Tutto quello che è successo nella seconda settimana del Tour de France.
Nonostante la seconda settimana del Tour de France sia durata esattamente la metà della prima – cinque giorni invece di dieci -, le emozioni non sono assolutamente mancate. Anzi, se non sono state altrettante da un punto di vista squisitamente numerico, sicuramente sono parse più intense perché spesso hanno riguardato i corridori della classifica generale, quelli che da domani – da giovedì, per essere più precisi – torneranno a sferrare le ultime offensive. L’unico appunto che ci permettiamo di fare è inerente alla lunghezza di alcune frazioni: l’arrivo di tappa in cima al Tourmalet si è rivelato azzeccato, ma pensiamo a cosa sarebbe potuto succedere se una delle salite più dure del Tour de France fosse arrivata dopo centocinquanta o centottanta chilometri di corsa; vivremo altre giornate simili, in particolare nella Saint-Jean-de-Maurienne – Gap e nella Albertville – Val Thorens, rispettivamente diciannovesima e ventesima tappa: soltanto allora potremmo tirare un bilancio ragionato e capire se frazioni così brevi e concentrate possono davvero rappresentare, almeno in parte, il futuro delle grandi corse a tappe.
Si vive alla giornata
Accanto alla lotta per la maglia gialla ce ne sono almeno altre tre: quella per la maglia a pois, quella per la maglia verde e quella per la vittoria di tappa, e queste battaglie si intersecano spesso e volentieri. Peter Sagan è interessato ad almeno due di queste e se una – quella che si conclude sul traguardo di giornata – gli arride il giusto, l’altra – quella per la conquista della classifica a punti – lo vede per l’ennesima volta nell’ultimo decennio protagonista assoluto: non c’è un corridore che, come lo slovacco, ottiene così tanti piazzamenti e che si getta all’attacco anche in tappe a lui non adatte. Trentin e Matthews lo fanno a sprazzi e in più d’una occasione sono stati obbligati a lavorare per alimentare la fuga e il successo di un compagno di squadra; Colbrelli, che con Sagan ha molte caratteristiche in comune, all’attacco non ci va quasi mai, dunque i traguardi volanti gli scappano via; Ewan, Viviani e Groenewegen, infine, mal digeriscono le salite e quindi, se volessero ambire alla vittoria della maglia verde, possono soltanto sperare che un atleta come Sagan non si presenti al Tour de France o che – non ce ne voglia Sagan, sono considerazioni sparse – allo slovacco succeda qualcosa: una caduta, una squalifica, un fuori tempo massimo.

Nell’unica volata a ranghi compatti che si è disputata, a prevalere è stato Ewan, un velocista di cui forse si parla troppo poco: fino ad ora non ha dimostrato doti da dominatore, è vero, eppure ha già centrato un successo alla Vuelta a España, tre al Giro d’Italia e uno al Tour de France nonostante i venticinque anni compiuti l’undici luglio. Ribadiamo quanto scritto negli ultimi giorni: tra le ruote veloci di prima fascia c’è un equilibrio che ha dell’incredibile e che non si vedeva da anni, dunque non c’è da stupirsi se ogni volata ha un esito diverso. Continuando a scorrere i membri della Lotto Soudal, non si può non sottolineare il carattere di Wellens, che continua ad andare all’attacco e a indossare la maglia a pois pur non essendo mai entrato nei primi venticinque di giornata e non avendo doti da scalatore puro; una settimana fa scrivevamo che la maglia a pois l’avrebbe sicuramente persa: ne siamo ancora convinti, ma ci vorranno diverse salite per fiaccarlo. Fatta eccezione per alcuni uomini d’alta classifica – Pinot, Alaphilippe, Kruijswijk e Buchmann su tutti -, le insidie maggiori potrebbero arrivargli da due soliti sospetti: De Gendt, suo compagno di camera e pronto a rilevarlo se la terza settimana dovesse prendere una brutta piega, e Ciccone, i cui acciacchi gli hanno fatto passare una brutta seconda settimana senza tuttavia fiaccare le sue speranze.
