La seconda vita di Tom Dumoulin

Lasciata la Sunweb per la Jumbo-Visma, Tom Dumoulin prova a ripartire.

 

 

Dal 14 giugno 2019, ovvero dall’ultima volta in cui Tom Dumoulin ha preso parte a una corsa di ciclismo su strada, sono passati oltre nove mesi. Si trattava della sesta tappa del Delfinato, la più lunga: la vinse Alaphilippe, andando in fuga e battendo Mühlberger in volata; Dumoulin arrivò con undici minuti di ritardo, cinque abbondanti dal gruppo dei migliori. Il giorno dopo non sarebbe ripartito. Vista la tendenza, non è da escludere che il Delfinato venga cancellato o annullato insieme agli altri appuntamenti estivi, Olimpiadi e Tour de France compresi: vorrebbe dire oltre un anno lontano dalle corse per uno dei corridori più talentuosi e apprezzati delle ultime stagioni.

A dire la verità, un dorsale alla schiena Dumoulin se l’è riattaccato. Era dicembre, la corsa una prova di mountain bike, il terreno la sabbia della spiaggia di Scheveningen, Olanda. Chiuse sesto, mai risultato fu meno importante e interessante. Tuttavia, il momento fu emblematico: Tom Dumoulin, uno stradista eccezionale, che a dicembre inforca una mountain bike per gareggiare su una spiaggia; per doveri contrattuali, veste ancora i panni di un corridore della Sunweb nonostante abbia già firmato per la Jumbo-Visma da diverse settimane; pedala su una Giant, ovviamente, e non su una Bianchi. È un momento di transizione: per un pomeriggio, Dumoulin si trova a pedalare nel nulla. Nei suoi pensieri, il corridore che fu e il corridore che sarà.

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Affanni, cadute, acciacchi

Essendo abituati a pensare che la felicità sia direttamente proporzionale al successo; ed essendo portati quasi naturalmente a credere che il successo comporti soltanto un accrescimento della felicità: ecco, considerato tutto questo, sembra difficile credere alle difficoltà che Tom Dumoulin ha dovuto fronteggiare dopo la vittoria al Giro d’Italia 2017. L’appagamento, certo; un’attenzione maggiore, anche: ma non solo. Tom Dumoulin non riusciva più a concentrarsi su ciò che doveva fare: allenarsi per competere e, possibilmente, vincere. Improvvisamente, tutti lo desideravano: i giornali, le televisioni, gli sponsor. «Ho permesso che molti aspetti secondari, come le interviste, prendessero il sopravvento», ha spiegato recentemente a sport.be.

Sull’onda emozionale della conquista del Giro d’Italia, Dumoulin si sarebbe confermato anche nella seconda parte della stagione: quarto a San Sebastián, primo nel BinckBank Tour, campione olandese nelle prove contro il tempo; e, infine, due volte campione del mondo nelle cronometro, avendo primeggiato sia nella prova individuale sia in quella a squadre. Le fatiche psicologiche di quei mesi Dumoulin le avrebbe scontate nel 2018, definito da lui stesso «il mio anno più fastidioso». Fastidioso non a caso: secondo al Giro d’Italia, secondo al Tour de France, secondo nelle due cronometro mondiali, quarto nella prova in linea dei campionati del mondo. Se avesse vinto anche soltanto la metà di quello che ha sfiorato, staremmo parlando di una stagione eccezionale.

Alla partenza della Tirreno-Adriatico 2019 alcune fonti lo davano per ristabilito giusto in tempo per l’inizio vero e proprio della nuova annata. Fatta eccezione per la Liegi-Bastogne-Liegi, la sua primavera era stata incoraggiante: sesto all’UAE Tour, quarto alla Tirreno-Adriatico, undicesimo alla Milano-Sanremo, primo degli inseguitori alle spalle dei dieci uomini che si giocarono il successo. Al Giro d’Italia si presentava da favorito assoluto: più di Nibali, più di Simon Yates, più di Roglič, Carapaz, Miguel Ángel López. Eppure, alla vigilia dell’inaugurale cronoscalata al San Luca, Dumoulin era teso: il peso delle aspettative, forse; probabilmente, la consapevolezza di non poter contare su una squadra eccellente; sicuramente, il valore dei suoi avversari. Infine, le pressioni che Dumoulin mette addosso a sé stesso quando si parla di Giro d’Italia: è la sua corsa preferita, non lo ha mai nascosto, tanto da battezzarla come appuntamento principale a discapito anche del Tour de France. L’ascesa al San Luca andò male: quinto a ventotto secondi da Roglič; anche Simon Yates, Nibali e Miguel Ángel López fecero un tempo migliore del suo.

