Non saranno i successi a rendere memorabile la carriera di Tim Wellens.
Una fuga d’animale nel bosco, il tuono di mezz’estate, l’assalto all’arma bianca. Lo si vede sbucare all’improvviso da una curva. “Poteva aspettare qualche chilometro”: lo pensi quasi sempre quando lo vedi partire. Ed è inconfondibile il suo attacco, un da da da dan della Quinta del grande Ludwig. Capo avanti, occhi semichiusi nella pioggia, braccia da cronoman sul manubrio da corsa e gamba piena, sempre avanti. Emblematico il Giro di Polonia 2016 vinto grazie ad un’azione partita a settanta chilometri dal traguardo, oltre tre minuti agli altri, ovviamente in mezzo alla tregenda.
“Nel gruppo la maggior parte preferisce attendere. Lui invece vuole andare, vuole scappare“. Herman Frison, direttore della Lotto. Il nostro uomo è Tim Wellens, classe ’91, viso rotondo di bimbo, taciturno, quasi assente sui social. I compagni della formazione belga lo definiscono speciale, schivo in un primo momento ma capace di aprirsi quando serve. Carattere a parte, a noi interessa il Tim sui pedali, il ragazzo del Limburgo belga che da anni, nonostante le non troppo blasonate vittorie, appare come una stella di diamante in mezzo al gruppo. Mi fermo subito se sono stato irrispettoso: tappe al Giro, alla Vuelta, due edizioni del Binck Bank Tour, una Freccia del Brabante, un Polonia, il Gran Premio di Montréal davanti a Rui Costa e Adam Yates (non proprio i primi che passano). È palese che il palmarès ci sia già, per un ventottenne. Eppure il ciclismo può chiedere molto di più a Wellens, ne siamo certi.
Classe cristallina, ardennista più che ciottolaro, figlio d’arte (curioso aneddoto del padre Léon e dei suoi due fratelli Johan e Paul, i quali nel 1981 conclusero tutti e tre il Tour de France, un unicum nella storia della Grande Boucle). Dicevamo però che Tim può ambire ad altro e se le caratteristiche lo vedono a suo agio più sulle côte che sui muri fiamminghi, ecco che la mente corre alle casine bianche della Vallonia e tracciano una strada immaginaria che si spinge fino agli autunni rossi del comasco, a quel Lombardia che già lo ha visto per due volte nei primi cinque. Tim in aria di monumento? Forse. Di certo al mite Wellens non mancano i sogni nel cassetto: Liegi-Bastogne-Liegi e Freccia Vallone su tutte, ma non dimentichiamo i notevoli piazzamenti all’Amstel Gold Race.
La stampa – più in generale il Belgio intero – cerca da anni un uomo da grandi giri, considerando che da Merckx in poi ne hanno avuti ben pochi. Anche per questo avevano intravisto nel diamante ancora grezzo di Wellens un nome spendibile. Ma è stato lo stesso campione di Sint-Truiden, ormai adulto, ad aver scartato l’ipotesi: “Quando sono diventato professionista, dicevano che avrei potuto vincere un grande giro in futuro. Ma, francamente, non voglio farlo. Il mio fondo in salita non è abbastanza buono da competere coi migliori corridori da grandi giri. Forse potrei puntare ai primi dieci. Ma sai, corro per vincere. Non mi piace correre e dare tutto per tre settimane per il gusto di essere il settimo o l’ottavo. Preferisco puntare alla vittoria in una gara secca.” D’altronde Tim è questo e così lo vogliamo: determinato e conscio dei propri mezzi, scriteriato a volte nei suoi lunghi attacchi fra vento e intemperie. Con grandi obbiettivi da realizzare e un amore smisurato per la bicicletta. Perché è forse questo l’aneddoto più bello che lo riguarda, episodio che non può prescindere dal rivelarci un’immensa passione al di fuori di contratti e competizioni.
L’idea fu di quell’altro splendido e folle corridore che risponde al nome di Thomas De Gendt, un signore che di lunghe cavalcate ne sa qualcosa. La stagione 2018 può dichiararsi terminata dopo aver chiuso il Giro di Lombardia? Manco per idea. Il vecchio Thomas da tempo aveva informato la Lotto di voler aggiungere un po’ di chilometraggio alla stagione. Non si parla di gare, semplicemente del gusto dell’andare in bici fine a se stesso, la voglia di inspirare quella passione sana che anima ogni ragazzino del mondo quando decide di inforcare i pedali. Wellens, ovviamente, da buon compagno di squadra – e spesso di camera – non si è fatto sfuggire thefinalbreakway, la fuga finale, com’è stata ribattezzata dai due. Sei “tappe” per tornare a casa insieme, mille chilometri da Como a Semmarzake, un cicloturismo a oltre trenta all’ora: dal Gottardo a Basilea, scalando i Vosgi fino al Lussemburgo e ai muri belgi. Una dichiarazione d’amore alla bici e a ciò che rappresenta fuori e dentro la corsa, fuori e dentro due campioni dediti all’attacco e della cui esistenza il ciclismo può andare fiero.
Epica pura, e siccome il ciclismo non può vivere senza “roba mitica”, siamo certi che non possa vivere senza un corridore come Tim Wellens, sempre in grado di regalarci emozioni. E lo rivedremo, lo rivedremo uscire dal plotone nelle giornate di nebbia e pioggia pesante, credendo ancora sia troppo presto, incitandolo nella sua imperfetta ma efficace posizione da cronoman. Tim Wellens davanti a tutti come uno sparo, col gruppo a inseguirlo che si fa stormo in volo.
Foto in evidenza: ©Lotto Soudal, Twitter