Tra fughe e colline: il Giro della Regione Friuli Venezia Giulia

Nella corsa a tappe friulana, Champoussin eredita la maglia gialla da Pogačar.

 

Mentre alla Vuelta Tadej Pogačar conquista due tappe e sale – almeno virtualmente – sul podio della corsa spagnola, al Giro del Friuli Venezia Giulia Clément Champoussin è l’asso pigliatutto. Il corridore di Nizza, ex biker, strapazza la concorrenza e fa sue due tappe su quattro – cronosquadre d’apertura e ultima frazione – e la classifica finale. Il filo che unisce i due corridori non è solo l’età – entrambi sono nati nel 1998 –  ma diventa così anche avere vinto le ultime edizioni della corsa a tappe friulana.

Einer Rubio Reyes e Pogačar sul podio del Giro del Friuli del 2018 ©Giro della Regione Friuli Venezia Giulia Internazionale elite/under, Facebook

Il Giro della Regione Friuli Venezia Giulia, arrivato alla sua cinquantacinquesima edizione, si snoda su un percorso diviso in quattro frazioni, una in più rispetto al 2018, anno in cui la corsa ritorna in calendario grazie al lavoro dell’ASD Libertas Ceresetto, società organizzatrice dell’evento. Il disegno delle quattro tappe ha un chilometraggio esigente; dopo la crono d’apertura di 16,1 km, ecco tre tappe in linea che superano abbondantemente i cento chilometri l’una: 160 per la Gemona-Lignano177 per la Pordenone-Gorizia e 144 per la frazione finale con arrivo a San Daniele del Friuli, quest’ultima caratterizzata da una parte conclusiva su un circuito che, stando ai “si dice”, dovrebbe ricalcare in maniera più o meno fedele una delle tre tappe friulane del Giro 2020.

Oltre cinquecento chilometri per una corsa di quattro giorni tra gli Under 23 sono un fattore da sottolineare. Consideriamo per esempio l’esigua lunghezza del trittico che ha chiuso il recente Tour de l’Avenir: tre tappe che non arrivavano nemmeno a cento chilometri, una addirittura di soli ventitré; oppure le tappe sempre più brevi che si disegnano nei Grandi Giri, alla ricerca di una presunta spettacolarità, nel tentativo di rendere appetibile il format per la televisione, o all’inseguimento di corridori esplosivi che accendano la corsa anche “lontano” – tra virgolette è il caso di scriverlo – dal traguardo.

Va dato merito agli organizzatori di aver messo nuovamente in piedi una corsa dal passato importante – tra i vincitori spiccano Gimondi, Marino Basso, Corti, Chiappucci, Simoni, Di Luca e più recentemente Brambilla, Diego Rosa e Polanc –  in mezzo a scenari spettacolari come il Friuli sa offrire; dalla montagna – in questo caso la collina – al mare. Merito va dato anche per aver richiamato un buon numero di partecipanti tra corridori e squadre straniere, in modo tale da rendere ancora più importante il ritorno internazionale della corsa. Il valore del lavoro svolto è anche quello di aver restituito al calendario italiano una corsa a tappe, con l’obiettivo, prima o poi, di vedere esplodere corridori della nostra penisola adatti a questo tipo di gare: sia chiaro, non deve essere il Giro del Friuli a plasmare i corridori, ma una vetrina importante che possa lanciarli nel professionismo, questo sì, un banco di prova dopo potersi migliorare e testare con i pari età di tutto il mondo. Un appunto, però, va fatto: un enorme peccato non aver inserito una vera e propria tappa di montagna con arrivo in quota, su una delle tante – e severe – salite della zona, e non serve di certo scomodare Zoncolan o Crostis! Avrebbe reso ancora più accesa, completa, articolata e varia una corsa che, come vedremo ora, si è rivelata davvero spumeggiante.

La lista di partenza vedeva quasi il meglio del dilettantismo italiano – elite e under 23 –  da Bagioli a Sobrero, da Aleotti, capitano della padrona di casa Cycling Team Friuli, alla Biesse Gavardo – una delle eccellenze del ciclismo continental nostrano – con Ravanelli e Colleoni, dalla Zalf Euromobil con la ruota veloce Ferri, fino alla Sangemini di Zana, Mazzucco e Totò. Al via anche una buona presenza di corridori e squadre straniere: su tutti la Chambéry Cyclisme Compétition guidata da un trio di grande qualità come Prodhomme, Jorgenson e Champoussin, reduci dal Tour de l’Avenir corso con la selezione francese, i colombiani Rubio Reyes e Buitrago, la Tirol KTM con Gamper e Wildauer, il serbo Rajovic – che rappresenta il miglior talento in assoluto del suo paese – e gli svizzeri della IAM Excelsior capitanati dall’élite Pellaud, uno dei tanti corridori di categoria che l’anno prossimo andranno a vestire la maglia della Androni di Gianni Savio.

