Le sponsorizzazioni provenienti da aziende extraciclistiche sono una conquista di Fiorenzo Magni.
Sono bastate poche settimane a mandare all’aria una serie piuttosto lunga di certezze granitiche. È successo anche nel ciclismo, ovviamente, microcosmo che non aveva nessun motivo per sperare di uscirne illeso. Tra calendari e contratti, corse e obiettivi, appuntamenti e impegni, un aspetto in particolare sembra scricchiolare più degli altri: il sostentamento delle squadre, il quale grava sulle spalle degli sponsor dall’alba dei tempi; di conseguenza, a volte basta una folata di vento affinché l’investimento si volatilizzi e la squadra vada in fumo. Non è un discorso nuovo, bisogna dirlo, ma nessuno almeno fino ad oggi è riuscito a trovare soluzioni all’altezza del problema: il ciclismo, insomma, si è riscoperto debole, fragile, precario.
Quando si parla delle sponsorizzazioni nel mondo del ciclismo, l’alba dei tempi non corrisponde necessariamente all’inizio vero e proprio dell’attività agonistica. Per diversi decenni, infatti, le formazioni sono state allestite e tenute a galla unicamente dal marchio che forniva le biciclette: Bianchi, Legnano, Wilier. Di sponsor extraciclistici, insomma, nemmeno l’ombra: e sarà così per anni e anni, almeno fino al secondo dopoguerra.
Nel suo “L’Italia del Giro d’Italia”, Daniele Marchesini riporta il caso della Enal-Campari, squadra partecipante al Giro d’Italia del 1946: formazioni del genere a quei tempi venivano chiamate “gruppi”, il modo in cui si decise di raggruppare e inquadrare quelli che, fino alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, erano conosciuti come “isolati”. Pare che si tratti della prima vera forma di sponsorizzazione extrasettoriale: tuttavia, e abbastanza inspiegabilmente, l’esperienza non susciterà nessun interesse.

Per imprimere una svolta epocale ci vogliono il coraggio, il tempismo e l’acume di Fiorenzo Magni. All’inizio degli anni cinquanta il ciclismo vive una situazione paradossale. È ancora lo sport più seguito e apprezzato del paese e questo primato gli viene riconosciuto, dal 1933, dal passaggio della carovana pubblicitaria: tutti i giorni, anticipando la corsa di un’ora circa, una teoria di mezzi e creatività primordiale sfila per le strade d’Italia sfoggiando pregi e peculiarità di prodotti e utensili che di lì a breve entreranno prepotentemente nella quotidianità di molti italiani.
Questo primato, tuttavia, è messo in crisi dall’industria dei motori: lentamente ma inesorabilmente, la tendenza sembra poter invertirsi e le aziende produttrici di biciclette assistono allo sgretolarsi del loro predominio. Macchine, motorini e motociclette non sono ancora alla portata di tutti, ma lo diventeranno molto presto. Si vendono meno biciclette e quindi, va da sé, l’impegno economico delle aziende nei confronti del ciclismo agonistico si assottiglia sempre di più.
Nel 1953 Fiorenzo Magni corre ancora nella Ganna. Tino, il figlio di Luigi, lo mette al corrente della situazione: la squadra avrebbe chiuso i battenti alla fine della stagione. Magni non era particolarmente preoccupato, non aveva ragion d’esserlo: essendo uno dei migliori corridori al mondo, le offerte per aggiudicarselo sarebbero arrivate una dietro l’altra. È quello che succede, infatti, ma Magni ha un’altra idea: vuole provare a fare qualcosa di nuovo, di diverso. Tramite il ragionier Pagani, Magni si mette in contatto col dottor Zimmermann: il marchio in questione è la Nivea, crema per la pelle conservata in una scatoletta rotonda e blu. Magni, dotato di un intuito imprenditoriale notevole, convince alla svelta il suo interlocutore: la possibilità di portare il marchio in giro per l’Italia è troppo succulenta per rifiutarla.
Convincere la Federazione Ciclistica Italiana, invece, fu più complicato. All’incontro decisivo organizzato a Torino, Magni non venne nemmeno fatto parlare. Fortunatamente qualche membro di spicco aveva sposato la sua trovata e aveva saputo rappresentarlo a dovere. Per la prima volta una squadra di punta viene allestita da uno sponsor che col ciclismo non ha niente a che vedere. Si parla, addirittura, di prima volta assoluta nel mondo dello sport: il calcio e l’automobilismo conosceranno questo passaggio più avanti, mentre qualche appassionato di basket ricorda la scritta “Borletti” sulle maglie dell’Olimpia Milano. Comunque la si metta, Fiorenzo Magni ha avuto un’idea rivoluzionaria e il ruolo di pioniere della sponsorizzazione sportiva gli verrà sempre riconosciuto.

