Amante dell’arte e delle salite, Elissonde spera di debuttare alla Grande Boucle.
È preoccupato, Kenny Elissonde. Le pendenze più perfide dell’Angliru sono terminate, all’arrivo mancano poche centinaia di metri, ma la situazione non gli è chiara: la nebbia lo disorienta, le pochissime energie rimaste gli suggeriscono che forse, da dietro, potrebbe sopraggiungere qualcuno più fresco di lui. Tiralongo no di certo: Elissonde ne ha spezzato le resistenze quando all’arrivo mancavano più di sei chilometri. Horner e Nibali, sì, invece: si stanno giocando la classifica generale della Vuelta a España 2013 e sono di gran lunga i due scalatori più forti della corsa. Sei giorni prima, mentre Daniele Ratto esultava in cima al Coll de la Gallina, Elissonde era ancora lontano dall’arrivo: avrebbe concluso ultimo trentasei minuti dopo, dentro il tempo massimo per un’inezia, stremato dal maltempo e da uno sforzo solitario durato una settantina di chilometri. E ora, nella ventesima tappa, l’ultima adatta a uno scalatore come lui, Elissonde arrivava primo; Horner, che intanto aveva vinto Nibali e la Vuelta, lo seguiva a una trentina di secondi. Le fotografie dell’arrivo lo immortalarono in una posa iconica, la crocifissione: braccia larghe, corpo abbandonato alla forza di gravità, le ginocchia che quasi si sfiorano.
Se un pittore ne avesse fatto un quadro, Kenny Elissonde ne sarebbe stato felice. Appassionato di storia e di arte, infatti, Elissonde ama visitare musei e mostre non appena l’attività sportiva glielo permette. Segue la moda, anche, e gli piace vestirsi bene, tuttavia il cubismo e il surrealismo lo affascinano di più. E in un certo senso, a voler fantasticare, la sua vittoria sull’Angliru ha riportato vagamente alla memoria qualche tratto surrealista: il corpicino di Elissonde, su quella bicicletta gigantesca e inamovibile, pesava greve come gli orologi molli di Dalì; e la sua pedalata era incerta come l’identità dei volti di Magritte. La presenza di Elissonde, tra l’altro, è talmente raccolta da sembrare astratta: un metro e sessantanove per cinquantadue chili, tant’è che al Tour of Oman 2013, quando vinse la maglia bianca di miglior giovane, gli organizzatori non ne avevano una della giusta misura; gli dettero la più piccola che avevano, anche se questa era più grande del dovuto di almeno due taglie. Avrebbe voluto studiare l’arte e lavorarvi, Elissonde, se non fosse diventato un ciclista professionista: iniziò a pedalare a sette anni e, salvo uno dedicato alla mountain bike – una tela sbagliata, insomma -, ha sempre pedalato su strada.

La carriera di Kenny Elissonde è un’opera semplice e netta con qualche notevole ricamo soltanto in secondo piano, laddove si posa l’occhio dell’osservatore più scrupoloso e curioso: campione francese tra gli juniores, vincitore della Ronde de l’Isard tra i dilettanti, trionfatore in cima all’Angliru a ventidue anni, alla terza stagione da professionista. Tuttavia, da allora, Elissonde non ha saputo ripetersi: tra il saggio e lo sfortunato, ha anteposto la coerenza dell’opera all’intensità dei tratti e dei colori. Così facendo, riuscì a guadagnarsi la fiducia della FDJ per altre tre stagioni, fino al 2016, per poi passare al Team Sky a partire dal 2017. Quest’anno, Kenny Elissonde ha cambiato nuovamente squadra, approdando alla Trek-Segafredo. Dell’esperienza al Team Sky non rimpiange nulla: diventare uno dei pittori di corte sarebbe stato impossibile, già lo sapeva, e infatti la sua ambizione era quella di crescere ancora come artista, di recitare da aiutante dei migliori e nel frattempo carpirne i segreti del mestiere, consapevole che nella storia dell’arte c’è spazio anche per gli autori minori. Perché questo è uno scalatore puro secondo Kenny Elissonde: un artista, né più né meno.
Lo ha spiegato recentemente in un’intervista, elevando a doti artistiche il gusto dell’attesa e il fascino della stoccata. Assistere ai capolavori dei più grandi è stato magnifico, ha fatto capire Elissonde, ma l’attesa eccessiva talvolta finisce per anestetizzare il talento e i bollenti spiriti. «Voglio essere più libero d’attaccare in salita», ha detto. «Io vivo per attaccare in salita». Se Kenny Elissonde fosse un pittore, sarebbe il precursore di una nuova corrente artistica: la sua. Così come Landa, artista particolarmente stimato da Elissonde, ha generato il Landismo, Elissonde ha dato vita all’Elissondeismo: colori vivi e accesi, nessun disegno preparatorio, una tela che deve prestarsi persino ad essere lacerata in un accesso d’ira, se necessario. Nonostante sia francese, Elissonde non ha mai potuto prestare i suoi servigi nella corte più scintillante: quella di casa sua, il Tour de France. Spera di farlo quest’anno, a maggior ragione visto che la corsa dovrebbe partire da Nizza, dove Elissonde vive. «Vincere una tappa d’alta montagna al termine di una lunga fuga sarebbe un sogno», ha dichiarato. Il capolavoro d’una vita. Intanto, Elissonde si consola con la predestinazione. A casa dei suoi genitori ha ritrovato alcuni nastri e alcuni riprese amatoriali risalenti ai suoi primi giorni di vita: luglio del 1991, se è vero che è nato il 22 luglio. In sottofondo, un rumore inconfondibile: la televisione era accesa sul Tour de France.
Foto in evidenza: ©Bicifanaticos, Twitter