La carriera di Kurt Stöpel è contrassegnata dalla brevità e dal nazismo.
Prima che i tentacoli del nazismo avvolgessero la Germania trascinandola in un’epoca oscura, il ciclismo tedesco stava vivendo un’autentica età dell’oro. Sul finire degli anni ’20, il pedale teutonico sfornò una generazione che per profondità non avrà eguali nei decenni a venire. Da Albert Richter a Hermann Buse, da Ludwig Geyer a Herbert Sieronski. Sono circa venti i nomi che fanno grande la nazione mitteleuropea in quel periodo storico.
Un uomo più di tutti gli altri, però, ha lasciato un’impronta indelebile: Kurt Stöpel. Nato a Berlino il 12 marzo del 1908, Kurt da ragazzo lavora come messaggero presso la sede locale della United Press of America. Si muove in bici tra le vie della città e ben presto diventa noto per essere decisamente più rapido dei colleghi. Dopo essersi messo da parte un po’ di soldi, li usa per comprare l’attrezzatura necessaria per poter avviare la sua carriera.
Stöpel impiega poco tempo a rivelarsi corridore di rango. Va forte su tutti i terreni e può vantare doti di resistenza e recupero decisamente fuori dal comune. È tenace, ma allo stesso tempo possiede grande acume tattico. Laddove non arriva col talento, mette una pezza grazie a impegno e dedizione. Il direttore del Tour de France Henri Desgrange lo soprannominerà “le philosophe“, il filosofo, un appellativo che si guadagna poiché straordinariamente brillante.
Si mette in mostra già a diciannove anni. Partecipa al Giro di Germania, all’epoca gara di quindici tappe che si svolge tra aprile e ottobre. Una corsa che presenta un format decisamente originale. Mai nessun’altra manifestazione proverà a riproporre quella struttura. Il Filosofo, ad ogni modo, stupisce tutti imponendosi nella Amburgo–Magdeburgo di 295 chilometri con 20′ di margine sul secondo. La frazione in questione è la tredicesima in programma, nonché la seconda più lunga in assoluto.
Nel 1928, a vent’anni, Kurt decide di dedicarsi anima e corpo al ciclismo. Le vittorie non si fanno attendere. In quella stagione conquista la Berlino-Stettino-Berlino, la Rund um die Hainleite e la Berlino-Cottbus-Berlino. Dopodiché, mette la ciliegina sulla torta tagliando per primo il traguardo nella Colonia-Berlino: la gara che unisce il maggiore centro della Renania Settentrionale-Vestfalia e la capitale teutonica misura ben 600 chilometri, una distanza decisamente proibitiva per un ragazzo poco più che adolescente. Ma Stöpel è molto più che un semplice ciclista.
Ben presto le sue sfavillanti prestazioni gli valgono il nomignolo di “Binda Tedesco”. Nel 1930 torna, dopo due anni di stop, il Giro di Germania. La gara teutonica si compone di dieci tappe e si svolge tra il quattro e il venticinque maggio. La vince Hermann Buse, che oltretutto la sfrutta come trampolino di lancio per andare a prendersi, appena quattro giorni dopo l’ultima frazione, nientemeno che la Liegi-Bastogne-Liegi.
Stöpel è secondo. Si mette dietro grandi corridori come il seigiornista Oskar Tietz, il forte regolarista Oskar Thierbach, più volte tra i primi quindici al Tour de France, e la leggenda austriaca Max Bulla. È una gara, quel Giro di Germania, in cui la nazione mitteleuropea mette in mostra tutti i suoi gioielli. Ottengono successi parziali, infatti, anche Erich Metze, due volte iridato del mezzofondo, Ludwig Geyer, vincitore del Giro di Svizzera 1934, ed Herbert Sieronski, terzo alla Parigi-Roubaix del 1932.
Il 30 agosto 1930 è la data in cui Stöpel diventa famoso anche al di fuori dei confini nazionali. Quel giorno, a Liegi, si svolge la rassegna iridata, la quarta della storia. Il tracciato è veramente aspro e negli ultimi 50 chilometri si affrontano Mont Theux, Embourg e Leforgn. Gli italiani Alfredo Binda, Learco Guerra e Allegro Grandi dominano in lungo e in largo. Gli unici capaci di tenere loro testa sono il campione uscente Georges Ronsse e quel ventiduenne teutonico il cui nome è pressoché sconosciuto a tutti.
Kurt arriva sul Ponte della Mosa nel gruppo di testa. I cinque si giocano la corsa allo sprint. Il giovanissimo Filosofo, però, è decisamente troppo stanco e deve accontentarsi di mettersi dietro il solo Grandi, il quale si sacrifica per i compagni. Gli azzurri fanno doppietta con Binda primo e Guerra secondo; Stöpel è quarto, un risultato alla partenza impensabile che cambia completamente la sua vita.
Il 1931, tuttavia, è per la verità un anno di transizione per Kurt. In questa stagione vince una tappa al Giro di Germania, la Amburgo-Brema di 269 chilometri, e prende parte al suo primo Tour de France. Alla Grande Boucle coglie un buon sedicesimo posto. Risultati, però, nemmeno paragonabili a quelli dell’annata seguente, la migliore della sua carriera.
Nel 1932, infatti, Stöpel si accasa all’Atala e partecipa al Giro d’Italia. Pronti, via ed è quarto nella Milano-Vicenza di 207 chilometri che apre la Corsa Rosa. Il giorno successivo, invece, lascia le luci della ribalta al connazionale Hermann Buse, che stravince la Vicenza-Udine di 183 chilometri. Poi, però, torna nuovamente lui il protagonista teutonico del grande giro che si snoda lungo lo stivale. Coglie altri otto piazzamenti tra i primi dieci nelle undici frazioni rimanenti e conclude la corsa al quinto posto a 17’21” dal vincitore, Antonio Pesenti.
