Fabio Jakobsen vince a Madrid, Primož Roglič conquista la sua prima Vuelta.

 

  • L’ultima tappa della Vuelta è la “solita” passerella: si va da Fuenlabrada a Madrid per poco più di cento chilometri. Qualcuno riuscirà a evitare la volata a ranghi compatti? Se giudichiamo dalle facce e dalle gambe, o dalla battaglia che c’è stata fino a ieri, ci sentiamo di dire di no; se pensiamo alla tradizione, poi, non ci sogneremmo nemmeno di pensare a un colpo di mano o a qualcuno che anticipa il gruppo. Vi assicuriamo che queste due righe le abbiamo scritte quando all’arrivo mancavano ancora diversi chilometri. Visionari, vero?
  • È una passerella per Primož Roglič: è il primo corridore sloveno a vincere un Grande Giro, dopo che Carapaz è stato il primo ecuadoriano a vincere una corsa a tappe di tre settimane e Bernal il primo colombiano a vincere il Tour. L’anno prossimo quale potrebbe essere la prima volta? Al momento non ci viene in mente nulla, ma accettiamo suggerimenti;
  • Passerella per Pogačar: brinda con la birra insieme ai possessori delle maglie che identificano le altre classifiche di questa corsa. In alcuni paesi non avrebbe nemmeno l’età per bere alcolici o guidare, eppure chiuderà, a pochi giorni dal suo ventunesimo compleanno, al terzo posto, dopo aver vinto tre tappe e aver conquistato la maglia bianca, battendo un corridore di quattro anni più grande e che partiva in questa Vuelta con ben altre credenziali. Come ci suggerisce il sito ufficiale: è il primo corridore dai tempi di Baronchelli, 1974, a salire sul podio di un Grande Giro prima di aver compiuto ventun’anni, il quarto dopo Coppi nel 1940 e Antonio Jimenez nel 1955. Fa paura la precocità, ma anche le capacità di gestione, l’intelligenza tattica, quel suo essere completo e forte su ogni terreno. Che futuro ci si prospetta a immaginarsi le sfide tra lui, Bernal, Evenepoel, Sivakov, mettiamoci dentro anche McNulty, nei Grandi Giri;
  • Insistiamo su Pogačar: se vediamo l’ordine d’arrivo di tutte le ventuno tappe, il suo peggior risultato è un ottantasettesimo posto, dopodiché un quarantasettesimo, un trentaduesimo, un trentunesimo, un ventiseiesimo, un ventitreesimo: ottenuti tutti in tappe apparentemente prive di significato. Poi ha un ventunesimo, e penultimo posto, nella cronosquadre, ottenuto a causa della maxi caduta che avrebbe potuto scalfire chiunque, ma non questo ragazzino che sembra correre in gruppo dai tempi in cui esordiva Valverde. Per il resto solo piazzamenti nei primi venti;
  • In fuga oggi c’è Diego Rubio, in carriera zero vittorie, un corridore che piacerebbe a Marco Pastonesi. Forse il nativo di Navaluenga non vuole essere da meno del suo omonimo Ricky Rubio che proprio oggi è stato votato come MVP Nel torneo mondiale di basket che si è concluso poche ore fa con la vittoria della Spagna;
  • Con lui c’è Daniel Felipe Martínez che prova a dare un senso alla sua Vuelta sottotono, andando in fuga dove meno te l’aspetti. Il ciclismo regala anche questo tipo di possibilità, a volte assurde, ma, visto il terreno in cui ha attaccato, la sua azione ci pare più un sussurro del tipo: “Eh sì, non vi sbagliate, c’ero pure io a questa Vuelta”. Di sicuro il giovane colombiano, anche per problemi fisici, esce da questa corsa ridimensionato: lo aspettiamo, nel 2020, su strade più favorevoli, magari per unirsi alla festa dei giovani rampanti che stanno dando un altro volto al ciclismo;
  • Passerelle dicevamo: lo è anche – o soprattutto – per Alejandro Valverde. Il campione del mondo sale sul podio di un Grande Giro per la nona volta in carriera: la prima volta sedici anni fa. Nove volte come Indurain e Coppi; primo campione del mondo sul podio di una corsa a tappe di tre settimane, dai tempi di Olano che fu terzo al Giro del 1996;
  • Intanto annunciano Miguel Ángel López corridore più combattivo di questa Vuelta 2019, la cosa buffa è che non si tratta di uno scherzo;
  • Jacopo Mosca a inizio stagione ha rischiato di restare a piedi, poi trovò un contratto con la D’amico – UM Tools e fino poche settimane fa sgomitava tra corse in Bosnia, Polonia e Romania. Oggi, per qualche chilometro, guida il gruppo tra le strade di Madrid, in una delle corse più importanti del mondo. Gli facciamo i complimenti, perché è una passerella anche per lui: il ventiseienne della Trek-Segafredo rappresenta un modo per dire che non si deve mollare mai;
  • Non c’è nulla di strano nel vedere Tim Declercq in testa al gruppo andare a riprendere i fuggitivi: anzi ci saremmo preoccupati se fosse andata diversamente. Qualcuno da dietro sembrava persino urlargli di rallentare. Dopo di lui passano Cavagna, poi Štybar e poi Richeze; Jakobsen non potrebbe chiedere di meglio con quei nomi lì a fargli da trenino e che sembrano dirgli: guai a sbagliare;
  • La volata è, come da copione, tutto uno stridere di ruote e un digrignare di denti: Maxi Richeze, in quella sua maglia di campione argentino, dà spallate come fosse sabato sera in un locale del centro, Jakobsen, in maglia di campione d’Olanda, esce dalla sua ruota e resiste al ritorno di Sam Bennett, campione d’Irlanda: se una squadra doveva vincere anche oggi, quella non poteva che essere la Deceuninck;
  • Chiosa su Primož Roglič, ma sicuramente avremo modo di tornarci nei prossimi giorni. Dopo aver – in coppia con Nibali – buttato un possibile successo al Giro, a questa Vuelta corre da padrone assoluto, come un dominatore degli anni novanta; da Pau in poi una vittoria mai in discussione, amministrandosi e sferrando qualche colpo qua e là, dove bastava e serviva. Forse può non sembrare spettacolare, ma tanto è bastato per vincere. Ci lecchiamo i baffi a immaginarci il 2020 dei Grandi Giri, con la sfida tra i giovani sopracitati, con il ritorno ai massimi livelli – si spera – di Froome e Dumoulin, la voglia di riscatto dei colombiani, qui sconfitti dal duo sloveno, o dei francesi. Menù ricco: già non vediamo l’ora di gustarcelo.

 

Foto in evidenza: ©Grischa Niermann, Twitter

Alessandro Autieri

Alessandro Autieri

Webmaster, Fondatore e direttore editoriale di Suiveur. Doppia di due lustri in vecchiaia i suoi compagni di viaggio e vorrebbe avere tempo per scrivere di più. Pensa che Mathieu Van der Poel e Wout Van Aert siano la cosa migliore successa al ciclismo da tanti anni a questa parte.