©Suiveur

Il primo giorno, nella cronometro a squadre con partenza e arrivo a Martignacco, il vivaio della Ag2r, la Chambéry, mette subito in chiaro di essere arrivata nel nord est italiano per fare corsa vera. Vincono nettamente la tappa d’apertura, su un circuito tecnico e vallonato disegnato tra le dolci colline alla periferia di Udine, precedendo la Leopard e i ragazzi di casa, i bianconeri del Cycling Team Friuli. In maglia gialla va Matteo Jorgenson, recentemente protagonista al Tour de l’Avenir, dove, nonostante il grave infortunio patito a giugno durante la Paris-Roubaix Espoirs, riusciva a restare in corsa per il podio fino al penultimo giorno, salvo poi uscire di classifica a causa di una crisi arrivata sulle ultime salite. Quello che è più da rimarcare, però, è la presenza nel team francese di Champoussin, che grazie a questa prova, inizia a mettere da parte un primo gruzzoletto significativo per poi riuscire a conquistare la classifica finale.

Nella seconda tappa parte e arriva una fuga che una volta si sarebbe definita bidone. Da Gemona a Lignano va in scena una frazione che dai colli punta verso il mare e che sarebbe dovuta essere tutta ad appannaggio delle ruote veloci, non poche, presenti in gruppo. Invece in cinque sorprendono tutti: Champoussin, Patrick Gamper, Rappo, PellaudGrošelj. Azzeccano la fuga giusta, in una giornata tiepida e dal cielo così blu da sembrare finto, e vanno a giocarsi la vittoria di tappa, dando così anche una decisa svolta alla classifica, soprattutto vista la presenza di uno dei favoriti della vigilia: Champoussin. Il traguardo di Lignano lo conquista Patrick Gamper,  più grande di tre fratelli che corrono nella Tirol KTM. Il corridore austriaco due anni fa diede spettacolo alla Coppa Bernocchi; a soli 20 anni e in una delle sue prime gare da professionista, fu ripreso in vista del traguardo dopo 181 km di fuga: la corsa fu poi vinta da Colbrelli. In questa fuga sono diversi gli specialisti delle azioni da lontano: i già citati Gamper e Champoussin, ma anche il classe ’93 Pellaud che l’anno prossimo sposerà perfettamente le sue caratteristiche da attaccante con quelle di una squadra battagliera come l’Androni diretta dal principe Savio. Un corridore che conferma tutto quello che di buono si dice attorno a lui: magari non un fuoriclasse, magari non più giovanissimo, ma ragazzo su cui contare per ogni terreno e soluzione di corsa.

L’arrivo vittorioso di Di Felice sul traguardo di Gorizia ©ASD Libertas Ceresetto, Twitter

La terza tappa cambia completamente scenario: dopo una giornata sulla carta adatta ai velocisti, si passa a una frazione impegnativa che mette alla prova gli uomini di classifica. Il mare adriatico oramai è un ricordo sbiadito, così come lo sfondo che da blu acceso diventa grigio piombo. La spuma del mare e i lunghi rettilinei, vengono ora sostituiti da trattori e ciottolato, vigneti e colline, più e meno aspre. La pioggia la fa da padrona, mentre quello che non cambia sono svolgimento ed esito. Va via una fuga che stavolta si seleziona più che altro per un tracciato esigente che prevede la scalata di Porzûs e Castelmonte – salite mitiche e banchi di prova per i ciclo amatori locali, ma soprattutto luoghi ricchi di significato storico e sociale – prima del finale con il doppio passaggio a San Floriano del Colle che anticipa la picchiata verso Gorizia. Ancora una volta tra i protagonisti della fuga, come ieri, ci sono Champoussin, che veste la maglia gialla di leader strappata al suo compagno di squadra Jorgenson, e Pellaud. Tra i migliori, ma finiranno poi staccati, ci sono anche Ravanelli, vittima di una caduta che gli costerà anche un buon piazzamento in classifica generale e Rubio Reyes che perderà terreno sull’ultima salita. La tappa la vince allo sprint Francesco Di Felice, il quale si conferma come uno dei corridori più completi e vincenti del panorama Under 23 italiano. Il classe ’97 abruzzese, portacolori della General Store, al momento non ha ancora un contratto tra i professionisti per la prossima stagione, ma un corridore così, dotato di spunto veloce, guizzo vincente, tenuta, sarebbe davvero un delitto non vederlo al piano di sopra nel 2020. Se la classifica ha come attori principali il duo franco-elvetico più volte citato, la tappa ha un unico, grande protagonista, ahilui, sfortunato: Mattia Bais. Classe ’96, trentino, il portacolori della squadra di casa porta via la fuga, fa la selezione nei tratti più impegnativi, si ritrova da solo e viene ripreso proprio in vista del traguardo. Bais conferma ancora una volta di essere un corridore coraggioso, forte sul passo e in salita – al recente Sibiu Cycling Tour è stato tra i migliori, dopo due scalatori di comprovata qualità come Rivera e Muñoz – e nelle prossime settimane avrà la possibilità, anche lui con Gianni Savio, di mostrare le sue doti correndo come stagista. Fra i migliori di tappa si segnala anche Kevin Colleoni, classe ’99 e più giovane della compagnia tra i corridori di testa – a fine Giro chiuderà 4° in classifica e vestirà la maglia bianca dei giovani. Il figlio d’arte – sua madre è Imelda Chiappa – si mette così in mostra a questo Giro del Friuli dopo essere stato fra i migliori al Giro Baby sia sul Mortirolo che sulla Marmolada: nome importante da segnare per il futuro. Anche lui, nemmeno a dirlo, avrà la sua chance nel professionismo con Gianni Savio: l’anno prossimo come stagista, nel 2021 sotto contratto a tutti gli effetti. Intanto nei prossimi mesi diventerà, a patto di migliorare ulteriormente, uno dei punti di riferimento tra gli Under 23 italiani, insieme al compagno di squadra Filippo Conca, qui assente.