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Nei chilometri conclusivi della quarta tappa, col gruppo fremente verso Frascati, una caduta lo coinvolse. Secondo la testimonianza di Matteo Moschetti raccolta da La Gazzetta dello Sport, la strada era in leggera discesa e il gruppo viaggiava a oltre cinquanta chilometri orari. Dumoulin tagliò il traguardo quattro minuti dopo Carapaz, il vincitore di giornata: scortato da cinque compagni di squadra, il ginocchio sinistro era solcato da un taglio profondo da cui sgorgava un rivolo di sangue. «Non ci sono fratture, e questo è buono, ma il mio ginocchio è molto gonfio. Non ero in grado di spingere negli ultimi chilometri, quindi non so come starò domani. Di sicuro la classifica è andata», dichiarò poco dopo.

La mattina successiva lo aspettava la Frascati-Terracina, una tappa breve – centoquaranta chilometri – e semplice, ma flagellata dal maltempo. Prima di lasciare l’albergo, Dumoulin si era provato sui rulli e aveva già intuito la gravità della situazione. Il personale sanitario della squadra lo aveva rassicurato: da parte dei medici c’era il via libera, Dumoulin poteva presentarsi alla partenza della tappa. Dopo una manciata di chilometri, smontò e salì in ammiraglia. «Ho provato ad alzare il sellino, posso girare la gamba, fare molte cose, ma di sicuro non una gara», spiegò. «Per me, chiaramente, è una cosa terribile, dato che mi sono preparato per mesi. Non erano esattamente i miei piani. Non so quanto sia profonda la mia ferita, è stato un colpo molto duro e per questo ho perso molta potenza nella gamba. Non so se potrò fare il Tour de France, ci penserò nelle prossime settimane».

Rientrato con cautela al Delfinato, Dumoulin batté un colpo: terzo nella cronometro individuale, battuto da van Aert e van Garderen. Un risultato mediocre, a cose normali, per un cronoman del suo calibro; ma rincuorante, invece, per un atleta in cerca di segnali. D’accordo con la squadra, abbandonò al termine della sesta tappa per sottoporsi ad un’operazione al ginocchio ferito al Giro d’Italia: bisognava rimuovere alcune schegge, ripulirlo definitivamente; d’altronde, al Tour de France mancavano tre settimane. Sbrigata l’operazione, ventiquattr’ore più tardi Dumoulin viaggiava in direzione La Plagne, dove la squadra lo stava aspettando per un ultimo ritiro in altura prima della partenza della Grande Boucle. Mentre guidava, con fatica, verso la destinazione, Dumoulin maturò una scelta definitiva: non sarebbe andato né in ritiro né al Tour de France. Per far cosa? Dove sarebbe mai potuto arrivare? Riusciva a malapena a piegare il ginocchio. Fece un paio di chiamate, comunicò la scelta alla dirigenza; dopodiché, tornò a casa. Esclusa la gara di mountain bike sulla spiaggia di Scheveningen, Tom Dumoulin non avrebbe mai più indossato la divisa della Sunweb.

Tom Dumoulin taglia il traguardo di Frascati col ginocchio ferito e circondato dai compagni di squadra: il giorno dopo si ritirerà. @Tom Dumoulin, Twitter

C’è vita dopo Tom

Esistono due versioni della separazione tra Tom Dumoulin e la Sunweb. La prima è quella dei comunicati ufficiali: essenziale, garbata nella sua impersonalità. Dumoulin che ringrazia la squadra per il supporto, la comprensione e le vittorie conquistate insieme; Iwan Spekenbrink, il general manager della Sunweb, che dichiara d’aver apprezzato la sua sincerità e di comprendere benissimo la necessità di cambiare aria dopo così tanti anni passati insieme; Dumoulin che augura il meglio alla Sunweb e Spekenbrink che augura il meglio a Dumoulin. Poi, c’è la seconda versione: quella composta dalle interviste, dalle confidenze, dai malumori, dalle mezze verità dette a mezza bocca. La più attendibile, probabilmente.