La sua prova è a dir poco impressionante. Basti pensare che parliamo di un ventiquattrenne alla prima esperienza sulle strade italiane che viene battuto solo da quattro atleti del calibro di Pesenti, Jef Demuysere, che vantava già due podi al Tour de France, Remo Bertoni e Learco Guerra. Questo risultato, peraltro, gli vale il ruolo di capitano nella selezione di lingua tedesca (Germania e Austria erano accorpate) che prende parte al Tour de France del 1932.
Alla Grande Boucle è affiancato da Ludwig Geyer, Herbert Sieronski, Oskar Thierbach e Max Bulla: un dream team, insomma. Nel corso della seconda frazione, la Caen-Nantes di 300 chilometri, Kurt si inserisce nella fuga che va al traguardo. Insieme a lui ci sono altri dodici atleti, tra cui anche il transalpino André Leducq, già conquistatore del grande giro francese nel 1930. Con sommo stupore di avversari e spettatori, il Filosofo fulmina tutti nel finale e conquista il suo primo successo parziale tra le strade del Tour. Stöpel, oltretutto, a fine giornata si veste anche di giallo.
Leducq, ad ogni modo, trionfa nella Nantes-Bordeaux di 387 chilometri del giorno seguente e gli sfila il simbolo del primato. Il francese è leggermente superiore a Stöpel in salita e nettamente in volata. In quell’edizione Henri Desgrange aveva deciso di assegnare abbuoni di addirittura quattro minuti a chi vinceva le tappe. Voleva favorire Charles Pélissier. Il fratellino di Henri, tuttavia, non partecipa alla Grande Boucle, e allora ad approfittare di quel bizzarro regolamento è Leducq.
Il transalpino vince sei tappe e guadagna 31′ complessivi grazie agli abbuoni. Stöpel ottiene solo un successo parziale e si ferma a 6′ di bonus. Il francese conquista il Tour con 24’03” di vantaggio sul tedesco, ma il distacco esente abbuoni, tra i due, era di soli 3″. Peraltro, non fosse stato per una serie di forature che gli fanno perdere tempo nella Nantes-Bordeaux, terza frazione della Grande Boucle 1932, Stöpel avrebbe effettivamente concluso la gara in meno tempo rispetto a Dedé. Va detto, però, che il galletto subì una penalizzazione di cinque minuti nella Metz-Charleville, che lo vide inizialmente trionfatore (il primo posto poi passerà a Raffaele di Paco), per aver spinto Albert Barthélémy.
Quel Tour sembra poter essere l’inizio di una grande epopea, ma in realtà si rivelerà essere il punto più alto toccato da Stöpel. Il 1933 è l’anno in cui Adolf Hitler prende il potere in Germania. L’avvento della piovra nazista sembra avere un effetto negativo sulla carriera del Filosofo. Kurt torna a Giro e Tour, ma deve accontentarsi dell’ottavo posto finale nella Corsa Rosa e del decimo nella Grande Boucle.
Il 1934 è la stagione del canto del cigno. Vince la Rund um Köln, la Rund um Berlin e soprattutto il titolo di campione nazionale. Risultati che testimoniano che dietro al prematuro tramonto di Stöpel ci sono stati motivi diversi rispetto a un declino fisico. D’altronde, in quell’annata Kurt ha appena ventisei anni, troppo pochi per pensare che sia già in fase calante.
I corridori tedeschi, per via di quanto accade nella loro nazione, sono sempre più invisi a colleghi e addetti ai lavori stranieri. Le squadre italiane non chiamano più Kurt come fatto nel 1932 e nel 1933. Al Tour de France, invece, la selezione tedesca è spesso lasciata sola al suo destino, non vi è nessuno che fa assistenza ai loro corridori in caso di problemi meccanici. Devono arrangiarsi con l’attrezzatura di scorta che portano con sé a inizio frazione.
In campo internazionale, dal 1934 in poi, i germanici non hanno possibilità di correre alla pari con i loro rivali di altre nazioni. Kurt, che è una persona estremamente intelligente e sensibile, è forse quello che più di tutti soffre questa circostanza. Lui che in gruppo è conosciuto come un grande poliglotta, nonché uomo di cultura che ama la scoperta del diverso, non accetta e mai accetterà la situazione che si è venuta a creare.
Stöpel formalmente si ritira nel 1938, a soli trent’anni, ma la sua carriera finisce già nel 1935. Avrà una vita lunga al di fuori del ciclismo. Lavorerà come tassista e morirà nel 1997, a ottantanove anni, circa un mese e mezzo prima che Jan Ullrich vinca il Tour de France. Kaiser Jan, ad oggi, è l’unico ad essere stato capace di fare meglio di lui alla Grande Boucle.
La sua scomparsa, peraltro, avviene in modo quantomai singolare. Difatti, Kurt non perisce di alcuna malattia, ma formalmente si suicida bevendo del detersivo. Nessuno saprà mai se l’ha fatto di proposito oppure no. La sua vita, proprio come la sua carriera, finisce avvolta da un alone di mistero. Tante domande che riguardano questo filosofo del pedale non avranno mai risposta. Kurt è stato enigmatico fino alla fine.
Foto in evidenza: ©Andreas Schulz, Twitter