Nys guida la protesta contro la riforma che potrebbe stravolgere il ciclocross.

 

 

Il talento, in alcuni casi, non bacia solo i corridori in quanto tali, ma ne esalta anche la personalità. Sven Nys in Belgio è un’autentica divinità, per molti il più grande ciclocrossista di tutti i tempi. Per la verità, però, questa è un’etichetta veramente difficile da assegnare, poiché nel cross fare confronti tra epoche diverse è davvero complicato.

Questo perché l’ecosistema fangoso degli ultimi tre decenni poggia su tre competizioni principali che sono Superprestige – la manifestazione più antica, la prima edizione risale alla stagione 1982/83 -, DVV Verzekeringen Trofee – ex Gazet van Antwerpen Trofee prima e Bpost Bank Trofee poi, fino al 2016 – e Coppa del Mondo, la più giovane tra le tre competizioni, infatti la prima edizione risale al 1993/94.

E allora diventa difficile stabilire se Sven Nys – tredici successi nel Superprestige, nove edizioni del DVV e sette Coppe del Mondo, ma “soltanto” due Mondiali – possa essere considerato più grande di un Eric De Vlaeminck, ad esempio, che di maglie iridate ne ha vinte sette, o di quel Renato Longo che per quasi dieci anni ha dominato in lungo e in largo annichilendo chiunque sui percorsi più duri: De Vlaeminck ma anche Rolf Wolfshohl e André Dufraisse, che insieme vantano otto ori nella competizione più importante della stagione, e anche un certo Charly Gaul, che si cimentò in questa disciplina nel corso dei Mondiali lussemburghesi del 1962.

Dal canto suo Nys può vantare una longevità quasi unica nella storia di questo sport: ha iniziato a vincere sul finire degli anni ’90 contro Pontoni, Adrie van der Poel e Radomir Simunek Sr. e ha smesso a metà anni ’10 quando, di tanto in tanto, riusciva a mettersi dietro i poco più che adolescenti Mathieu van der Poel e Wout Van Aert.

Sven Nys qui sul podio davanti a un giovanissimo Mathieu van der Poel a Ronse nel Gp Mario De Clercq, prima prova del BPost Bank Trophy 2014–2015. ©cyclingnews

Quel che è certo, però, è che la grandezza di Nys giù dalla bicicletta non è inferiore a quella dello Sven crossista. L’intelligenza e la cultura non hanno mai fatto difetto a De Kannibaal van Baal e oggi, da manager della Telenet Fidea di Toon Aerts – campione del Belgio in carica e vincitore uscente della Coppa del Mondo – è in prima fila a battersi per tutelare quell’ecosistema fangoso di cui sopra da una rivoluzione che l’UCI ha deciso oggi per domani e che rischia di compromettere l’esistenza stessa di questo sport.

All’improvviso, in un giorno come un altro della scorsa settimana, è uscita una bozza del calendario della stagione ciclocrossistica 2020/2021 in cui sono presenti ben diciassette prove di Coppa del Mondo; otto in più rispetto a quelle attuali, le quali occuperebbero praticamente quasi ogni domenica da metà ottobre a fine gennaio. In sostanza, la Challenge targata UCI sta lanciando una vera e propria OPA sulle altre due. Un’operazione che fortunatamente ha trovato subito l’opposizione dell’intero plotone crossistico, capeggiato proprio da Nys. La Coppa del Mondo, negli anni, non è mai realmente riuscita a imporsi come la manifestazione di spicco; lo stesso Nys, e poi Mathieu van der Poel, le hanno sempre preferito Superprestige e DVV.

Questo perché le due Challenge più antiche sono la culla di gran parte dei tracciati più prestigiosi, quelli in cui vincere ha un sapore speciale. Sì, perché oltre alla Challenge in sé conta anche dove si ottiene un successo. In fondo, ciò che resta di quell’era antica in cui non esistevano le tre grandi competizioni, sono proprio i percorsi su cui i miti di questo sport gareggiano da decenni e decenni. Conquistare Gieten, circuito con oltre quaranta anni di storia che rischia la chiusura in caso passi questa riforma, ha ben altro valore che trionfare nelle comunque non banali tappe statunitensi di Coppa del Mondo, per intenderci.