Che Tom Dumoulin volesse cambiare aria era comprensibile: dal 2012, ovvero da quand’era approdato al professionismo, aveva sempre corso nella stessa squadra. Argos-Shimano, Giant-Shimano e Giant-Alpecin, infatti, erano i nomi con cui la formazione era registrata e conosciuta finché nel 2017 non subentrò Sunweb. L’abitudine, insomma, stava facendo ristagnare il talento e le ambizioni di Tom Dumoulin. Non una questione economica, quindi, il suo passaggio alla Jumbo-Visma: è andato a guadagnare due milioni e mezzo, d’accordo, ma alla Sunweb ne incassava già due all’anno fino al 2021, dunque per altre due stagioni. Proprio il contratto è stato uno dei nodi più grossi da sciogliere: Dumoulin era il leader della squadra, il beniamino degli sponsor e il corridore sul quale la Sunweb puntava per vincere un altro grande giro (d’Italia, magari, o il Tour de France) e per creare un ambiente in cui i giovani potessero crescere con calma e profitto. I giovani, e pure talentuosi, alla Sunweb non mancano di certo: a mancargli è Tom Dumoulin.

Le prime crepe tra il corridore e la squadra, tuttavia, risalgono al 2018. Il debutto stagionale di Dumoulin arrivò all’Abu Dhabi Tour e fu un incubo. Il trentottesimo posto finale, infatti, risentì fortemente dei due guasti meccanici che frenarono l’olandese prima nella cronometro individuale e poi nell’arrivo in salita di Jebel Hafeet – quando, in mondovisione, scaraventò via la sua bicicletta. Già allora si parlava di qualche malumore tra il corridore, la dirigenza e lo staff. Una seconda, e decisiva, crepa si formò nella seconda parte della stagione. Durante la negoziazione dei contratti, Dumoulin chiese espressamente alla squadra di fare di tutto per trattenere tre corridori che lui reputava fondamentali: ten Dam, Geschke e Teunissen. Dumoulin non venne accontentato: ten Dam e Geschke scelsero la neonata CCC, mentre Teunissen si accasò alla Jumbo-Visma. Il caso di Teunissen fu motivo di discussioni in seno alla squadra: lo stesso corridore, essendo assistito dal medesimo procuratore di Dumoulin, comunicò alla Sunweb che sarebbe stato felice di rimanere. Non venne ascoltato; oppure, non venne considerato parte integrante del progetto e della squadra.

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Negli ultimi mesi, da quando l’addio di Dumoulin alla Sunweb è stato prima ventilato e poi ufficializzato, Iwan Spekenbrink non ha lesinato le critiche. Inizialmente, ha lamentato l’assoluta mancanza di sincerità di Dumoulin: della sua liaison con la Jumbo-Visma, infatti, pare che Spekenbrink sia venuto a saperlo da un articolo uscito sull’Algemeen Dagblad nei primi giorni del Tour de France 2019. Nel frattempo, Dumoulin stava smaltendo un secondo infortunio: uno strappo muscolare, che mise a tacere qualsiasi voce su un suo possibile ritorno alle corse entro la fine della stagione. Poi, in un’intervista concessa a de Volkskrant, Spekenbrink spiegò che la Sunweb si sarebbe ripresa dall’addio di Dumoulin come, in passato, si era ripresa dalle separazioni con Kittel e Degenkolb. «All’epoca, Kittel era uno dei migliori velocisti del mondo; e così Degenkolb, in quel momento un fuoriclasse delle classiche. Eppure, siamo stati in grado di accettare le loro decisioni e continuare per la nostra strada. C’è vita anche dopo Tom Dumoulin, insomma». Il parere di Spekenbrink si sarebbe ammorbidito soltanto in un secondo momento, quando arrivò a dichiarare che nemmeno l’Ajax poteva pensare di rimpiazzare Cruijff il giorno dopo che se n’era andato. «Tom Dumoulin è un campione», chiosò. «E i campioni non si sostituiscono dall’oggi al domani».