Perfino la cronometro individuale di Pau ha regalato spettacolo – al di là dei distacchi tra chi concorre per la maglia gialla: De Gendt ha chiuso al terzo posto dimostrando una volta di più la classe che lo contraddistingue; Asgreen prenota un posto da protagonista per il futuro della specialità, avendo concluso ottavo a soli ventiquattro anni; van Aert, invece, si è giocato il finale di stagione con un errore madornale e doloroso, mentre Tony Martin ha disputato la peggior prova della sua carriera terminando terz’ultimo a quasi sette minuti da Alaphilippe. In queste giornate montane le fughe si fanno sempre più corpose, dunque non avrebbe senso elencare i nomi di tutti gli attaccanti che ci proveranno; tuttavia, c’è un corridore che ha brillato più degli altri: stiamo parlando di Simon Yates, che si è lasciato sfilare nei primi dieci giorni per accumulare le energie necessarie per trionfare prima a Bagnères-de-Bigorre davanti a Bilbao e Mühlberger – due ottimi corridori che potrebbero trovare nella caccia ai traguardi parziali la loro vocazione – e poi a Foix Prat d’Albis, dove non ha sbagliato praticamente niente né nelle tempistiche né tantomeno nella gestione delle energie. E queste giornate di libera uscita lo hanno fatto rientrare nella lotta per la maglia a pois: oltre a Wellens, De Gendt e Pinot, dunque, c’è anche Simon Yates.
Le tappe in programma tra mercoledì e sabato verranno animate da decine di coraggiosi e sono in molti ad essere attesi al varco: pensiamo anche a Bettiol, Van Avermaet, Boasson Hagen, Calmejane, Herrada, Meurisse, Zakarin e una folta rappresentanza della Bahrain-Merida, una squadra che trabocca di talento e che, perso Nibali per la classifica generale, non ha graduatorie da tutelare. Tra questi avrebbe ben figurato Schachmann, caduto nella cronometro di Pau e costretto al ritiro a causa della rottura di una mano. Preferiamo glissare sull’oscuro ritiro di Dennis: la situazione è grottesca ma non sapendo quello che potrebbe esserci dietro crediamo sia giusto attendere ulteriori sviluppi.

L’incertezza è spettacolo
È un Tour disegnato bene, poco da aggiungere. Un percorso che, grazie ai suoi interpreti, alla mancanza di un padrone assoluto e di una squadra capace di incutere timore e ingessare la corsa come in passato, regala incertezza e spettacolo. Lo dimostrano le tre tappe del lungo weekend pirenaico che modificano la classifica lasciando in maglia gialla Julian Alaphilippe con speranze e quotazioni di successo finale che volano su e giù in un toboga di emozioni. Inserire la cronometro prima delle due tappe di montagna si è rivelata mossa perfetta per fiaccare le gambe dei corridori in vista della due giorni tra Tourmalet e Foix Prat d’Albis. Le gerarchie vengono in parte stravolte, ma Alaphilippe resta in giallo: alzi la mano chi se lo sarebbe aspettato. Noi, certamente, no, tanto che settimana scorsa abbiamo scritto sul dispiacere di vedere un corridore così perdere la leadership della corsa dopo le prime vere montagne.
Ma se sul Tourmalet il classe ’92 di Saint-Amand-Montrond ha mostrato una buona condizione difendendosi fino all’arrivo e concludendo in scia a Pinot, la tappa di domenica ha messo in mostra gli evidenti limiti del francese nella gestione di una corsa a tappe di tre settimane. Dopo l’attacco del suo avversario e connazionale nel finale verso Prat d’Albis, infatti, Alaphilippe se ne infischia di calcolare e di andare su del suo passo: risponde presente, salvo poi perdere le ruote non solo di Pinot, ma di alcuni degli altri pretendenti alla lotta per la maglia gialla. Alla fine arriverà con poco più di un minuto da Pinot e una manciata di secondi dagli altri: quanto basta per tenere la maglia gialla, quanto basta, però, per arrivare nel finale di Tour con tanti dubbi. Intendiamoci: quello fatto fino ad oggi dal ciclista numero uno al mondo – in tutti i sensi – va al di là di ogni pronostico e aspettativa. Ciò che sta facendo Alaphilippe resta il miglior spot possibile contro il ciclismo della specializzazione e del correre bene un mese all’anno (vero Thomas?) lui che sta andando forte da fine gennaio in Argentina, che è stato mattatore delle corse di un giorno in primavera, capace di vincere persino volate di gruppo.
