Cassani sbugiarda involontariamente Rasmussen in diretta televisiva: la verità viene a galla.

 

Smilzo e nervoso, Michael Rasmussen è stato campione del mondo di cross country nel 1999 e, nel 2007, è lo scalatore più forte al mondo. La scarsa attitudine alle cronometro e un rendimento lunatico hanno appiattito una carriera che, limitandosi a quanto visto in salita, avrebbe promesso ben altro. Settimo alla Vuelta a España 2003 con un successo di tappa, quattordicesimo al Tour de France 2004 dopo aver fatto sua una frazione al Delfinato poche settimane prima.

Un anno più tardi, nel 2005, Rasmussen spaventa persino Lance Armstrong. Fino alla tredicesima tappa segue il texano con soli trentotto secondi di ritardo. Sulle Alpi, i due sono stati i migliori. In più, il danese ha già trionfato a Mulhouse: degli oltre centosessanta chilometri di fuga, gli ultimi settantasei li ha percorsi in solitaria. Terzo al traguardo sarà Voigt, nuova maglia gialla: Rasmussen è già arrivato da tre minuti. I Pirenei e un’ultima cronometro disastrosa lo rimettono al suo posto: settimo, poco distante dal quinto di Vinokurov e con la maglia a pois sulle spalle.

Nel 2006, nonostante un parterre meno ricco tra ritiri (Armstrong) e sospensioni varie (Basso, Ullrich, Beloki, Mancebo, Sevilla, Vinokurov), il danese fa peggio. Chiude diciottesimo ma indossa ancora una volta la maglia di miglior scalatore grazie anche all’ennesima impresa portata a termine nella sedicesima tappa: altri centosettantatré chilometri di fuga, una settantina trascorsi da solo come un povero diavolo, cotto dal sole e prosciugato da una fatica immane.

Tour de France 2006. ©colinedwards99, Wikipedia

Alla partenza del Tour de France 2007, Rasmussen viene squadrato con riverenza: pesa cinquantotto chili, mai così poco, e nelle ultime due edizioni ha dimostrato di cos’è capace quando convinzione, forma fisica e follia trovano un punto d’incontro.

Lo chiamano “il Pollo”, un soprannome di cui non andar fieri ma che fotografa perfettamente il personaggio. Gambe che assomigliano a grissini, pelle talmente chiara da riflettere, rachitico: anticipa Chris Froome, la sua versione più aggiornata e vincente. Dato che in salita i pensieri si fanno più pesanti, conviene limare sul resto: e allora lo si vede pedalare con una sola borraccia, ricercare l’accessorio più leggero a parità di prestazioni, pesare ogni piatto che gli passa per le mani. È il ciclismo che si snatura, la resistenza cede il passo alla velocità, il Tour de France diventa l’unica corsa da preparare.

Piaccia o meno, Rasmussen non perde mai il controllo della corsa durante l’edizione 2007. Indossa la sua prima maglia gialla al termine dell’ottava tappa, quella che arriva a Tignes e che il danese riduce a kermesse: attacca a novanta chilometri dal traguardo, rientra sulla fuga di giornata e sale verso Tignes da solo, dopo aver seminato per strada tutti gli altri, Arroyo e Colom gli ultimi a perdere contatto. Alla partenza occupava la trentanovesima posizione della classifica generale a quattro minuti e quarantadue secondi da Linus Gerdemann. Una volta concluso il gioco di prestigio, il tedesco si ritrova dietro di quarantatré secondi, l’unico corridore ad accusare un ritardo inferiore ai due minuti e mezzo.

Evans erode il distacco nelle prove contro il tempo ma in salita deve fare i conti con la realtà: Rasmussen non perde nemmeno un giro di pedali, nemmeno dalla coppia della Discovery Channel formata da Contador e Leipheimer. Anzi, l’Aubisque ribadisce le differenze e sottolinea le gerarchie: il danese vince in solitaria, facendo brillare la maglia gialla in cima ad una delle vette più importanti della Grande Boucle.

A Parigi mancano quattro tappe: tre volate e una cronometro di cinquantacinque chilometri. Scendendo dall’Aubisque per andare all’hotel, Michael Rasmussen si gode la tranquillità del vincitore. Quello appena terminato è il suo ultimo giorno in maglia gialla, quella conclusa in cima all’Aubisque la sua ultima tappa affrontata sulle strade del Tour de France.

Michael Rasmussen trionfa sull’Aubisque in maglia gialla. @Mihai Cazacu, Twitter

Il 13 giugno, un mese prima, Rasmussen ha da poco affrontato la Marmolada quando si sente chiamare. Nonostante la pioggia battente e l’abbigliamento che rende irriconoscibili, Davide Cassani non ha avuto dubbi: quello è il danese della Rabobank. Cassani, su iniziativa della De Agostini e de La Gazzetta dello Sport, sta scalando alcune delle più importanti salite italiane: ha appena terminato il Giau, quando decide di salire in macchina e puntare verso Trento. A due chilometri da Predazzo, l’incontro. Rasmussen gli spiega che sulle Dolomiti sta preparando il Tour de France: quel giorno pedalerà per un totale di otto ore. Cassani si congratula, i due si salutano e fine della storia.

