Rinascere Sagan o restare semplicemente sulla bici e nella vita: Jens Voigt.

 

Jens Voigt, appena può, urla alle sue gambe: “State zitte, fate quello che vi dico!“. Da corridore trovò la sua giusta inclinazione andando sempre in fuga e quelle gambe non riusciva mai a farle stare ferme.

Se elencassimo tutte le volte in cui ha lasciato il gruppo, non basterebbero migliaia di battute. Se conoscessimo il suo segreto nel vederlo rialzarsi da una caduta e resistere al plotone che rinviene da dietro come una bestia famelica, avremmo spiegato il ciclismo, materia cervellotica per filosofi della fatica.

Ma Jens Voigt non è stato soltanto un fugaiolo, padre putativo di Johnny Hoogerland, Thomas De Gendt, Thomas Voeckler o Pierre Rolland; nel 1994 era considerato, insieme a Jan Ullrich, uno dei migliori dilettanti al mondo. La città che gli diede i natali, in italiano suonerebbe circa come “Il mulino della rabbia“: come il Rosso di Rostock ed Erik Zabel, arrivava dalla Germania Est, parte di una nidiata teutonica zeppa di talento e che i tedeschi non avrebbero mai più rivisto.

Da professionista si è tolto diverse soddisfazioni, oltre alle innumerevoli volte in cui la tv si collegava e te lo ritrovavi davanti, da solo o in compagnia: più di cinquanta vittorie, tra cui due tappe al Tour, una al Giro, diverse cronometro, brevi corse a tappe. Se nell’esercizio contro il tempo amava gli sforzi intensi, quando era in fuga le sue capacità si moltiplicavano, l’idea di stare sotto i riflettori, da solo, inquadrato dalla moto, facevano di lui la peggior bestia da inseguire per il gruppo. Come andare a caccia di cinghiali con un taglierino.

Jens Voigt in bicicletta è il mulino della rabbia, ma è irascibile solo quando si rivolge alle sue gambe, perché per lui il ciclismo è lavoro, ma è anche passione da sbrigare con zelante dolcezza e con amore per i chilometri faccia al vento. Una volta ritiratosi, a pochi giorni dal suo quarantatreesimo compleanno, Voigt non ha mai smesso di far parte di quel mondo. Se in corsa era uno spot per le due ruote, nel suo dopo carriera si è costruito come un’autentica macchina mediatica capace di trascinarsi dietro sponsor, follower, slogan.

L’aforisma: “Shut Up Legs!” è diventato il titolo della sua biografia, è un marchio registrato, è una marca di abbigliamento cool, come lo definirebbe lui nel suo perfetto americano, e ancora oggi lo si può trovare scritto dai passi alpini e pirenaici fino alla lontana California.

Prima di ritirarsi inizia a guardarsi intorno, la sua capacità di andare in fuga e di parlare alle sue gambe come davanti a un microfono, lo indirizzano nel campo del marketing e oggi è testimonial di diverse aziende che gravitano intorno al mondo del ciclismo: “Dovevo pensare a mantenere la mia famiglia, ho moglie e sei figli e non ho mai pensato di trasferirmi a Montecarlo. Il Direttore Sportivo non faceva per me, pensavo che per essere un bravo commentatore televisivo avrei dovuto vincere almeno un Tour de France.” Lui che, nonostante la predisposizione nelle brevi corse a tappe, non è mai stato lontanamente uomo da classifica (miglior risultato un 27° posto al Tour a oltre un’ora).

Jens Voigt già da corridore aveva imparato nelle ore in fuga a vendere il prodotto “Jens Voigt”, tra l’epica di divise strappate dopo una caduta, smorfie alle telecamere, soglia della resistenza spostata ogni volta un po’ più in là.

È stato recordman dell’ora, pratica assurda che tanto assomiglia alla follia dei chilometri in fuga solitaria. Ha pedalato ventisette ore di seguito per raccogliere soldi destinati alla ricerca contro il cancro.

Ho vinto abbastanza gare da essere considerato un buon corridore, ma ho fallito così tante volte che sono sempre stato definito un underdog” – dice Voigt ai microfoni di velonews.com – “Sono il ragazzo a cui viene dato un calcio in testa e poi come un mulo torna indietro.” Un’attitudine che in America lo ha fatto spopolare.

Ora Jens Voigt non riesce a stare fermo, come quando correva, forse di più: “Sono più stanco oggi di quando andavo in fuga al Tour de France. Quando smetteranno di pagarmi per firmare autografi in giro per il mondo, potrei diventare il campione del mondo del non fare nulla.”

Poi si ricorda che senza la bicicletta non sarebbe Jens Voigt: “Se un giorno rinascessi, vorrei essere come Peter Sagan.” Chissà in quel caso le sue gambe cosa penserebbero.

Foto in evidenza @https://www.flickr.com/photos/cliches-cyclisme/

Alessandro Autieri

Alessandro Autieri

Webmaster, Fondatore e direttore editoriale di Suiveur. Doppia di due lustri in vecchiaia i suoi compagni di viaggio e vorrebbe avere tempo per scrivere di più. Pensa che Mathieu Van der Poel e Wout Van Aert siano la cosa migliore successa al ciclismo da tanti anni a questa parte.