La presenza di così tanti campioni arricchirà la corsa o la bloccherà?

 

Parlare di Giro d’Italia nel 2019 significa soprattutto rendere merito al lavoro fatto da RCS negli ultimi anni. Non serve andare così indietro, infatti, per trovare quelle edizioni dominate dagli scalatori italiani che, fatta eccezione per Damiano Cunego e Ivan Basso, sulle strade del Tour de France recitavano da comprimari, gregari di lusso, attaccanti in cerca di un successo di tappa; senza dimenticare lo scarso contributo apportato dagli stranieri, spesso di seconda fascia (Gárate, Popovyč, Hončar) oppure disinteressati alla classifica generale (Ullrich, cinquantaduesimo nel 2001 e ritirato nel 2006, usava il Giro d’Italia per preparare il Tour de France). Il percorso che ha portato la gara ai fasti odierni è durato un decennio e RCS, per rilanciare la corsa anche da un punto di vista economico, ha dovuto prendere decisioni forti e discutibili, certo, ma necessarie: le frequenti partenze dall’estero rappresentano soltanto la punta dell’iceberg di questi movimenti.

Il Giro d’Italia 2019, invece, partirà da Bologna e terminerà a Verona. Non scenderà più giù di San Giovanni Rotondo, nel nord della Puglia, ennesimo argomento di feroci dibattiti che ciclicamente si ripresentano. Come si può chiamare Giro d’Italia una manifestazione che non scende oltre San Giovanni Rotondo? L’indignazione è tanta e, almeno in parte, comprensibile. Il problema è che lo sport professionistico, e non certo da oggi, ha bisogno di ingenti somme di denaro per andare avanti. E dire che il ciclismo, da questo punto di vista, si salva: pensate se costasse tanto quanto altre discipline. RCS, l’ente organizzatore, non può permettersi di investire soldi che non ha per accontentare tutte le regioni d’Italia. Va da sé che ogni anno qualcuna rimane fuori, e se questa misera sorte capita spesso e volentieri alle regioni meridionali ciò è dovuto alle grigie condizioni economiche nelle quali esse versano. Ospitare una partenza o un arrivo di tappa costa diversi quattrini e, a nostro giudizio, il Meridione ha questioni ben più delicate da affrontare. Nessuno è contento di questa situazione, ma tant’è. Non si tratta né di razzismo né tantomeno di discriminazione territoriale: c’è cascata anche Giorgia Meloni, che in un’uscita sfortunata e superficiale dichiarò che “adesso anche lo sport è divisivo” e che bisognava “estendere il tragitto anche al Sud”.

L’Androni Giocattoli-Sidermec è la Professional più in forma del momento: per questo ci si aspetta molto dagli uomini di Gianni Savio scelti per il Giro d’Italia. ©Caffè&Biciclette

Tra Bologna e Verona, al di là dei canonici centocinquanta chilometri che le separano, c’è un Grande Giro da affrontare. Delle tre cronometro in programma, le più impegnative sono le prime due: la prima, quella che apre il Giro d’Italia 2019, è corta ma esplosiva e i duemila metri del San Luca, che ormai abbiamo imparato a conoscere grazie al Giro dell’Emilia, delineeranno la classifica fin da subito; la seconda, invece, arriva dopo una settimana abbondante di corsa e i quasi trentacinque chilometri da Riccione a San Marino strizzano palesemente l’occhio agli specialisti. A differenza di altre edizioni, quella del 2019 esige dai capitani una forma smagliante in grado di mantenersi per l’intero arco temporale della corsa: le due prove contro il tempo e alcune frazioni mosse come la Bologna-Fucecchio, la Cassino-San Giovanni Rotondo e la Tortoreto Lido-Pesaro potrebbero far naufragare anzitempo i deboli e i superbi. Della seconda parte di gara, invece, non c’è molto da dire: è talmente verticale da rendere superfluo qualsiasi giudizio. Riflettendoci, addirittura troppo dura: si sarebbe, forse, potuta rendere altimetricamente più difficile la prima metà di corsa, che rimane nervosa ma pur sempre pedalabile. Se c’è un aspetto che stona, è quello delle tappe pianeggianti o che dovrebbero comunque risolversi in una volata di gruppo: si sfora spesso il tetto dei duecento chilometri e si fa fatica a capire perché. Accordi presi con le sedi di partenza e arrivo? Impossibilità di collegarle altrimenti? Può darsi, fatto sta che giornate del genere potrebbero essere assai più brevi: il pubblico si annoierebbe meno e i chilometri risparmiati in queste giornate potrebbero essere spalmati qua e là nelle frazioni decisive. In un primo momento, la scelta di posticipare l’evento sembrava azzeccata: ad oggi, con questa primavera che non conosce pace, non abbiamo più la stessa certezza. In più di un’occasione, il Giro d’Italia è stato cambiato in corso d’opera a causa del maltempo: la tempistica scelta da RCS rimane comunque la migliore per aggirare problemi del genere. Si corre dall’undici maggio al due giugno. L’ultima volta che il Giro d’Italia si chiuse più tardi fu nel 2007: era il tre giugno e sul podio finale Danilo Di Luca esultava in mezzo a Andy Schleck, secondo, ed Eddy Mazzoleni, terzo.

