Ewan conquista un’altra volata al fotofinish, anticipando Groenewegen, Viviani e Sagan.

 

 

Aimé De Gendt è doppiamente sfortunato: un po’ per il cognome che porta – non quello d’un fenomeno, d’accordo, ma di De Gendt Thomas ci ricorderemo a lungo, come succede ancora oggi con attaccanti come Mottet, Durand, Pérez Cuapio e Voeckler – e un po’ perché l’unica maniera che conosce per mettersi in mostra è andare in fuga – dunque le responsabilità aumentano esponenzialmente. Aimé De Gendt è un corridore che si salva in tutte le circostanze ma non riesce a brillare praticamente in nessuna; “la mia forza e la mia debolezza”, riassume lui, tuttavia convinto che il suo miglior pregio sia quello di saper andare forte anche alla fine della giornata, dopo diverse ore passate in sella (per caso vi ricorda qualcuno?). Dei quattro atleti che compongono la fuga che caratterizza l’undicesima tappa, Aimé De Gendt è quello che va più lontano: procede per esclusione, insomma, convinto che se per il momento non si sa cosa siamo tanto vale provare a capire cosa non siamo.

Il vento che ha sparpargliato e accolto il gruppo ad Albi – la sede di partenza della tappa odierna, la Albi-Tolosa – è rimasto nella testa dei corridori: il vento la appesantisce, la confonde, la fa rimbombare. È per questo, ad esempio, che Calmejane si ritrova in fuga in una frazione che non è né adatta alle sue caratteristiche né quella dell’enfant du pays, dato che la sua città è Albi e lui attacca non appena il gruppo se la lascia alle spalle. Perez, invece, le idee chiare ce l’avrebbe pure: questa sì che è la sua giornata, infatti Tolosa è il luogo in cui è cresciuto; peccato che si metta in mezzo Rossetto, che sostiene d’aver riposato bene onorando al meglio il giorno che glielo ha permesso – sfasato anche questo, peraltro: il vento lo ha spostato dal lunedì al martedì – e spiegando che in fuga c’andrebbe volentieri anche oggi, però rubare la scena a Perez – di cui è compagno di squadra – gli sembra brutto. Il problema si risolve in fretta: oltre a De Gendt e Calmejane, in fuga ci sono tutt’e due, tanto Perez quanto Rossetto.

Chi al vento c’è abituato non ha trovato la tappa di Albi così diversa dalle altre. Tony Martin, Monfort e Asgreen, infatti, li abbiamo ritrovati nello stesso punto dove li avevamo lasciati: in testa al gruppo per tutto il giorno, in fondo quando ormai tutto quello che potevano fare per la volata dei rispettivi capitani era stato fatto. Sono degli anemometri che misurano senza sbavature la velocità e la direzione del vento, talmente grattugiati dalle sue raffiche da conoscerne il punto di rottura e da saperlo portare dalla loro parte, quando questo è particolarmente bendisposto. In queste giornate – quella successiva al riposo, che a sua volta succedeva ad una vera e propria centrifuga – sono comunque anche dei fari, o per meglio dire delle candele che pilotano la lunga teoria del gruppo della maglia gialla. Aimé, più che il nome di De Gendt, diventa una constatazione e un lamento; la sua confusione nello scegliere il punto in cui affondare non è così diversa da quella che determina le volate del Tour de France 2019: vince Ewan, il terzo velocista diverso ad esultare, mentre Groenewegen è secondo per un nulla e Viviani terzo per un bel po’.

La tappa di domani, pur essendo la prima pirenaica, ci lascia perplessi: due salite nella seconda parte, l’arrivo in discesa e un certo equilibrio nella classifica generale fanno pensare ad una fuga che, se corposa, non dovrebbe incontrare particolari difficoltà nel concretizzarsi. Tuttavia, le parole di Bernal fanno riflettere: “Manca ancora quasi tutto”, ha detto stamattina alla partenza. Noi, che pensavamo di aver già visto – e scritto – tanto, per un attimo scordavamo che mancano ancora dieci tappe, una cronometro individuale, i Pirenei e le Alpi: s’inizia domani, e stranamente il Tour de France promette bene.

 

 

Foto in evidenza: ©Lotto Soudal, Twitter

Davide Bernardini

Davide Bernardini

Fondatore e direttore editoriale di Suiveur. È nato nel 1994 e momentaneamente tenta di far andare d'accordo studi universitari e giornalismo. Collabora con la Compagnia Editoriale di Sergio Neri e reputa "Dal pavé allo Stelvio", sua creatura, una realtà interessante ma incompleta.