Un anarchico alla corte dei fiamminghi

Bettiol vince il Fiandre in un giorno di anarchia in Belgio

 

Il Fiandre è una centrifuga. Lungo la strada è un continuo mescolìo di tifosi, facce, cappellini, mucche e trattori, musi lunghi che aspettano con trepidante attesa il passaggio del gruppo e che all’improvviso mutano forma e inghiottono i corridori urlando nomi, chiedendo in cambio borracce, sventolando bandiere di ogni nazione o club. È festa fiamminga, ma è orgoglio del ciclismo.

Sul Paterberg ci sono un centinaio di tifosi assiepati da lunedì. Lungo il percorso c’è il club di Sagan dalla Slovacchia, ci sono francesi e inglesi, italiani e danesi persino sostenitori del Team Sky. C’è un tifoso di Benoot con una sciarpa con scritto il suo nome, c’è il club di van Aert, talmente sicuro di sé, che in partenza annuncia: “Oggi Wout è il favorito, lo seguiamo per tutto l’inverno nel ciclocross, non ci saremmo mai perdonati una nostra assenza qui”.

Il gruppo è mescolanza di squadre e colori. Ci sono l’arancione misto al celeste vintage di Roompot-Charles e Vital Concept, c’è il bianco luccicante della Corendon-Circus, il blu acceso Deceuninck, o un rosa che oggi abbaglia più del solito della Education First; ci sono anche maglie tutte uguali, bianche, rosse, sbiadite, ingrigite dal sudore o dalle cadute.

C’è mescolanza di corridori, ci sono quelli che vengono dal ciclocross e fanno paura a tutti, ci sono velocisti fondisti, velocisti resistenti, uomini dal palmarès invidiabile, leggeri e pesanti, maglie tricolori e iridate, corridori con la pancia piena o che in carriera non hanno mai vinto nulla e sognano di beffare i potenti sul traguardo di Oudenaarde.

Ci sono gregari che si mescolano a capitani, c’è De Clerq che sono settimane che porta a spasso il gruppo come studenti in gita, ci sono Mohorič e Wellens che alternano colpi di classe ad allunghi scriteriati, c’è anarchia e ordine precostituito. C’è mescolanza di emozioni quando Terpstra cade e per qualche attimo non si muove. Poi lui tira su una gamba e noi un sospiro di sollievo.

Il Fiandre è una centrifuga di muri in pietra che sfaldano senza pietà le gambe dei corridori. Acide lingue d’asfalto si alternano a lunghi rettilinei che abbattono le speranze di attaccanti e fuggitivi. Sul Berendries c’è talmente tanta gente che si mescolano ai corridori sullo sfondo e fai fatica a distinguerne le teste. C’è il Muur e prima di affrontarlo c’è una volata, a superarlo invece è un baleno e a riempire di cicatrici i muscoli si sta ancora meno. I corridori lo scavalcano osservati da schiere di tifosi e da muretti costellati di pietre che sembrano teschi secolari dentro una cripta. “Ja, dan komt de Muur en hij bijt meteen”,  “Sì, ora arriva il Muro e lui morde immediatamente”, dice una canzone fiamminga molto popolare da quelle parti.

C’è logorio, concentrazione e disattenzione. Come quando poco prima del secondo passaggio sull’Oude Kwaremont, van der Poel ha un problema meccanico, prova a stare in piedi e poi a saltare giù dalla bici in corsa e finisce con la faccia sul marciapiede. Recupererà uno a uno i suoi avversari e chiuderà quarto. Nato per vincere, van der Poel è un inno cosmopolita: passaporto olandese, nonno francese, formazione agonistica belga.

Il ciclismo è ribaltamento di fronti. Il Fiandre mescola sensazioni e cambia pagina a ogni metro, a ogni pietra. Trentin sembra in giornata, ma poi scollina il Kruisberg in coda e finirà ventunesimo. Gaviria è brillante nelle prime posizioni a metà gara, verrà risucchiato e poi risputato a sei minuti dal vincitore. Valverde battezza Sagan, ma è una ruota che anche oggi gira appesantita. Van Aert consuma la sua squadra, alterna alti e bassi e chiude quattordicesimo e rimpicciolito.

C’è il sole che si mescola alla foschia, ci sono Vandenbergh e Vanmarcke, in dubbio fino all’ultimo, che aprono la strada ai propri capitani. C’è Asgreen che tira da inizio gara, scatta, ricuce e alla fine sarà secondo. C’è uno Štybar ancora respinto dalla “sua” corsa e uno Jungels che su queste strade potrà tornare a dettar legge, ma oggi non sarà la sua giornata. C’è Van Avermaet che mischia orgoglio e sofferenza, splendido perdente in una giornata da pazzi in bicicletta. C’è Naesen che mescola la solita sfortuna, suo ingrediente principale, a una gran gamba, forerà in un momento poco opportuno e finirà comunque settimo.

Infine c’è Bettiol, che si arrampica sul Kruisberg senza aprire bocca come se la sua gara fosse appena iniziata, parte sull’Oude Kwaremont a diciotto dall’arrivo sotto gli occhi di Re Tom Boonen che si mescola tra il pubblico, e diventa padrone di una corsa senza padroni.

Il finale è una centrifuga. È ordine del disordine. Le gambe di Bettiol sono energia cinetica in un moto rettilineo uniforme. L’ultimo chilometro è cinema, è un film di Jean Luc Godard: Bettiol le fou. I metri finali sono una fotografia, mentre il sole si mischia alla foschia, lui gode in mezzo a due ali di gente, transenne, bandiere, facce, telefonini, urla e cappellini. In quella follia che è questa corsa, lui è un anarchico che vince alla corte dei fiamminghi.

 

 

Foto in evidenza: ©Sidi Sport, Twitter

Alessandro Autieri

Alessandro Autieri

Webmaster, Fondatore e direttore editoriale di Suiveur. Doppia di due lustri in vecchiaia i suoi compagni di viaggio e vorrebbe avere tempo per scrivere di più. Pensa che Mathieu Van der Poel e Wout Van Aert siano la cosa migliore successa al ciclismo da tanti anni a questa parte.