Philippe Gilbert: il ragazzo della Redoute

Gilbert è un camaleonte mutato da scattista affilato in belva da ciottoli.

 

È il primo pomeriggio del 24 aprile 2011 quando Andy Schleck inizia la propria danza sulla Roccia dei Falchi. Sembra di assistere al canovaccio di due anni prima: il lussemburghese si involò verso la sua più grande vittoria. Poco, troppo poco in effetti per lo splendore del ciclismo che esprimeva.

Era il 2009 e due campioni si fronteggiarono in quella Liegi. Complice storia ed epica che nel ciclismo vanno a braccetto, Philippe Gilbert aveva provato sullo Sprimont, ai meno ventotto. Allora Andy, talento puro e classe infinita in una mente fragile, aveva atteso la Roche aux Faucons e se n’era poi andato, riprendendo Philippe e lasciandolo malamente impastato sui pedali. Il belga lo aveva rivisto all’arrivo da quarto, Andy in trionfo.

Ma Gilbert la lezione sembrava averla capita e l’anno dopo aveva affinato le armi, attendendo l’attacco di Andy, sempre lì, sulla vetta dal nome rude e che si impenna a doppia cifra. I due se n’erano andati insieme. Corsa finita? Nemmeno per sogno, poiché nei falsopiani che costellano le Ardenne e fanno da amaca tra una côte e un’altra erano stati ripresi da gente non proprio alle prime armi. Il grande Vinokourov e il “maresciallo” Kolobnev avevano poi rotto gli indugi di lì a poco. E la Liegi fu affar loro, mentre dietro ansavano i campioni dei primi attacchi.

2011 dunque, 24 aprile dicevamo, e un primo pomeriggio di sole. Andy di nuovo si alza sui pedali e se ne va, di nuovo Roche aux Faucons; è uno spettacolo vederlo, eleganza e potenza al tempo che hanno avuto pochi pari nella storia del ciclismo contemporaneo. Ma Philippe come l’anno prima è di nuovo lì, maturo adesso, con una monumento in saccoccia (Il Lombardia 2009), pronto ad assaltare l’Olimpo dei Classicomani.

La collina di Ans che chiude la corsa è ancora lontana, ma i due se ne vanno e riprendono la fuga di giornata; con loro arriva Fränk, il fratellone Schleck, meno talentuoso ma a volte più efficace di Andy.

Cambierei le tre corse vinte con questa”, aveva detto alla partenza il belga. E le tre corse dove aveva appena trionfato non erano poi robetta da niente: una Freccia del Brabante regolata in volata su Leukemans con estrema facilità, l’Amstel Gold Race che proprio in quegli anni diveniva il suo marchio di fabbrica (quattro vittorie e un Mondiale, il tutto sempre maturato sul titanico Cauberg). E infine un’incredibile Freccia Vallone, col Muro di Huy che tutti credevano impossibile per lui. E invece no.

Dieci giorni nemmeno e un palmarès da urlo: ma le avrebbe cambiate, sosteneva, tutte per quella, poiché la Liegi non ha eguali: cento e passa anni, la Decana, neve e pioggia, sole e tante cime, denti aguzzi da scalare lungo le lande della Vallonia. Lo Stockeau come simbolo, ai tempi in cui Merckx partiva ruminando gli avversari; troppo lontano però dal ciclismo moderno. Ed ecco che fu la Redoute a divenire per decenni “LA” salita della Liegi, la côte principesca coi suoi due chilometri che accarezzano un comodo 22% di pendenza.

Finché il ciclismo non si specializza ulteriormente, le squadre si fanno più forti, il livellamento rende perfino la Liegi un qualcosa da giocarsi spesso solo in fondo. Allora la differenza si è iniziata a farla ancora più avanti, con la vecchia Redoute trasformata quasi in una passerella dove transitare e ammirare quelle scritte in successione, come in un esercizio di ipnosi. Un nome che da un quindicennio e lì impresso.