Mentre Rasmussen, indemoniato e inconsapevole, sta inseguendo la vittoria di tappa verso Tignes, Cassani rende omaggio al danese e all’impresa che sta portando a termine raccontando, in diretta televisiva, quel loro fugace incontro avvenuto da una trentina di giorni. Il vaso di Pandora è stato scoperchiato: dentro, ci sono tutte le bugie di Michael Rasmussen.

La ricostruzione degli eventi che fa il “The Guardian” è esemplare. Tre giorni dopo Tignes, un giornalista della televisione danese, Nils-Christian Jung, chiede a Rasmussen la verità riguardo ad un controllo antidoping fuori dalle competizioni che il danese avrebbe saltato. Lui risponde secco: . La Federciclo danese si mostra imbarazzata soprattutto quando la stampa chiede se, in virtù di questa ammissione, Rasmussen non verrà preso in considerazione per i campionati del mondo di fine anno.

L’escalation è fulminea. Viene fuori che il danese e altri colleghi fanno parte di un gruppo considerato “sospetto” dall’UCI. Nei diciotto mesi precedenti al Tour de France 2007, sono quattro le infrazioni segnalate a Rasmussen. Queste possono essere di due tipi: il corridore in questione non informa, in tempo utile, dei suoi spostamenti gli organi preposti; oppure, salta un controllo. Il 19 luglio, tra Tignes e l’Aubisque, la Federciclo danese fa sapere che non crede più nella trasparenza e nell’integrità di Michael Rasmussen.

Le tappe successive non fanno che alimentare dubbi. Nella cronometro di Albi perde molto meno del previsto. Il giorno dopo duella con Contador sul Plateau de Beille. Lo spagnolo vince allo sprint ma a stupire è il tempo impiegato dai due per completare la scalata: un minuto e venti in meno rispetto a quanto aveva fatto Lance Armstrong nel 2004.

Michael Rasmussen, in quel pomeriggio di giugno, ebbe la sfortuna di incontrare un amatore d’eccezione. @Davide Cassani, Twitter

Il 24 luglio, il giorno prima dell’Aubisque, il Tour de France riposa. È martedì: Parigi è dietro l’angolo. Rasmussen è atteso da un confronto di quaranta minuti con la stampa: al suo fianco ci sono Harro Kniffe, l’avvocato della Rabobank, e Theo de Rooij, direttore sportivo. La struttura che ospita l’evento rievoca un avvenimento grottesco: nel 2001, sempre al Palais Beaumont Congress Centre, fu Lance Armstrong a difendersi davanti ai media che gli domandavano chi fosse Michele Ferrari e che rapporti avesse con lui.

Rasmussen viene bersagliato senza pietà. Alcune scelte fatte in passato non lo aiutano di certo. Tra i giornalisti c’è chi gli fa notare che, da ben tre anni, la sua licenza è registrata in località quantomeno bizzarre: nel 2005 e nel 2006 in Messico, il paese della moglie, e nel 2007 a Monaco. Soprattutto, appare confuso. Conferma che sì, nell’aprile del 2006 ricevette un avvertimento da parte dell’UCI per la condotta mantenuta, ma chiarì alla svelta la questione parlando direttamente con chi di dovere. Uno dei giornalisti in sala, convinto che la sua domanda sarebbe morta sul nascere, chiede con chi parlò. “Anne Gripper”, risponde Rasmussen: peccato che la Gripper iniziò a lavorare nell’antidoping soltanto nell’autunno, almeno cinque o sei mesi dopo.

Infine, sconveniente ma inevitabile, la questione sollevata involontariamente da Cassani. Il danese è stato pizzicato sulle Dolomiti a metà giugno, proprio quando, secondo le indicazioni fornite da lui stesso agli organi incaricati dei controlli, avrebbe dovuto trovarsi in Messico. Una difesa che fa acqua da tutte le parti: comunicazioni tardive e spesso bugiarde, tira in ballo perfino la sua residenza di Lazise, sul Lago di Garda. Poi c’è l’Aubisque, un’ascensione divina e una gita agli inferi.

Michael Rasmussen torna sull’Aubisque. @Michael Rasmussen, Twitter

Giusto il tempo di coprire la distanza che separa la celebre vetta pirenaica dall’hotel Mercure di Pau, e de Rooij chiama Cassani. “Voglio soltanto sapere se sei sicuro di quello che hai detto in televisione: lo hai visto o pensi di averlo visto?”. “Vuoi la verità? L’ho visto”. Queste parole sono più che sufficienti per la Rabobank. Michael Rasmussen viene estromesso dalla propria squadra dal Tour de France che stava comandando. Intorno alle undici di sera, il danese si muove verso l’Italia.