Cosa chiedere di più al ciclismo? Altri fuoriclasse assoluti come Alaphilippe. E cosa rispondere agli strilli che rimbalzano sul web? Andate a vedervi le prestazioni in salita del francese: buone, ma non da far gridare allo scandalo. Piuttosto, invece di continuare a guardare il dito, osservate la luna. Il momento storico e le assenze, lo diremo fino alla nausea, hanno abbassato il livello dei pretendenti ai grandi giri e un corridore di tale levatura, all’apice della sua maturità, può ambire così a un clamoroso successo al Tour de France. Anche se le Alpi avranno il duro compito di riscrivere le classifiche, pesando come un macigno sul sonno del francese vestito da leader.

Veniamo ai suoi avversari. Si riducono, dopo la crono e le frazioni pirenaiche, a un gruppo di cinque corridori; se volessimo allargare la questione al duo spagnolo Landa-Valverde, arriveremmo a sette. Pinot si consacra come lo scalatore più forte al mondo in questo momento, e non solo del Tour. Se sul Tourmalet corre calcolando in maniera sopraffina per conquistare la tappa – oltretutto nel finale diventava complicato fare la selezione tra ritmo imposto dai Jumbo-Visma e il vento – nella tappa con arrivo a Foix Prat d’Albis diventa mattatore, guadagna su tutti e nel finale va a riprendere Landa, ancora protagonista di un attacco non completamente andato a fondo. Lo dicevamo, avere Pinot con questa forma e vittima di quel tranello in mezzo ai ventagli – e aggiungiamo: con questo Gaudu – non poteva che essere garanzia di spettacolo. Ora, a meno di due minuti dalla gialla del connazionale, i francesi sognano. E anche i tanti tifosi che Pinot ha in Italia, cosa rara per un transalpino vista la nota idiosincrasia. Ma se loro hanno amato Nibali nel 2014, anche a noi non resta che amare il francese, corridore arrivato nel pieno della maturità e che grazie a un disegno che non prevede cronometro nei prossimi giorni – dove lui peraltro ha imparato a difendersi egregiameente – , diventa il favorito numero uno per strappare la gialla ad Alaphilippe. Sempre che la dama dai denti verdi, come l’avrebbe chiamata Brera, non ci metta il suo beffardo sorriso nelle prossime tappe.
Poi c’è Thomas, se non altro perché in classifica generale si trova ad 1’35 da Alaphilippe e dunque resta il più vicino, ma in entrambi gli arrivi in salita non desta impressione particolare. In casa Ineos decisamente meglio Bernal: se sul Tourmalet sembra quasi costretto da ordini di scuderia a non affondare il colpo in modo da non sfavorire il numero uno della corsa – almeno come pettorale -, sul secondo arrivo in salita ha il via libera ed è l’ultimo a resistere alle rasoiate del francese in maglia Groupama. Forse non vincerà il Tour quest’anno, forse non sta destando quell’impressione che tutti si aspettavano in salita, ma il futuro è dalla sua.

Il presente, invece, lo devono saper cogliere Kruijswijk e Buchmann. Regolari ed equilibrati, hanno l’occasione della carriera di chiudere sul podio un grande giro. Nel caso dell’olandese, un po’ ci speriamo; viste le vittorie sfumate, gli attacchi scriteriati, i podi sfiorati: un premio alla carriera che meriterebbe come pochi altri. Il tedesco, invece, nella tappa di domenica, a un certo punto rimonta su Bernal e tiene a tiro il toro scatenato di Mélisey giungendo quarto di tappa a soli diciotto secondi dal francese: zitto zitto è in piena lotta per il podio.
Un po’ più indietro leggendo la classifica incrociamo Landa e Valverde. In Movistar, col passare delle salite, si sono accorti che Quintana non va (testa? gambe? il fatto di essere separato in casa? c’è chi dice che il colombiano sia già al canto del cigno); si punta tutto su un Landa che in montagna è secondo solo a Pinot e su un eterno Valverde che sorprende tutti dopo un’annata sotto tono. Un piacere vedere la maglia iridata lottare in questa maniera per una top ten finale e per portare punti alla causa della classifica a squadra, come da tradizione obiettivo fondamentale per il team spagnolo.
