È più faticoso vivere una vita normale oppure fare il ciclista professionista?

 

Oliver Naesen è tutto fuorché un predestinato. Inizia a pedalare già sedicenne, la scintilla che lo infiamma è il mondiale di Madrid conquistato da Tom Boonen. A prendere la licenza per correre lo convince un amico, e almeno inizialmente l’idea si rivela pessima: cinque corse e cinque ritiri per Naesen, che sfiora soltanto un paio di piazzamenti in competizioni paesane. Il primo successo arriva a ventuno anni, ma la bicicletta non rappresenta ancora la fetta più importante della sua vita.

Il belga, infatti, ha anche un lavoro: si sveglia alle cinque ogni mattina, e dalle sei alle sedici consegna biancheria con un furgone. Quando stacca, inforca la bici e insegue il suo sogno. Questa routine dura due anni, “nei quali non facevo altro che lavorare, dormire e allenarmi”, e lui la ricorda con piacere: “Mi ha forgiato, indubbiamente. Una volta passato professionista non riuscivo ad ascoltare i ragazzi della Topsport Vlaanderen che si lamentavano per qualche ora di allenamento. Allora non sanno cos’è la vita vera”. La svolta arriva all’ultimo anno da dilettante. Vince le ultime tre corse di categoria alle quali partecipa, molla Scienze Motorie (facoltà che aveva scelto dopo aver lasciato il lavoro) e arriva nel professionismo. Ha ventiquattro anni.

Nel giro di poche stagioni la carriera e la vita di Oliver Naesen sono sensibilmente cambiate. Si allena con due guardie del corpo niente male, il fratello Lawrence (più giovane di due anni) e Greg Van Avermaet: il primo è alto due metri, il secondo si arrende soltanto se gli spari. Si divertono a sprintare sul Grammont, roba per pochi, e intanto Oliver prende le misure col mondo dei grandi. “È stato bello rendersi conto che anche Sagan e Greg ansimano, sbuffano e spalancano la bocca in cerca di forza e ossigeno”.

Nell’estate del 2017 Naesen vinse la prova in linea del campionato belga. Andò alla partenza insieme alla fidanzata e l’unico membro dello staff a sua disposizione era il padre, che gli passava le borracce sul percorso. Ruote e bici di scorta ad un’ammiraglia avversaria ma di fiducia: a fine giornata avrebbe indossato una delle maglie più prestigiose del circuito. Va forte sul pavé, il 2017 sembrava l’anno buono ma finì per spalmarsi sulle pietre del Fiandre con Sagan e Van Avermaet. L’ultima primavera l’ha conclusa con un undicesimo posto al Fiandre e un dodicesimo alla Roubaix, “anche se tra le due ancora non so scegliere perché sono entrambe impegnative e spettacolari”. La promessa è semplice: riprovarci. Anche la premessa lo è: attenzione, è caparbio e avvezzo alla fatica come pochi altri. Essendo di Ostenda, città di pescatori, chissà che primo o poi non abbocchi qualcosa di buono al suo amo.

 

Foto in evidenza: ©Caffè&Biciclette

Davide Bernardini

Davide Bernardini

Fondatore e direttore editoriale di Suiveur. È nato nel 1994 e momentaneamente tenta di far andare d'accordo studi universitari e giornalismo. Collabora con la Compagnia Editoriale di Sergio Neri e reputa "Dal pavé allo Stelvio", sua creatura, una realtà interessante ma incompleta.