Un’edizione del Giro d’Italia così ricca di campioni non la si vedeva da un bel po’. Solo per citarne alcuni, in ordine sparso: Miguel Ángel López, Nibali, Simon Yates, Landa, Roglič, Dumoulin. E ancora, outsider di prestigio come Formolo, Majka, Jungels, Zakarin, Chaves, Carapaz, Vuillermoz, Kangert, Polanc, Mollema. Le volate metteranno il campione italiano, Elia Viviani, contro alcuni tra i migliori sprinter della nuova generazione: Gaviria, Ewan e Ackermann, col primo che ha già fatto sfoggio della sua classe cristallina sulle strade del Tour de France. Viviani dovrà rintuzzare anche i tentativi di qualche connazionale che conosce bene (Nizzolo, Modolo, Mareczko e Cimolai) e di un francese che torna al Giro d’Italia per la terza volta: Arnaud Démare. Tra i cacciatori di tappe che si addentreranno nella foresta con il coltello tra i denti, ci sono De Gendt, Gallopin, Denz, Plaza, Battaglin, Canola, Lobato, Ulissi e Ciccone. O’Connor, Madouas, Tolhoek e Power, invece, sono quattro ragazzi da seguire pensando alle corse di domani, così come fa piacere evidenziare un Team Ineos che, trovandosi nella scomoda situazione di aver perso Bernal a pochi giorni dalla partenza, sveste i panni di squadra di riferimento per vestire quelli di vivaio in cerca d’esperienza e conferme: oltre a Puccio e Knees, ci sono Dunbar, Narváez, Sosa, Sivakov, Geoghegan Hart e Sebastián Henao, il più anziano dei giovani con i suoi venticinque anni.

Al Giro d’Italia 2019 ci sarà anche Victor Campenaerts, il nuovo detentore del record dell’ora. ©Lotto Soudal, Twitter

Le quattro Professional invitate meritano uno spazio a sé stante. La Israel Cycling Academy, la Androni Giocattoli-Sidermec e la Nippo Vinti Fantini Faizanè scommettono sui successi parziali con atleti di assoluto valore come Cimolai, Plaza, Belletti, Cattaneo, Masnada, Vendrame, Canola e Lobato. Anche la Bardiani-CSF spera di rendersi protagonista nelle fughe con maggiori chance di arrivare, ma con un organico così povero di mestiere e talento sarà davvero difficile emergere. La presenza di atleti e squadre così validi (e quante squadre pronte a dar battaglia tutti i giorni ci sarebbero, se non dovessero rimanere unite e compatte intorno al capitano di turno) non inganni. E se un ingorgo di campioni finisse per soffocare lo spettacolo che tutti si aspettano? Il fuoriclasse sa inventare, è vero, ma allo stesso tempo non accetta la sconfitta e non vuole sempre muoversi per primo, rispettando e conoscendo il valore degli altri contendenti: le edizioni più recenti del Tour de France costituiscono a riguardo un’antologia esemplare.

Cos’ha portato due corridori stranieri e di caratura internazionale come Tom Dumoulin e Simon Yates ad affermare che il Giro d’Italia è la loro corsa preferita? Questo è un solo uno dei tanti, piccoli tasselli che compongono un inedito mosaico che raffigura un nuovo corso del Giro d’Italia. RCS, quantomeno da questo punto di vista, ha fatto e sta facendo un lavoro enorme. In una manciata di stagioni, il grande giro italiano è passato dalla stagnazione alla fioritura, ristabilendo il primato sulla Vuelta a España. Il dominio del Team Sky e il prestigio della corsa hanno oscurato la luce della Grande Boucle, schiava di una squadra troppo forte e di un gruppo di corridori ora non all’altezza, ora impauriti dal gettare alle ortiche un piazzamento nell’evento ciclistico più importante della stagione. Le ultime edizioni del Giro, invece, hanno dimostrato che la gara italiana si dimostra riottosa quando incontra una formazione che vuole prenderla per le corna: per conquistare la maglia rosa, il Team Sky ha avuto bisogno del suo trascinatore, Chris Froome, dopo aver fallito almeno quattro campagne tra il 2013 e il 2017 con Wiggins, Porte, Landa e Thomas. In un ciclismo che sembra aver riscoperto il gusto della battaglia e dell’affronto, Tom Dumoulin e Simon Yates non possono avere dubbi tra Giro d’Italia e Tour de France: se la corsa francese rimane inarrivabile per clamore e storia, quella italiana ha guadagnato diversi applausi da un punto di vista meramente spettacolare.

 

Foto in evidenza: ©Aivlis Photography

Davide Bernardini

Davide Bernardini

Fondatore e direttore editoriale di Suiveur. È nato nel 1994 e momentaneamente tenta di far andare d'accordo studi universitari e giornalismo. Collabora con la Compagnia Editoriale di Sergio Neri e reputa "Dal pavé allo Stelvio", sua creatura, una realtà interessante ma incompleta.