Per chi suona, appunto, la campana
L’elenco prosegue con i corridori che, salvo stravolgimenti alpini, sono oramai tagliati fuori dalla lotta alla maglia gialla e al podio finale. Fuglsang: debole, come la sua squadra. Un’Astana irriconoscibile che perde presto i pezzi sia in gruppo che in fuga, per un capitano acciaccato che si dovrà accontentare di provare ad avvicinare il miglior risultato in un grande giro, quando fu settimo al Tour del 2013. Sul Tourmalet arranca, nella tappa di Foix prova a seguire un Landa tutt’altro che irresistibile, ma si stacca dopo poche pedalate: lontanissimo parente del corridore ammirato in primavera, capace di mettere in difficoltà persino Alaphilippe.

Urán e Quintana: irriconoscibili. L’età avanza, l’esplosività diminuisce nel caso del portacolori della EF – parole sue – e loro perdono un treno clamoroso. Un disegno con tante salite, diversi rivali assenti: le possibilità di portare in Colombia il Tour de France erano alte, mentre ora appaiono pari a zero. Quando gli ricapiterà un’occasione simile?
Mas salta in aria troppo presto dopo che nella cronometro aveva illuso di poter anche lottare per un podio finale: il 158° posto su 164 corridori, però, non si può spiegare solo con una controprestazione o una normale debacle. Qualcosa che non va dovrà pur esserci. A galleggiare intorno alla decima posizione c’è Richie Porte. Il tasmaniano si difende bene a cronometro e nella tappa di Foix, mentre sul Tourmalet evidenzia tutti i limiti di una buona carriera da corridore di corse a tappe, ma non tale da giustificare l’attesa che si crea intorno a lui al via del Tour – o del Giro – ogni volta. Perché, anche alla vigilia, è stato considerato un pretendente alla maglia gialla finale? Il piazzamento attuale, undicesimo a sei minuti e mezzo, non stupisce e rispecchia perfettamente il suo storico nei grandi giri: mai sul podio a 34 anni e mezzo, resta inspiegabile la tanta fiducia attorno a un corridore che si è dimostrato un ottimo ultimo uomo ai tempi del Team Sky, un buonissimo corridore da brevi corse a tappe – con punte di eccellenza assoluta -, ma mai un capitano affidabile in chiave podio.

Scendendo di classifica troviamo un Barguil ingessato da una maglia tricolore che gli sta meglio di quanto possano le sue gambe: un peccato vederlo arrancare alla ricerca di un piazzamento nei quindici invece di ammirarlo in azioni da lontano nelle tappe di montagna. A seguire in quindicesima e diciannovesima posizione troviamo, invece, altre due grosse delusioni di questo Tour: Dan Martin e Romain Bardet. Entrambi provano la fuga nell’ultima tappa pirenaica, ma le gambe sono specchio della loro anima. Ci riproveranno entrambi, è vero, ma il modo in cui vengono staccati da diversi compagni di fuga è preoccupante. Il francese, poi, aveva puntato tutto il suo 2019 su una corsa che, secondo alcuni, era stata disegnata su misura più per lui che per Pinot. Il nervosismo nella tappa di Foix dimostra quanto inaspettato fosse il flop e quanto male facciano cadute di questo genere. E a proposito di flop non si possono non nominare Adam Yates, che finisce nelle retrovie mentre il fratello domina le fughe, Patrick Konrad, Bauke Mollema e Il’nur Zakarin, questi ultimi due giustificati almeno in parte dall’aver corso il Giro d’Italia.
Prima di passare al capitolo Italia, due parole per Gaudu, anzi una: strepitoso. Il classe ’96 è, insieme all’ottimo De Plus, il miglior gregario in salita a questo Tour. Da tempo lo consideriamo con Bernal, Sivakov e Mas – prima che esploda Evenepoel – il futuro per le corse a tappe: l’anno prossimo esigiamo vederlo correre per la classifica.
Infine italia, dicevamo. Benino Aru, che fatica, cresce e si difende come può guadagnando in ogni tappa qualche posizione. Considerato quello che gli è successo tempo fa e vedendo come vanno i suoi compagni di squadra, le sue sono prestazioni di qualità. Nibali prova due fughe su due sui Pirenei, ma è indecifrabile: nella tappa di sabato il gruppo va caccia del successo con i propri leader e lo riprende, in quella di domenica si stacca troppo presto per essere il vero Nibali. Ciccone: anche lui va in fuga nella tappa di Foix, pur non al meglio e dimostrando al solito tanta grinta. Le energie, però, ora sembrano al lumicino: il suo resta un 2019 che supera il giro di boa assolutamente in attivo.
Foto in evidenza: ©Tour de France, Twitter