Emerge un altro fatto di cronaca che riguarda tutte le parti chiamate in causa: il 29 giugno è l’ultima data in cui Rasmussen avrebbe saltato un controllo. Come ricorda Gianni Mura nel suo pezzo da Castelsarrasin, “nel quadro di un avviso scritto o di un controllo saltato nei 45 giorni prima delle grandi corse a tappe, il corridore non può prendere parte a quella corsa”: capitolo VIII, sezione 220 del regolamento antidoping dell’UCI. Michael Rasmussen non avrebbe nemmeno dovuto presentarsi alla grand départ di Londra. Lo sapevano tutti: la Federciclo danese, la Rabobank, l’UCI, de Rooij: tutti, tranne il Tour de France, che negli stessi, torridi, giorni ha dovuto prendere atto delle positività di Vinokurov e Cristian Moreni.

L’aria è irrespirabile, c’è un clima da psicosi, lo sforzo fisico e le menzogne hanno scoperto nervi e debolezze fino a renderli visibile persino al pubblico. Il giorno dopo l’allontanamento di Rasmussen, alla partenza della diciassettesima tappa di Pau, Mura racconta di Boogerd che viene alle mani con un tifoso piuttosto anziano che gridava “banda di drogati”.

Alberto Contador è la nuova maglia gialla. Resiste al prepotente ritorno di Evans e Leipheimer nella cronometro di Angoulême e conquista il suo primo Tour de France. L’australiano chiude secondo, l’americano è terzo. C’è un’estate che muore e una storia che, invece, non è ancora finita.

Alberto Contador conquista il suo primo Tour de France. ©Andrew Sides, Flickr

Allontanato dal Tour de France e licenziato dalla sua squadra, Rasmussen si ritrova spodestato e frastornato. Pensa al suicidio. Il finale di stagione è pieno di sorprese. Vengono rese note delle positività riscontrate durante la Grande Boucle. La sostanza è quasi sconosciuta: viene ribattezzata Dynepo. Rasmussen è uno dei corridori coinvolti. In quel momento, la Dynepo non è ancora vietata dalla WADA.

I capi d’accusa sono comunque troppi: nel 2008, Michael Rasmussen viene squalificato per due anni, dal giorno dell’allontanamento dal Tour de France 2007 fino al luglio del 2009. Tornerà a correre senza raccogliere risultati degni di menzione. Nel gennaio del 2013 annuncia il definitivo ritiro dalle corse e vuota il sacco: dal 1998 al 2010 ha preso di tutto. Epo, ormone della crescita, testosterone, trasfusioni, insulina, cortisone, anabolizzanti, emoglobina sintetica di uso veterinario. Parla di sé come un uomo finalmente sereno: dispiaciuto, certo, ma senza più dover mentire per tutelare una carriera e una vita malate.

Lo strascico di polemiche non si è mai arrestato. Rasmussen ha sempre sostenuto che chi doveva sapere, sapeva. La Rabobank, dice lui, era a conoscenza del periodo di preparazione del danese sulle Dolomiti prima del Tour de France 2007. Incalzato sui motivi della bugia, il danese non si è sbottonato: problemi familiari che lo tormentavano, ecco perché disse all’UCI di trovarsi in Messico mentre invece pedalava in Trentino-Alto Adige.

In prima fila, Boogerd e Dekker. ©Andrew Sides, Flickr

Tornando a quegli anni, Rasmussen tira in ballo diversi ex compagni di squadra: Niermann, Thomas Dekker, Boogerd, Flecha, Freire. I primi tre, seppur in momenti diversi, hanno confessato. Gli altri due, invece, dichiarano di non aver avuto nulla a che fare con quel sistema. Freire minaccia addirittura di adire le vie legali. Rasmussen ritratta: “Non ho mai visto Flecha e Freire doparsi”.

Il danese, prima di abbandonare il suo Tour de France, ebbe l’opportunità di parlare telefonicamente con Cassani. Voce flebile e, per una volta, tanta sincerità. Nel suo libro “Yellow Fever”, Rasmussen parla di Cassani senza risentimento: “Se non ci fossimo incrociati, avrei vinto quel Tour. Non ce l’ho con lui, ha detto quel che ha detto perché è il suo mestiere, non per rovinarmi. La cosa che più mi fa arrabbiare è proprio questa: se gli avessi chiesto di non dire nulla riguardo a quello scambio di parole in Trentino, lui l’avrebbe fatto. Mi avrebbe coperto: è stato in gruppo per quindici anni, sa come funzionano queste cose. Me l’ha anche detto”.

Davide Cassani, invece, si è limitato a descrivere gli attimi che seguirono quella telefonata. “Mi ha detto delle cose che voglio tenere per me. Alla fine, ho pianto a lungo, come un bambino”.

Davide Bernardini

Davide Bernardini

Fondatore e direttore editoriale di Suiveur. È nato nel 1994 e momentaneamente tenta di far andare d'accordo studi universitari e giornalismo. Collabora con la Compagnia Editoriale di Sergio Neri e reputa "Dal pavé allo Stelvio", sua creatura, una realtà interessante ma incompleta.