Tuttavia, sull’ambiente della Sunweb rimane più d’un dubbio. Dumoulin è soltanto l’ultimo nome di una lista di corridori che nelle ultime stagioni si sono separati malamente dalla squadra tedesca. Kittel, Barguil, Theuns: tutti e tre, seppur con modi e tempi diversi, hanno lasciato in maniera burrascosa. Kittel si sentì abbandonato quando, nel 2015, visse la stagione peggiore della sua carriera; Barguil preferì una Professional, la Fortuneo-Samsic, nonostante fosse reduce dalle due vittorie di tappa al Tour de France e dalla conquista della maglia a pois; e infine Theuns, che alla Sunweb rimase soltanto un anno, pentendosi amaramente d’aver abbandonato la Trek-Segafredo e tornandoci a gambe levate. Non dev’essere un ambiente facile, quello della Sunweb. L’addio di Dumoulin è stato più amaro di quello che sembra. «Non ho mai salutato i miei compagni, alcuni di loro li ho visti per l’ultima volta tra maggio e giugno», spiegava in un’intervista al termine della passata stagione. «Non è una bella sensazione, è molto strano: è come se stessi uscendo dalla porta sul retro».

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La versione migliore di me stesso

Qualche ora dopo l’annuncio della Sunweb, il nome di Tom Dumoulin era al centro di un altro comunicato: quello della Jumbo-Visma, che ne salutava l’arrivo. Sulle tracce dell’olandese c’erano anche UAE-Emirates e INEOS, ma Dumoulin non ha mai avuto dubbi: d’altronde, la possibilità di correre nella squadra più forte e rappresentativa del proprio paese non capita tutti i giorni. Di più, per Dumoulin si tratta di un ritorno: nel 2011, all’ultima stagione tra i dilettanti, militò nella Rabobank Continental; l’attuale Jumbo-Visma, come si sa, è nata nel 2013 dalle ceneri della Rabobank e si chiamava Belkin. Dumoulin, infatti, ha ritrovato diversi connazionali e membri dello staff coi quali aveva già lavorato. Su tutti Merijn Zeeman, uno dei direttori sportivi della squadra, col quale Dumoulin si è sempre tenuto in contatto nel corso della sua carriera. «Io e Mathieu Heijboer, il suo allenatore, abbiamo già iniziato a lavorare a stretto contatto con Tom e lo abbiamo trovato in forma», diceva Zeeman al De Limburger qualche mese fa. «Si è definitivamente ripreso dagli infortuni e può spingere senza limitazioni».

La domanda da un milione di dollari, quella che tutti si sono posti, è: che ruolo avrà Tom Dumoulin nella squadra? La volontà della Jumbo-Visma, insieme alla BORA-hansgrohe la squadra che è cresciuta maggiormente nel 2019, è quella di provare a vincere il Tour de France: nel 2018 iniziò a raccogliere i primi frutti col quarto posto di Roglič e il quinto di Kruijswijk; lo scorso anno è stato compiuto un ulteriore passo in avanti, visto che Kruijswijk è riuscito a salire sul terzo gradino del podio. Il management della Jumbo-Visma non ha fatto prigionieri, annunciando fin da subito il desiderio di schierare il tridente sulle strade della Grande Boucle. L’unico modo, forse, per arginare lo strapotere del Team INEOS e il suo tridente tutt’altro che sorpassato: Bernal, Froome, Thomas.

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A chi chiedeva quali sarebbero state le gerarchie, Dumoulin ha risposto con una chiarezza inaspettata. «Ora come ora, Roglič è nettamente il più forte dei tre. Nel 2019 è andato davvero forte, stupendo in lungo e in largo», ha riconosciuto Dumoulin. «È vero, abbiamo vinto un grande giro a testa, ma io al Giro d’Italia 2017 non ho dominato come lui, invece, è riuscito a fare alla Vuelta a España 2019». Dumoulin è arrivato persino a ipotizzare alcuni scenari di corsa. «Se, sulle salite del Tour de France, a muoversi fosse un pezzo grosso, in prima battuta toccherebbe a me e a Kruijswijk muoversi per ricucire il distacco». Pare che i senatori della squadra abbiano organizzato una cena per conoscersi meglio e chiarire fin da subito la situazione. Ancora una volta, Dumoulin ne è uscito ingigantito. «La storia dei tre leader che non possono andare d’accordo è ridicola», ha detto. «Dobbiamo essere chiari l’uno con l’altro e sono convinto che andrà così. Coi ragazzi ho messo le cose in chiaro fin da subito: non voglio rompere l’armonia del gruppo, voglio essere un valore aggiunto. Sono qui per ritrovare la versione migliore di me stesso». Roglič, che da un punto di vista comunicativo non è un drago, non aveva aspettato le belle intenzioni di Dumoulin. «Il favorito al prossimo Tour de France? Io», aveva dichiarato in un’intervista rilasciata a Ciclo 21.

