, prima con un occhio alle corse di un giorno e poi in futuro, se ne varrà la pena, anche nei grandi giri. “Un passo alla volta”, recita un vecchio adagio che pare cucito sulle misure tascabili di Sergio Higuita.
Foto in evidenza: ©BORA cookingsystems, Twitter