L’Africa gli ha lasciato addosso segni indelebili e una passione ciclistica insensata.

 

La Rai trasmette in diretta il Dubai Tour. Per molti appassionati la stagione 2018 comincia dunque oggi, con le prime immagini non in differita da ottobre. Chi non aspetta la Rai sa già che la stagione è iniziata da qualche settimana, chi invece ama la tradizione fa il conto alla rovescia per il Laigueglia. Anche in gruppo, per molti, la stagione comincia oggi.

Si chiacchiera, ci si saluta, com’è andato l’inverno?, tutto bene, grazie, speriamo che primavera ed estate vadano ancora meglio. Cavendish viene segnalato nervoso per mancanza di condizione, anche se in coda al gruppo scherza con qualche collega; Nibali è assorto nei suoi pensieri, quest’anno ne avrà tanti. Mancano sessantacinque chilometri all’arrivo, davanti c’è una fuga composta da cinque uomini. Tra loro, Teklehaimanot.

Quando nel 2008 arrivò al World Cycling Centre di Aigle, in Svizzera, il ragazzo prometteva benissimo. Cinque fratelli e sei sorelle, l’Eritrea un paese dove tecnicamente dovrebbe esserci una democrazia ma praticamente c’è una dittatura. I test a cui viene sottoposto quando arriva in Europa rivelano dati sconcertanti: sotto sforzo sviluppa una potenza simile a quella di Froome, 3% di massa grassa.

È vero: ha una gamba più corta dell’altra, una lieve tachicardia e una dentatura, per usare un eufemismo, particolare. Ma chi l’ha detto che per vincere il Tour de France bisogna avere i denti bianchi e brillanti? Perché il sogno di Teklehaimanot è quello, la Boucle. La maglia a pois, che qualche anno più tardi riuscirà ad indossare, “simboleggia il coraggio, la voglia, la determinazione e il duro lavoro”, fa sapere lui. Nel ciclismo contano le gambe, e Teklehaimanot quelle ce le ha: filiformi, ipnotiche, infinite.

Messa così, Teklehaimanot in fuga nella prima corsa dell’anno sembra il naturale proseguimento della scorsa stagione e della sua carriera: un corridore votato all’attacco, appeso alla speranza, aggrappato all’ottimismo. E invece, fino a pochissimi giorni fa, Teklehaimanot in fuga era praticamente impronosticabile: era rimasto senza squadra.

La Qhubeka lo aveva lasciato a piedi. “Abbiamo creduto in lui, è un bravissimo ragazzo e un grande corridore, ma in quattro anni con noi non ha mai vinto una corsa in Europa”. Gli obiettivi della squadra sono due: aiutare Cavendish a battere il fantasma di Merckx sulle strade del Tour e supportare Meintjes quando le cose si faranno serie, anche se lo sanno tutti che chiuderà un’altra volta decimo senza mai attaccare, rimanendo costantemente attaccato alla ruota del penultimo (Mollema? Bennett? Adam Yates?) del gruppo dei migliori.

A scommettere su Teklehaimanot è stata la Cofidis. In ammiraglia Roberto Damiani e Cedric Vasseur, che per tornare in gruppo ha lasciato il ruolo di commentatore per la televisione francese. La divisa è rosso fuoco, Teklehaimanot sembra il Diavolo Rosso, Giovanni Gerbi: uno pedala in mezzo al deserto, l’altro bestemmiava sulle strade sterrate italiane di un secolo fa. Davanti menano, dietro lo stesso ma solo i gregari, ovviamente, segnati da un destino infame, figli di un dio che non esiste.

Il paesaggio circostante sarebbe perfetto per un film di Antonioni, Dubai è una città paralizzata per colpa di un evento sportivo che la lascia spettatrice distratta, indifferente, assente. Teklehaimanot rende una borraccia vuota alla sua ammiraglia, fa sempre così, dice che non riesce a buttarle per la strada come fanno tutti, gli sembra uno spreco e un insulto. La divisa rossa esplode addosso al nero della sua pelle: sono un tuttuno, un contrasto talmente forte da annullarsi, come quello che regalano la pelle dell’eritreo e quella bianchissima di Van Hooydonck, un compagno di fuga.

E infatti la fuga si inabissa del tutto o quasi, rimangono a galla soltanto Planet e Fenn, il canto del cigno prima di sprofondare nell’arsura desertica. Durante quest’inverno Teklehaimanot se l’è vista brutta, sarà il caso di iniziare a vincere qualcosa, perché provarci sempre e regalare emozioni è importante ma avere un contratto che ti permette di farlo è fondamentale.

La fuga non arriva, esito scontato e malinconico. Planet chiede il cambio, Fenn gli scatta in faccia, Planet prova a seguirlo ma le sue gambe esplodono, scuote la testa, oggi è andata male ma prima o poi, chi lo sa. Si prepara la volata, velocità altissima, tensione e caos anche, il Tour de France è già qui. Fenn è solo un ricordo, Groenewegen vince di un’incollatura su Cort Nielsen, domani si riparte. Sembra non sia successo nulla, e invece. Perché il ciclismo è così: è noioso soltanto per chi non sa osservare.

 

Foto in evidenza: ©Dubai Tour, Twitter

Davide Bernardini

Davide Bernardini

Fondatore e direttore editoriale di Suiveur. È nato nel 1994 e momentaneamente tenta di far andare d'accordo studi universitari e giornalismo. Collabora con la Compagnia Editoriale di Sergio Neri e reputa "Dal pavé allo Stelvio", sua creatura, una realtà interessante ma incompleta.