Quella di Luis León Sánchez è stata una carriera densa di avvenimenti.
Ogni volta che vince, Luis León Sánchez alza le braccia e punta gli indici verso il cielo, laddove per un sentir comune si presume vadano a vivere coloro che passano a miglior vita. È lassù, infatti, che Luis León Sánchez presume sia finito suo fratello León, più grande di lui di quattordici mesi appena, scomparso nel 2005 in seguito ad un incidente in moto. Siccome il nonno si chiamava León, il padre dei ragazzi decise che ognuno dei suoi figli avrebbe avuto quel filotto evocativo di quattro lettere come primo o secondo nome. Il più grande, come detto, era León; poi veniva Luis León; infine Pedro León, come il padre. Fu quest’ultimo a portare il ciclismo in casa: rimasto coinvolto in un attentato dell’ETA a Bilbao mentre lavorava per la Guardia Civil, i dottori gli consigliarono la bicicletta per favorire la riabilitazione. Per non pedalare da solo, comprò altre due biciclette ai due figli maggiori, León e Luis León, allora ancora bambini. Il primo avrebbe smesso, il secondo sarebbe diventato un ciclista professionista. Il terzo, Pedro León, al ciclismo ha preferito il calcio; è stato una bandiera del Getafe, ha giocato anche nel Real Madrid e adesso veste la maglia dell’Eibar: anche lui, quando segna, alza le braccia e punta gli indici verso il cielo.
Luis León Sánchez, bontà sua, di corse ne ha vinte parecchie: quarantacinque, secondo Wikipedia, tra le quali spiccano quattro tappe al Tour de France, una Parigi-Nizza, un Tour Down Under, due edizioni della Clásica San Sebastián, quattro della prova a cronometro dei campionati spagnoli. Forte sul passo e solido in salita, per un periodo la Spagna pensava d’aver trovato l’erede di Indurain, il corridore che Luis León Sánchez ha amato di più; e invece, più che a Indurain s’è avvicinato a Jalabert, l’altro campione per il quale ha tifato particolarmente. Nel 2007, passato alla Caisse d’Epargne, il suo modello divenne Valverde: i due, oltre che compagni di squadra, erano anche murciani e l’amicizia che li lega è solida. Sul traguardo della Vuelta a Murcia 2018, anticipato da una stoccata da finisseur di Luis León Sánchez, Valverde lo applaudì; il terzo, Gilbert, sarebbe arrivato oltre due minuti più tardi. Nell’estate del 2012, al secondo anno alla Rabobank, la quarta vittoria in carriera al Tour de France e la seconda nella Clásica San Sebastián gli valsero un contratto faraonico: due milioni e mezzo per le tre stagioni successive. Tuttavia, il miglior periodo della sua carriera sarebbe terminato di lì a poco.
Huerto, numero 26: secondo l’NRC Handelsblad, questo era il nome dietro il quale si nascondeva Luis León Sánchez negli archivi di Eufemiano Fuentes. Uscita all’inizio del 2013, la notizia costrinse la squadra olandese a prendere una decisione netta: non come l’anno prima, quando ammise che Luis León Sánchez aveva lavorato con Michele Ferrari in maniera assolutamente pulita, suscitando ora ilarità ora sospetto. Il corridore era sospeso finché la questione non sarebbe stata chiarita. Ci vollero alcuni mesi, ma il ricorso presentato da Luis León Sánchez e il suo avvocato, Ángel Buenache, era andato a buon fine: gli venne data ragione, non c’erano prove del suo coinvolgimento nell’Operación Puerto. La squadra fu costretta a reintegrarlo, ma Luis León Sánchez non si fece trovare impreparato: alla prima corsa, il Giro del Belgio, vinse la quinta tappa e arrivò secondo in classifica generale. Tuttavia, gli olandesi preferirono trovare un accordo col corridore per separarsi alla fine della stagione. Dopo una stagione, il 2014, alla Caja Rural, Luis León Sánchez sarebbe tornato nel World Tour con l’Astana. Nonostante un trattamento tutt’altro che gentile, lo spagnolo non ebbe mai brutte parole: nemmeno per Manolo Saiz, che nell’ambiente era considerato un untore, un appestato. «Come potrei parlar male di lui?», dichiarava sincero il corridore. «Non posso dimenticare tutto quello che fatto per me: mi ha seguito fin da giovane, mi ha fatto crescere, mi ha fatto debuttare nel professionismo. Mi ha voluto bene».
Giunto alla sesta stagione con l’Astana e ai trentasei anni, verosimilmente Luis León Sánchez non vestirà una maglia diversa da qui al ritiro. A questa possibilità non c’aveva mai pensato finché non si è ritirato dal Tour de France 2018 per una brutta caduta: tornato a casa, sua figlia Laura gli ha chiesto perché continuasse ancora, perché non lasciasse perdere la bicicletta. Luis León Sánchez, da qualche anno, ha lasciato Murcia per Andorra e ogni volta che deve allontanarsi da casa gli dispiace: per la moglie e per i figli. Tuttavia, ha ancora qualcosa da dare. All’Astana, magari nei grandi giri, e alle giovani leve, che ammira sinceramente. «I ragazzi di oggi sono svegli, curiosi, competenti», ha detto recentemente in un’intervista. «Io, al contrario, i tecnicismi li ho sempre lasciati perdere. In tutta la mia carriera, ad esempio, non ho mai fatto registrare un buon test. Ma non mi sono mai preoccupato: lontano dalle corse non riesco a rendere». Quando vinse per la quarta volta al Tour de France, dichiarò di sentirsi fortunato: gliene bastava vincere una, disse, quindi aveva realizzato uno dei suoi sogni per quattro volte. Tempo fa ha affermato di inseguire una vittoria di tappa anche al Giro d’Italia e alla Vuelta a España. Stando, invece, a quello che dichiarò all’inizio della sua carriera, la prospettiva cambia. «Non voglio vincere nessuna corsa in particolare», diceva. «Mi basterebbe essere ricordato come un corridore solido e costante». Missione compiuta, Luis León Sánchez.
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