Uno dei più forti interpreti del ciclocross italiano e internazionale: Daniele Pontoni. ©http://www.sportquick.com/

L’UCI, per la verità, non è nuova a stuprare gli oltre cent’anni di storia delle varie discipline su due ruote in nome di una mondializzazione a dir poco perversa. Mondializzazione di cui non dovrebbero nemmeno parlare ad Aigle, se conoscessero un po’ di più la storia del ciclismo. Non conoscono le attraversate dell’Atlantico fatte da Gaetano Belloni (poi mentore di Renato Longo, peraltro), Franco Giorgetti e Pietro Linari negli anni ’20, per andare a correre le Sei Giorni negli States. Non conoscono quella FIAC che gestiva oltre cento paesi ai tempi in cui vi era il blocco sovietico e il dilettantismo aveva davvero poco da invidiare al professionismo: basti pensare che al Giro delle Regioni piuttosto che alla Corsa della Pace gareggiavano atleti del calibro di Sergueï Soukhoroutchenkov e Olaf Ludwig. E non sanno, ovviamente, che il ciclocross era molto più globale decenni fa, prima che le varie federazioni nazionali finissero per infischiarsene. Noi abbiamo l’esempio eclatante del ciclocross nostrano. Negli anni ’90 avevamo prove italiane di Superprestige e Coppa del Mondo e a rappresentare i colori azzurri c’erano campioni del calibro di Daniele Pontoni e Luca Bramati. Oggi nulla di tutto questo.

Difatti Sven Nys, da sempre sostenitore delle prove statunitensi di Coppa del Mondo, non è certo contrario a una maggior esportazione del cross fuori dal Benelux. Tuttavia, vuole che questa venga fatta con un certo raziocinio; non com’è successo su strada, dove della Wincanton Classic e del Giro di Pechino non resta nulla. Tuttavia, è sotto gli occhi di tutti la svalutazione subita da gare quali la Freccia Vallone e la Parigi-Tours, che un tempo non avevano nulla da invidiare a gran parte di quelle che oggi, in maniera molto rozza, vengono definite “classiche monumento”.

La scorsa settimana, De Kannibaal van Baal ha affrontato in un dibattito televisivo Thomas Van den Spiegel, CEO di Flanders Classics, l’organizzatore della Coppa del Mondo di ciclocross. Nys, rispondendo al suo interlocutore, il quale ha spiegato che è l’UCI che spinge per questa riforma e non la società che rappresenta, ha fatto notare come l’ipotetica sparizione di Superprestige e DVV darebbe una mazzata prima di tutto al movimento crossistico giovanile. Già, perché mentre la Coppa del Mondo a livello juniores e Under 23 si corre per nazionali, alle altre due partecipano le squadre di club.

Toon Aerts è uno degli uomini di punta della squadra di Sven Nys. ©Sven Nys, Twitter

Insomma, quella che vorrebbe essere una riforma pensata per far crescere il ciclocross, finirebbe per affossarne le fondamenta, portando questa disciplina verso un inesorabile declino. E non sarebbero solo i giovani belgi o neerlandesi a rimetterci, ma anche ragazzi britannici, cechi, francesi, svizzeri e financo italiani che durante la stagione prendono parte alle due Challenge, avendo così modo di misurarsi con i migliori coetanei al mondo (nella prova juniores di Gavere di settimana scorsa, l’azzurro classe 2003 Lorenzo Masciarelli è arrivato quattordicesimo, ad esempio).

Fare terra bruciata attorno alla Coppa del Mondo non serve a nulla, i movimenti crescono lavorando dal basso, iniziando dalle fondamenta. Prendere e catapultarli nella stratosfera non porta alcun risultato. Basti guardare l’esempio del ciclismo statunitense, che in questi giorni assiste impotente alla scomparsa della sua corsa più rappresentativa. Là il ciclismo su strada, dopo il boom degli anni ’80 con Lemond, la Coors Classic, la nazionale di Eddy B. e della 7-Eleven di Ochowicz e Andy Hampsten, non è più cresciuto.

Qualcuno si è inventato Armstrong, pensando che con esso il ciclismo su strada potesse diventare un fenomeno in una nazione, peraltro gigante e suddivisa in tantissime aree culturalmente molto diversa tra loro, dove in verità hanno sempre apprezzato di più altre discipline legate alle due ruote. E oggi, quindici anni dopo Armstrong, guardiamo agli USA e vediamo una situazione che è la stessa del 1998, se non addirittura peggiore.

Sacrificare cross storici per inventarsi prove di Coppa del Mondo in paesi in cui il ciclocross non sanno nemmeno cosa sia, non porterà nulla di buono. Nys, che è una persona di straordinaria lungimiranza, lo sa e per fortuna di tutti noi appassionati ha deciso di assumersi il ruolo di condottiero di quella che è una lotta, prima di tutto, di buon senso. Sven merita non solo i nostri elogi, ma anche il nostro supporto. Poiché questa è una battaglia che, se vinta, potrebbe cambiare il corso del ciclismo e mettere fine a trent’ anni di patetici e ridicoli tentativi di espansione del mondo delle due ruote. Portare il ciclismo e il ciclocross fuori da suoi confini tradizionali sì, ma con criterio; valorizzando culture e tradizioni e non sacrificando quanto di buono si è costruito in oltre un secolo.

 

 

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