L’investimento della Nivea ammontava a venti milioni di lire dell’epoca, una cifra paragonabile ai duecentomila euro odierni. «Io avevo il compito di gestire le spese», ricordava Fiorenzo Magni a La Gazzetta dello Sport. «Tenendo conto delle esigenze dei corridori, del personale e di ciò che occorreva per il corretto funzionamento delle auto. A fine anno non ebbi molto per me e il dottor Zimmermann non mi lasciò scontento». L’ accordo, infatti, venne rinnovato anche per il 1955 e il 1956. In pratica, gli ultimi tre anni della sua carriera Magni li corse rappresentando la Nivea.
Arrivarono risultati importantissimi, che permisero al marchio di farsi conoscere in tutta Europa. Magni vinse un Giro di Toscana, un Giro di Romagna, un Giro del Piemonte, un Giro del Lazio, due Milano-Modena, tre tappe alla Vuelta e una al Giro d’Italia. Il trionfo più prestigioso, ovviamente, fu il Giro d’Italia 1955, il terzo e ultimo conquistato da Magni. «La Nivea fece un grande affare», spiegò Magni a Bike Race Info nel 2006. «Mi hanno ringraziato per anni e anni. E poi quella trovata fu la salvezza del ciclismo professionistico».
In pochi, però, seppero cogliere fin da subito la portata della novità. All’inizio, senza mezzi termini, Magni venne osteggiato. «Ma come», si diceva all’epoca, «un campione come Fiorenzo Magni, uno dei migliori rappresentanti del ciclismo duro sporco e polveroso, che si compromette con un’azienda che produce una crema?». Per far partecipare la Nivea-Fuchs alla Parigi-Roubaix 1954, Jacques Goddet pose una condizione: che Magni indossasse la maglia di campione italiano, di cui era il legittimo possessore. Magni si rifiutò e la Nivea-Fuchs non partecipò, ma in compenso il toscano trovò in Coppi un sostenitore accanito. «Se non fate partecipare Magni, allora non partecipo nemmeno io», decise.
All’inizio del 1955, in un’intervista concessa a Epoca, Coppi sarebbe ritornato sulla questione. «Il destino professionale dei corridori, a mio avviso, è legato alle industrie extraciclistiche, ai grossi gruppi commerciali bisognosi di lanci pubblicitari in grande stile: dovrebbero fare perciò un monumento a Magni, che fu il primo a capire l’importanza sportiva delle creme per la pelle e dei dentifrici, e dovrebbero dare atto al sottoscritto di avere appoggiato subito l’idea rivoluzionaria, anche se essa, in un certo senso, pareva in contrasto con la logica conservatrice della mia casa».

Fiorenzo Magni infranse un muro che resisteva da decenni. Le sponsorizzazioni extraciclistiche portavano con sé un’aria di compromissione e di impurezza che mal si abbinava al mondo vecchio e arcaico del ciclismo, lontano da certe logiche commerciali. Soprattutto in Francia, tuttavia, è rimasta forte la credenza secondo la quale sarebbe stato Raphaël Géminiani con la Saint-Raphaël ad aprire il canale delle sponsorizzazioni extraciclistiche nel mondo del ciclismo. Géminiani, che rimane comunque uno dei primi ad aver seguito l’esempio di Magni, arrivò però con quasi dieci anni di ritardo. Da Magni in poi – dalla Nivea in poi – nel ciclismo sarebbero entrate aziende che producevano gli articoli più disparati: paste, prodotti alimentari, bevande più o meno alcoliche, gelati, scarpe, lampadari, cucine, abbigliamento, prodotti per l’igiene personale e della casa, elettrodomestici.
Quello di Fiorenzo Magni è un profilo decisamente atipico del panorama ciclistico – e sportivo, se vogliamo. Terminata la carriera professionistica, infatti, la sua stella continuerà a brillare per altri decenni nel mondo dell’imprenditoria. D’altronde, è proprio questo il motivo per cui si ritira nel 1956: nonostante fosse ancora in forma, il lavoro d’ufficio della “Fiorenzo Magni S.R.L.”, la sua prima azienda lanciata nel 1951, richiedeva ormai un’attenzione costante. Non poteva più allenarsi al mattino e andare in ufficio al pomeriggio: doveva prendere una decisione. E la prese, lasciando il ciclismo pedalato. Soltanto pedalato, tuttavia.
Negli anni a seguire, infatti, sarebbe stato commissario tecnico, presidente dell’Assocorridori e della Lega del Ciclismo Professionistico. Il suo lascito più significativo rimane il Museo del Ghisallo, un progetto che ha occupato l’ultima parte della sua vita. «È un museo dedicato al ciclismo, non ad un campione in particolare», spiegava anni fa. «L’idea è quella di raccogliere cimeli e oggetti del ciclismo presente e passato. Le generazioni future devono sapere, e anche poter vedere coi loro occhi, cos’è stato il ciclismo quando loro non erano ancora nate».

Le impronte del passaggio di Fiorenzo Magni sono facilmente visibili. Basti dire, ad esempio, che fu lui a introdurre Ernesto Colnago nel mondo del ciclismo professionistico portandoselo dietro al Giro d’Italia del 1955 come vice meccanico – l’ultimo Giro d’Italia vinto, peraltro. Oppure, la convinzione con la quale promosse la nascita dell’Associazione corridori professionisti nel 1946, nell’immediato dopoguerra. “L’intento era quello di tutelare i diritti e gli interessi dei corridori, da considerarsi lavoratori a pieno titolo, con livelli salariali minimi e prestabiliti, forme assicurative e pensionistiche per i suoi tesserati. È la prima organizzazione di categoria nel mondo dello sport italiano”, citando le parole di Daniele Marchesini.
E ancora la concessionaria della Moto Guzzi, la vendita della automobili della Lancia, l’esperienza alla Opel e quella nel commercio dei prodotti petroliferi per uso domestico insieme a Giorgio Albani, l’amico di una vita insieme ad Alfredo Martini. «Ai miei nipoti dico sempre: nella vita non ti regala niente nessuno, devi lottare tutti i giorni e cercare di migliorare, un operaio deve sempre aspirare a diventare capofficina, se no non lo assumo», raccontava al Corriere della Sera. Pare che a novant’anni si presentasse ancora in ufficio ogni mattina alle otto: puntuale, come sempre.
Foto in evidenza: ©Javi, Twitter