Ma ovviamente non perde di fascino la Doyenne, non può. Così, anche se meno incerto, ogni metro di strada basta e avanza perché questa Signora del ciclismo si faccia amare dall’appassionato sul divano, dal ciclista della domenica, dal ragazzino che sogna Giro d’Italia e grandi Classiche, fino al corridore in gruppo che morde il freno per partire proprio da lì. Quelle scritte, dicevamo: Phil Phil Phil Phil che si ripete negli infernali metri di ascesa. Potere del patriottismo vallone? In realtà c’è di più: Philippe Gilbert ci nasce lì, a Remouchamps, piccolo paesino dove si impenna la Redoute. E se nasci lì hai un solo sogno: vincere la Liegi-Bastogne-Liegi, vincere in quella terra che letteralmente ha creato il ciclismo, che ha creato te.

2011, il ragazzino di Remouchamps sa di essere il più forte in quell’anno magico, non deve strafare scattando da lontano, nemmeno se tutti lo attendono sulla Redoute; per fare la Storia c’è tempo e si sa che prima o poi la farà. La gamba scalpita comunque, il belga l’avverte non solo sulla vecchia salita di casa, ma quando si passa sotto i quartieri operai della periferia, vicino allo stadio dello Standard, bordando le case fatiscenti che portano al Saint Nicolas; un chilometro di ascesa in mezzo a grigliate, urla, a tricolori belgi, certo, ma anche italiani. I figli, i nipoti dei vecchi minatori emigrati che ancora oggi affollano le strade dell’ascesa.

La gamba si fa vorace, è come un impulso di fronte al frastuono, al tifo assordante. Van Avermaet, il rivale di sempre, si è staccato ai piedi della “salita degli italiani”, la vetta è là, poi la discesa e l’ultima côte che porta ad Ans, dove finisce il sogno e inizia il trionfo. Due, tre pedalate, uno scatto dei suoi; solo Fränk resiste, non dà il cambio una volta scollinati per dare possibilità al fratellino Andy, adesso in difficoltà, di rientrare.

Di nuovo in tre. Gilbert nella morsa degli Schleck, verrebbe da dire. Ora inizieranno a turno gli scatti per sfiancarlo, verrebbe da scommettere. In realtà i due campioni lussemburghesi appaiono come soggiogati e intimoriti, un leone che gioca con due agnellini appare Phil. Entrambi sanno che un altro scatto potrebbe lasciarli lì e benché consci di essere battuti in volata, ugualmente attendono. E la volata dopo la curva finale giunge. Phil sprigiona una forza profonda, a gamba piena.
Non c’è storia. Lui stesso diviene Storia, compiendo il trittico (a dire il vero la quaterna se ci mettiamo il Brabante) che era riuscita solo a Davide Rebellin nel 2004, anch’egli superbo domatore delle Ardenne.

Passano otto anni e siamo a oggi. Il Saint Nicolas viene tolto dall’edizione 2019, poiché la corsa ormai finisce per non decidersi nemmeno lì. Tutto è ricalibrato per far sì che la Liegi torni a infiammare come un tempo; torni a essere battaglia aperta che l’ha resa celebre, più di ogni altra classica forse.
Gilbert esiste ancora, eccome. È un corridore diverso, camaleonte mutato da scattista affilato in belva da ciottoli, un Fiandre con una fuga da tempi eroici e una Roubaix fresca di quindici giorni. Il ragazzino della Redoute ormai è un Van Looy, uno Sean Kelly, un fuoriclasse o semplicemente Philippe Gilbert.
Eppure ricorda ancora, c’è da scommetterci, dei suoi primi colpi di pedale proprio nell’erta che ogni anno ha lì stampato il suo nome, ricorda il vecchio Dirk De Wolf che lo allenava, ricorda ogni metro di salita e sa in questo giorno di vigilia che la Redoute lo attende ancora. Chi ha orecchie per intendere…