Le pietre della Roubaix raccontano storie

Se volessimo leggere una grande storia, dovremmo consultare una di queste pietre.

 

Ogni pietra racconta una storia. Si narra che una pietra che compone il ciottolato del Carrefour de l’Arbre, nella campagna di Gruson intorno a Roubaix, una volta fosse parte di un castello, di una chiesa o di qualche magnifico edificio ormai distrutto. Una pietra che, con la sua tipologia illegittima, viene trasportata e posata vicino alle altre per andare a formare uno dei segmenti risolutivi del ciclismo delle grandi classiche.

Qualche chilometro più a sud, ad Arenberg, le pietre invece sono rauche come un sospiro rotto da un colpo di tosse; conoscono storie di cavalieri senza nome e hanno abbandonato ogni velleità poetica lasciandosi alle spalle le leggende di prìncipi e principesse. Le pietre della foresta sono ingannatrici; sono tortuose come la via che nel nord della Francia si divide tra il trionfo e il fallimento. L’umidità delle fagacee rende vischioso e scivoloso il pavé a schiena d’asino, irriverente per la sua irregolarità agli occhi di chi guarda.

I sassi della foresta di Arenberg sono ricoperti di merda di cavallo e di fango, e il fetore delle miniere di carbone tutte intorno rapprende ogni cosa. Lì vicino i nobili aristocratici dell’omonimo casato hanno provato a scrivere la storia, ma i veri protagonisti sono dei baldanzosi guerrieri su due ruote, simili a centauri, antieroici, col volto imbrattato come maschere indefinite, grondanti come bistecche al sangue e mandati nel tempo a sfidare l’insidia di quello che nel mondo è conosciuto come l’Inferno del Nord.

C’è quel belga, detto il Cannibale, che qui assaporò il gusto del trionfo in maglia iridata nel giorno del primo passaggio attraverso la Trouée d’Arenberg. Era la sua seconda partecipazione alla Parigi-Roubaix, l’appetito rimase tale che vinse altre due volte e non uscirà dai primi dieci per un decennio.

C’è quell’italiano che ora coltiva vino, duro e spigoloso come i sassi del nord della Francia; vinse tre volte consecutivamente, una volta da Campione del Mondo in carica.

Ci sono stirpi di belgi che su queste strade hanno fatto la guerra. Un ciclocrossista, era detto il Gitano, uno dei più grandi di sempre non solo quando la strada si trasformava in fuoristrada, mettendo a dura prova forza, equilibrio e destrezza: di Parigi-Roubaix ne ha conquistate quattro. C’è chi ha vinto facendo epoca accompagnato nel velodromo come un oplita dalla sua falange e che proprio nella Trincea di Arenberg un giorno si è frantumato un ginocchio. È tornato e ne ha vinte altre due. C’è chi invece è stato potente come un rombo di tuono, elegante come uno squillo di tromba che taglia in due l’aria. Ha scritto il suo nome nell’albo d’oro per quattro volte, è stato magnifico, di rara bellezza, è stato considerato un Re, è caduto e si è rialzato, si è fatto dileggiare da un attempato carneade, ha attaccato vincendo da distanze poco conosciute al ciclismo contemporaneo. Ha fatto passerella qui, due anni fa, abbandonando il ciclismo alla sua sorte.

Foresta di Arenberg (Foto © https://www.flickr.com/photos/sportpixonline/)

C’è il campione bretone che odiava la gara più amata dai francesi, non sopportava districarsi in mezzo a selciati sconnessi come il tempo che inganna la giovinezza. Una porcheria la definiva. L’ha profanata, l’ha vinta e l’ha continuata a odiare. C’è il toscano lottatore, altri avevano il talento, lui non mollava mai; è stato l’ultimo vincitore italiano. C’è l’altro toscano, quello che fece l’impresa. Anzi ne fece due. Un cavaliere con il viso impolverato, una volta beffato anche al fotofinish. Poi beffato inesorabilmente su altre strade. C’è uno svizzero di origini lucane che qui ha scaricato talmente tanta potenza da far tremare la terra. Ha lottato con belgi, norvegesi, spagnoli, francesi e italiani. Ne ha vinte tre, poi si è fermato.

Erano Merckx, Moser, De Vlaeminck, Museeuw, Boonen, Hinault, Tafi, Ballerini e Cancellara. Domenica saranno Sagan e Van Avermaet entrambi sventolando il riscatto di una primavera sin qui ambigua. Sarà Gilbert alla ricerca dell’ennesima, magari ultima, impresa, e un pugno di altri belgi: da van Aert, bello, ma incompiuto, a Naesen, da Vanmarcke a Stuyven. Sarà Degenkolb, amico della Roubaix, o Kristoff, forse più a suo agio da altre parti, L’Italia arriverà con l’assordante impresa di Bettiol al Fiandre, ma calerà verso il silenzio puntando tutto su Moscon e Trentin un po’ lontani dal riportare in Italia l’unica Classica Monumento mai vinta nel nuovo millennio. E poi saranno francesi, olandesi, altri norvegesi e altri tedeschi, giovani rampanti danesi e pure un ceco, forse il più motivato di tutti dopo essere malamente rimbalzato a pochi chilometri dal confine: tutti con le carte in regola per vincere. Mentre gli outsider come sempre saranno attesi a far saltare il banco nel velodromo.

“Allora mi getto a capofitto nella terra: apriti, terra. No, non mi dà riparo. Stelle che regnavate alla mia nascita e che mi avete dato morte e inferno, risucchiatevi Faust come una nebbia nelle viscere di quelle nubi incinte, affinché, quando vomitate in aria, il corpo cada dalle bocche fumose ma l’anima salga al cielo.” Marlowe, Dr. Faustus

È la conclusione della Settimana Santa del ciclismo. Ci sarà, come in un girone di dannati, polvere; se pioverà quella polvere diverrà fango, e sarà l’ennesimo capitolo da narrare. Ci sarà puzza di zolfo e di carbone, ad ogni angolo spunterà il ricordo della guerra. Ci saranno ancora loro, le pietre dette pavé, uniche testimoni di una storia che non annoia mai, che fa il giro del mondo in sella ad una bici, sarà la Parigi-Roubaix, intrisa di infamia, la più sporca e più crudele. Sarà l’Inferno del Nord.

Foto in evidenza: © https://www.flickr.com/photos/sportpixonline/

Alessandro Autieri

Alessandro Autieri

Webmaster, Fondatore e direttore editoriale di Suiveur. Doppia di due lustri in vecchiaia i suoi compagni di viaggio e vorrebbe avere tempo per scrivere di più. Pensa che Mathieu Van der Poel e Wout Van Aert siano la cosa migliore successa al ciclismo da tanti anni a questa parte.