Per riuscire a stare ferma, Chloé Dygert si è dovuta inventare ciclista.
Dovessero chiedere a Chloé Dygert quale sport preferisce, la risposta sarebbe tutt’altro che scontata. A volte, quando si racconta, è come se sfogliasse un album di fotografie: si rivede mentre palleggia con un pallone a spicchi, maneggia un guantone da baseball oppure è intenta a giocare a calcio o a softball. Tutt’al più la trovi anche in una foto di gruppo con i suoi coetanei: lei regge una BMX senza abbozzare nemmeno un sorriso e sullo sfondo la pista fatta costruire dal padre in un terreno di proprietà di casa Dygert.
Dovessero chiedere a Chloé Dygert qual è la sua superficie preferita, sarebbe indecisa se asfalto o parquet. La strada l’attira, non c’è che dire: ricordate quel titolo mondiale conquistato meno di un anno fa? In un mondo dominato da Annemiek van Vleuten e Anna van der Breggen, a un certo punto spunta lei; ma non è che spunta, proprio le infilza, le scuote fino a far cadere a terra dalle tasche delle favorite la medaglia d’oro. Fosse stata una corsa in pista, le avrebbe doppiate. Vince il titolo con il distacco più ampio nella storia della specialità, ma era già una notizia anche solo il fatto di aver battuto le imbattibili olandesi.
La strada l’attira, ma la pista è calamita: la sua cadenza nell’inseguimento è la danza di un ballerino. Un tulipano blu scuro che indossa petali di velluto. Si distingue da tutte le altre non solo per il vistoso casco marchiato dal suo sponsor, ma anche per la capacità di volteggiare in bici come un ginnasta, tramutare forza in eleganza; come un batterista che picchia forte, ma con la classe di chi sembra non fare altro, da sempre, tutto il giorno. Possiede la grazia e l’abnegazione di chi coltiva il talento con attenzione, come tenere da conto una pianta grassa sul davanzale e magari darle un nome e pronunciarle parole delicate. Picchia forte, su quella batteria, come Andrew Neiman quando deve suonare Whiplash, mentre si esercita ascoltando Charlie Parker e Duke Ellington.
Dovessero chiedere a Chloé Dygert di mostrare qualche istantanea sull’età in cui si plasmava come ragazza e come atleta, probabilmente il suo primo pensiero andrebbe al liceo, la Browning High School. Chloé era la classica ragazza con poca disciplina, che non riesce mai a stare ferma. I genitori cercano di placare quel fuoco facendole fare più sport possibili: un classico. Gioca a calcio, ma viene spostata dalla squadra femminile a quella maschile. Troppo forte, veloce di pensiero e nel dribbling con quelle gambe sempre in movimento. Gioca a basket, ma trita le ossa alle sue compagne. «Ero un po’ troppo aggressiva ed ero già più grande di loro», ma non lo faceva apposta. Si muoveva a tentoni come un gigante in un’esibizione al circo: era già estremamente sviluppata. Ha provato la corsa campestre per poi magari lanciarsi nel mezzo fondo in pista, ma alcuni problemi fisici la frenarono. «Avessi continuato a correre, sarei diventata Steve Prefontaine; avessi continuato a giocare a basket, Larry Bird» racconta alla NBC.
Il fisico si era formato a suon di sberle, calci, sputi, grida, pugni e spallate con i suoi fratelli; il carattere a causa di quel suo continuo rifiutare la bicicletta che il padre, ex biker, gli faceva trovare ovunque, persino come sorpresa a natale e capodanno. Ma lei odiava il ciclismo, odiava le biciclette e David Dygert non faceva che regalargliele.
Si rompe una spalla giocando a pallacanestro, mica esultando per i suoi adorati Boston Celtics, sia chiaro. Si rompe i legamenti del ginocchio e, come nelle migliori storie di ciclismo, si decide a salire in sella per la riabilitazione. Dopo un giro con suo padre, quest’ultimo gli disse: «Chloé, non è mica normale che una ragazza della tua età esprima questa potenza in bicicletta». Riluttante in un primo momento, anni dopo diventa l’inseguitrice su pista più forte del mondo, la più giovane campionessa a cronometro su strada della storia.
Dovessero chiedere a Chloé Dygert chi porta i pantaloni in casa, in un primo momento ti potrebbe guardare male e non darti alcuna risposta. Ti verrebbe però da pensare e dire che tra lei e Logan Owen, suo marito, comandi la riccioluta ragazza dell’Indiana, se non altro perché ha sempre portato a casa risultati pesanti. Se non altro perché, in pochi anni, da talento del ciclismo americano Logan Owen si è trasformato (in un degno) signor Dygert. C’è da immaginare che al corridore della EF Education First questo titolo non dispiaccia.
Dovessero chiedere a Chloé Dygert e volentieri glielo chiederemmo noi, cosa ne pensa di questo mondo alla deriva, probabilmente ti osserverebbe dietro quei suoi grandi occhi neri e ti darebbe un pugno sulla spalla, poi prenderebbe la BMX, se proprio in strada non ci si può muovere, e inizierebbe a girare su e giù per quella pista che suo padre fece costruire tanti anni fa nel terreno dietro casa, aspettando che tutto si risolva. Perché il mondo si è fermato, ma Chloé Dygert assolutamente no.
Foto in evidenza: ©www.chloedygertowen.com/