Magnus Cort Nielsen: freddo come il marmo, paziente come Giobbe.

 

 

Capelli biondo miele, occhi azzurri ghiaccio e carnagione pallida: le origini di Magnus Cort Nielsen sono facilmente intuibili. Si potrebbe ipotizzare Germania, Svezia oppure Polonia, e non si sbaglierebbe di molto. L’isola di Bornholm è infatti più vicina a queste nazioni rispetto a quella d’appartenenza, la Danimarca. Magnus è nato qui, circondato dal mar Baltico e cullato dal clima mite che permette la coltivazione del Bornholm’s Diamond, un fico autoctono.

Il nome “diamante” pare confezionato apposta per lui, la cui genesi è avvenuta in modo analogo. Rispettando i lunghi tempi di formazione, e senza alcuna fretta di bruciare le tappe, Cort Nielsen è passato tra i professionisti armato di pazienza certosina. Consigliato da chi ha più esperienza, è maturato lentamente come un chicco di riso, lasciando che il tempo facesse il suo corso. Una scelta ardua, certo, ma guardando il suo palmarès diremmo azzeccata.

Cort Nielsen non gioca a basket né tanto meno viene da Harlem, ma è un globetrotter. Quando non pedala in giro per il mondo, se lo gode viaggiando a piedi con lo zaino in spalla e il sorriso sulle labbra. Se monta in sella, però, cambia faccia. Concentrato e attento, difficilmente lo si vede ridere. Ama le corse dure e nel finale riesce a essere freddo, come l’inverno. Non si considera un velocista puro, ma preferisce essere accostato a Peter Sagan, o a qualcosa di simile.  “Sono uno sprinter, ma amo le corse dure. Per me è difficile battere in volata i grandi nomi del World Tour. Quando qualcuno si stacca o ha fatica nelle gambe, ecco che arrivo io: lì ho le migliori chance di vittoria”, così osa autodefinirsi.

Già il suo direttore sportivo alla Orica-Scott, Julian Dean, lo aveva etichettato come “un ciclista eccezionalmente dotato e molto veloce”. Correva l’anno 2016 e la tappa era la numero diciotto della Vuelta a España. Insomma, non una corsa banale. Dopo la splendida vittoria di Magnus, il neozelandese precisava: “Ha vinto qui perché il livello non è molto elevato. Le gare in cui veramente potrà fare bene sono le classiche del Nord”. Passano tre giorni e Magnus, quasi a voler smentire il suo direttore sportivo, si ripete sul traguardo finale di Madrid. Lascia dietro di sé le ruote di Bennati e Meersman, di certo non gli ultimi arrivati.

Per un ragazzo appassionato di scienza e tecnologia, con un passato da runner prima e da mountain biker poi, vincere due tappe in un’edizione della Vuelta è qualcosa di fantascientifico e inaspettato allo stesso tempo. Per i suoi allenatori no. Passato al ciclismo su strada perché “sulla strada c’è tattica, bisogna gestire le proprie energie e attaccare in un preciso istante; in mountain bike devi fare un’ora a tutta, e basta”, il danese si plasma gradualmente. Emigrando dallo sterrato verso l’asfalto, si mette in luce per le sue qualità, collezionando piazzamenti e vittorie nelle più prestigiose gare europee riservate agli Under 23.

I suoi successi attirano l’attenzione di diverse squadre del World Tour, ma lui, consigliato dal proprio allenatore Morten Bennekou, decide di procedere passo dopo passo e di continuare con il team Cult Energy per altri due anni. “Ho preso la strada più sicura e, allo stesso tempo, ho fatto la scelta più difficile”, così Magnus commenta un passato dominato dalla voglia di crescere per gradi. Per nessuno è facile aspettare, soprattutto per un giovane nel fiore degli anni. Magnus attende, concedendosi un bagno di tempra più lungo del previsto. La sua clemenza viene premiata: consegue risultati  che non stupiscono certo chi lo ha visto crescere. “La pazienza è potere” – Confucio sbaglia di rado – e paga meglio di un numero secco alla roulette.

Proveniente da una famiglia di sportivi, Magnus non ha tempo per dedicarsi al gioco, ma sa cosa significa festeggiare per un vittoria. Dopo l’exploit del 2016 chiuso con questo commento: “Nella seconda parte di stagione sono migliorato parecchio e vorrei confermarmi per il prossimo anno non solo negli sprint, ma anche nei finali delle grandi classiche”, il 2017 lo inizia mettendo fieno in cascina. I successi nella terza tappa della Volta a la Comunitat Valenciana e alla Clásica de Almería, l’undicesimo posto alla Milano-Sanremo e i piazzamenti nei primi trenta ad Harelbeke e al Giro delle Fiandre, sono di ottimo auspicio. Complice un infortunio, la sua annata prosegue però in calando: il secondo posto al Prudential Ride London è solo un guizzo di luce flebile in una stagione caliginosa.

Una caduta in allenamento inaugura il suo passaggio all’Astana: si procura una frattura alla clavicola, la stessa rotta durante il Tour de Yorkshire un anno prima. I postumi della botta si riassorbono rapidamente. A febbraio Magnus partecipa al Dubai Tour e poco dopo al Tour of Oman. Sotto il bollente sole che arde sulla penisola araba, Magnus rimane freddo come la brina. Tra una maglia bianca, un successo di tappa e diversi piazzamenti, il deserto del Medio Oriente si rivela terra fertile per il danese.

Torna poi al Nord e il clima cambia. Nelle grandi classiche migliora nettamente i risultati degli anni precedenti e a luglio è protagonista al Tour de France, obiettivo principale della stagione. Sul traguardo di Carcassonne, nelle vene di Cort Nielsen scorre freon e gela i superstiti di una fuga partita da lontano. È la ciliegina sulla torta di un’annata spumeggiante come lo champagne che stappa sul podio in cornice gialla.

L’anno successivo prova a ripetere l’impresa, ma dopo l’abbandono di capitan Fuglsang si trova in balia della Grande Boucle e non brilla. Una tappa in territorio francese la porta comunque a casa: è la quarta frazione della Parigi-Nizza, caratterizzata da un tracciato mosso. La corsa si fa dura e il danese gioca, e gioca alla grande: si toglie di ruota tutti i suoi avversari, uno ad uno, come i sassolini dalle scarpe, per trionfare a braccia alzate. Sarà forse la terra dei galletti a ispirare particolarmente il corridore di Bornholm?

Esiste infatti un legame che si rinforza ogni stagione: da quando è professionista partecipa, senza però eccellere, alla Parigi-Roubaix. “È una corsa brutale, la più grande, la più pazza, la più dura. Non la gara che farei ogni giorno, ma una volta all’anno sì”. Così Magnus definisce con humor la classica delle pietre, divenuta ormai un appuntamento fisso. A volte si ritira e a volte arriva al traguardo coperto di polvere. Affaticato, certo, ma consapevole che quello sforzo, un giorno, potrà essere ripagato. Un po’ come la pazienza avuta in gioventù.

 

 

Foto in evidenza: ©BICITV, Twitter