Il 2020 di Tom Dumoulin, tuttavia, non è iniziato bene. Anzi, ad essere sinceri non è proprio cominciato: l’olandese, infatti, è uno di quei corridori che non ha ancora debuttato. Non è stata una scelta ponderata, purtroppo: avrebbe dovuto essere alla Volta a la Comunitat Valenciana, ma è stato debilitato da un parassita intestinale, un problema che forse lo indeboliva fin dalla passata stagione e che, negli ultimi anni, ha riguardato anche Froome, Roy, Feillu e Felline. Veniva annunciato, dunque, che Dumoulin non sarebbe stato nemmeno alla Tirreno-Adriatico, bensì alla Volta a Catalunya: questa sì, finalmente, la prova che lo avrebbe visto debuttare coi colori della Jumbo-Visma. Nemmeno per sogno, oggi lo possiamo dire, visto e considerato che a causa del diffondersi del Covid-19 lo sport è stato bloccato. Il ritiro che Dumoulin ha svolto a Tenerife insieme a Tobias Foss, il vincitore del Tour de l’Avenir 2019, si è rivelato inutile. Non sappiamo ancora se si disputeranno il Tour de France e le Olimpiadi, i due appuntamenti ai quali Dumoulin puntava per vivere quella che lui stesso aveva definito «un’estate memorabile». L’estate arriverà, probabilmente, ma potrebbe rivelarsi meno memorabile del previsto.

©Mattia Luchetta, Twitter

Comunque la si metta, Tom Dumoulin è tornato sorridente e ambizioso come non gli capitava da tempo. In un’intervista a Cyclingnews, la più preziosa degli ultimi tempi, ha ripercorso tutto quello che gli è successo nelle ultime due stagioni. «Mi sono reso conto di quanto siano state faticose e stressanti», ha raccontato. «Ho passato gli ultimi dieci anni ad allenarmi, a correre, a pensare al prossimo obiettivo, a rilasciare interviste, a controllare il mio peso. Il 2019, ovviamente, è stato un anno difficile: ho avuto degli infortuni e delle delusioni, ho mancato quegli appuntamenti che avevo preparato con cura. Ma nella seconda parte della stagione, smaltito il dispiacere di non poter essere al Tour de France, sono rinato. Ho fatto un passo indietro, mi sono liberato dal ciclismo professionistico almeno per un periodo. Ho pedalato soltanto per la gioia di farlo, senza curarmi del resto. Ho passato del tempo con mia moglie e la mia famiglia, ci siamo concessi due vacanze. Mi sento ringiovanito, più fresco». Sollevando, da ultimo, una riflessione interessante. «Da questo periodo così strano per tutti, potrei essere quello che ne esce meglio: a differenza di tanti altri colleghi che avevano già organizzato i loro programmi e li hanno visti andare in fumo, io sono già abituato dallo scorso anno ad allenarmi senza avere un obiettivo ben chiaro in testa».

Qualcuno li chiamerebbe marginal gains, schermaglie e palliativi in una fase che di marginale non ha un bel niente.

 

 

 

Foto in evidenza: ©Tom Dumoulin, Twitter

Davide Bernardini

Davide Bernardini

Fondatore e direttore editoriale di Suiveur. È nato nel 1994 e momentaneamente tenta di far andare d'accordo studi universitari e giornalismo. Collabora con la Compagnia Editoriale di Sergio Neri e reputa "Dal pavé allo Stelvio", sua creatura, una realtà interessante ma incompleta.