L’Inferno del Nord, un attacco da lontano e l’ineluttabilità dei Campioni.
“It just happened”. Semplicemente succede. È una delle frasi preferite da Peter Sagan per descrivere le sue vittorie, come se neanche lui fosse in grado di spiegarsi quest’attrazione magnetica tra la linea del traguardo e la sua bicicletta. Semplicemente succede, ma succede molto spesso e la casualità c’entra poco. Quando è entrato, per la prima volta nella sua carriera, in testa al Velodromo – era già successo – la corsa era già stata vinta: necessitava solo formalmente di un epilogo.
Silvan Dillier, coraggiosissimo quel giorno e perfetto nelle scelte tattiche, sa benissimo che non ci sarà storia in volata. Lui è un onesto corridore, campione di Svizzera in carica e con all’attivo un successo di tappa al Giro. L’altro è una divinità pagana delle due ruote, un ciclista come non si era mai visto capace di monopolizzare l’audience mondiale quando è in gruppo. C’entra molto quello che fa in bicicletta, c’entra tanto anche come si comporta una volta sceso, c’entra soprattutto che per tre volte consecutive ha vinto il mondiale e quest’anno ha aggiunto la corsa che il mondo intero gli chiedeva al suo ricchissimo palmares. Vincere la Parigi-Roubaix era un obiettivo fin da quando era bambino; adesso può metterci la spunta.
La giornata inizia secondo i migliori auspici, ma a 150km dal traguardo Michael Goolaerts, ventitreenne atleta della Veranda’s Willems-Crelan, si schianta contro una parete di terra e rimane disteso, pietrificato. Ha avuto un arresto cardiaco, sarà trasferito d’urgenza all’ospedale di Lille ma non ci sarà niente da fare. Il giorno dopo la squadra comunica il decesso. In questi casi si cerca di non far arrivare informazioni ai ciclisti in corsa, ma la percezione di chi racconta, di chi guarda e spesso anche di chi interpreta la gara, cambia completamente.
Una gara però c’è, ed è accesissima, sulle pietre della secondogenita tra le Classiche Monumento (più datata c’è solo la Liegi-Bastogne-Liegi) non può che essere così. I favoriti sono tanti; Terpstra, Stybar, Phinney, Van Avermaet, Sagan, Vanmarcke, Van Aert, Degenkolb: ne mancano davvero pochi. Il primo nome importante a muoversi è però Philippe Gilbert. Nella carriera del belga è difficile trovare dei buchi ma in effetti la Parigi-Roubaix non è mai stata la sua gara. Troppe pietre, troppa polvere, troppe poche salite. Comunque, tanto vale provarci; viene dal terzo posto al Fiandre, è in una condizione eccellente e non ha niente da perdere. Un anno prima aveva vinto più o meno così il Giro delle Fiandre: non ha più lo smalto di una volta, la corsa è troppo dura, non è il suo terreno, e infatti ha messo tutti in fila. L’Inferno del Nord però rimane un’altra cosa. L’attacco a 83km dal traguardo di un corridore come Gilbert non sconquassa gli equilibri del gruppo tirato da BORA e Trek principalmente.
Un grande lavoro lo fa il nostro Daniel Oss, fedelissimo di Peter Sagan. Il tentativo del belga dura quasi trenta chilometri, davanti si è messo Burghardt a fare l’andatura. Ai -55km cominciano una serie di scatti interlocutori, si muove anche Van Avermaet, ma il campione del mondo ha già visto tutto. Ha imparato a farlo durante la sua carriera, iniziata con i proclami di un talento straordinario frenato da una scarsa attitudine a leggere la corsa, ma trasformatasi nella cavalcata di un campione che a livello tattico è maturato tantissimo.
Succede: può anche non succedere, ma spesso succede. Burghardt svolge il suo lavoro in maniera impeccabile, e poi succede. In un tratto di strada asfaltata, molto anonima, con qualche curva e poca gente ai lati del gruppo, Sagan allunga il rapporto. Inizia una progressione che non viene compresa da nessuno del gruppo di testa e ovviamente nessuno si sente di esporsi in prima persone per chiudere sul campione del mondo. E se fosse tutto un bluff? E se stesse cercando solo di anticipare perché non ha la gamba? E se poi ci rimango fregato io? Si guardano ma nessuno si muove. Passano pochi minuti e tutti capiscono che è appena successo. Sagan ha appena vinto la Parigi-Roubaix anche se mancano più di quaranta chilometri.
Con i campioni è sempre così: loro vivono nel momento, comprendono la situazione e non lasciano margini dubitativi ai loro avversari. Quello che per gli altri è un sanguinario all-in, per Sagan è la consapevolezza di essere il migliore in assoluto. Raggiunge un terzetto in fuga del quale ben presto l’unico reduce sarà Silvan Dillier. Corre per l’AG2R, non ha mai nemmeno immaginato di poter correre una Roubaix da protagonista, è la vittima perfetta per un carnefice gentile. Sagan e Dillier collaborano per arrivare in fondo. Nessuno dei due si azzarda ad allungare prima del Velodromo; il secondo ha speso tanto, non ha la benzina per attaccare il fuoriclasse slovacco sul suo terreno, tanto vale aspettare la volata e pregare. Al primo sta benissimo così: in volata non lo battono gli specialisti, figurarsi Dillier.
Nelle retrovie ci sono timidi segnali di risveglio. Terpstra, Van Avermaet, Stuyven, Vanmarcke: tutti corridori che aspettano appuntamenti di questo tipo, tutti pimpanti quando i buoi sono usciti (e da un pezzo) dalla stalla. Non c’è accordo tra gli inseguitori, solo parecchio sgomento e la volontà di mettere una toppa su una ferita da granata. Sagan è andato via, lo rivedranno al traguardo.
Succede, è già successo, ma sta per succedere di nuovo. Bisogna risalire al 1981, Bernard Hinault in maglia iridata trionfa alla Parigi-Roubaix, poco dopo definirà la corsa “une connerie” che, per i meno pratici con la lingua di Dumas, non è una bella parola. Nel 2018 l’Iride Mondiale torna a splendere sulle pietre dell’Inferno. Entrano in due nel Velodromo, Dillier in testa Sagan a ruota.
Lo slovacco è una maschera di cera. Non lascia per un secondo la ruota del campione di Svizzera, rimane focalizzato sull’obiettivo, non forza lo sprint, lo aspetta, lo accoglie. Si divora il ciclista dell’AG2R per poi esplodere in un urlo liberatorio. Ancora qualche metro per inerzia poi allunga la mano verso il secondo classificato, la vera sorpresa di questa edizione della Parigi-Roubaix. Zero recriminazioni per Dillier; semplicemente succede, è successo, e succederà di nuovo. Con i campioni va così.
(immagine di copertina: ©Brendan Ryan https://www.flickr.com/photos/brendan2010/)