L’ultima tappa nello scenario di Piazza del Duomo a San Daniele del Friuli ©Asd Libertas Ceresetto, Twitter

Chiudiamo con la quarta tappa con arrivo a San Daniele che si disputa su un circuito che, come abbiamo anticipato, dovrebbe ricalcare una delle tre tappe friulane al Giro 2020. Circuito mosso, per corridori da corse vallonate e nel caso dei partecipanti a questa gara, adatto agli uomini che ancora si giocano la classifica. Il protagonista è ancora una volta Mattia Bais, che dopo aver selezionato i migliori sul Monte di Ragogna, dove transiterà anche per primo, prova la stoccata solitaria come già fatto verso Gorizia, ma ancora una volta verrà ripreso in vista del traguardo. Nel suggestivo finale, sulla rampa che porta nella parte alta della cittadina di San Daniele del Friuli, vince Champoussin che onora al meglio la corsa e la maglia gialla che indossa. Alle sue spalle arrivano il polacco della CCC Szymon Tracz – corridore sconosciuto al grande pubblico, ma da seguire con attenzione, forte soprattutto a cronometro e nei percorsi vallonati – e Rubio Reyes, terzo, che proprio all’ultimo giorno prova a mettere in mostra le qualità che gli hanno permesso di vincere sulla Marmolada al Giro di quest’anno e sul Matajur al Giro del Friuli Venezia Giulia nel 2018: risultati che gli varranno, per il 2020, un contratto con il Team Movistar. Al quarto posto di tappa chiude Bais, al quinto un altro colombiano atteso, ovvero Buitrago Sanchez che precede Aleotti in rimonta.

La classifica finale viene vinta da Champoussin, uscito forte dal Tour de l’Avenir concluso ai piedi del podio. Il corridore francese, che il prossimo anno vestirà la casacca dell’AG2r, ha mostrato, oltre che qualità in salita come già nel “Tour dei giovani“,  di essere corridore che non ha paura di andare all’attacco anche su terreni all’apparenza a lui meno congeniali, come la pianura. Esplosivo quanto basta, Champoussin si permette il lusso di battere su un arrivo del genere un corridore come Rubio Reyes. Alle sue spalle, nella classifica finale, chiude Mattia Bais, il corridore trentino vede premiato il suo Giro del Friuli con un podio e la maglia dei gran premi della montagna: ora lo attende lo stage con l’Androni. Certo, avrebbe voluto coronare un quadriennio tra gli Under 23 passato sempre all’attacco, con una bella vittoria di tappa, ma di certo si conferma come uno degli elementi più validi della categoria. Terzo posto per Pellaud: un altro bel prospetto di un ciclismo svizzero che come spesso accade sforna pochi corridori, ma buoni – vedi Bissegger. Ai piedi del podio i già citati Colleoni e Di Felice, mentre al sesto posto chiude Jan Maas, un nome che rievoca corridori del passato. Il classe ’96, cresciuto nel vivaio Rabobank, ha già mosso i primi passi nel professionismo, ma senza mai brillare eccessivamente. Qualche anno fa sembrava un buon prospetto per le corse a tappe e ora la sua carriera, che sembrava essersi appiattita, potrebbe riprendere vigore grazie a questo piazzamento. Chiudono la top ten Paolo Totò, uno dei veterani della categoria élite, Raffaele Radice, Nicolas Prodhomme – protagonista in questa stagione nel calendario italiano con la vittoria alla Piccola Sanremo e i piazzamenti al Belvedere e al Recioto – e Tobias Bayer, tra i più giovani al via e migliore in classifica della sua squadra, la Tirol KTM.

 

 

Foto in evidenza: ©Suiveur

Alessandro Autieri

Alessandro Autieri

Webmaster, Fondatore e direttore editoriale di Suiveur. Doppia di due lustri in vecchiaia i suoi compagni di viaggio e vorrebbe avere tempo per scrivere di più. Pensa che Mathieu Van der Poel e Wout Van Aert siano la cosa migliore successa al ciclismo da tanti anni a questa parte.