Cima ha scacciato la timidezza con una superba vittoria al Giro d’Italia.

 

 

Probabilmente quando Damiano Cima andava a scuola era uno di quegli alunni che, pur essendo diligenti, quando gli insegnanti sfogliano il registro per interrogare, abbassano la testa e gli occhi e un poco scivolano sotto il banco. Forse, durante le interrogazioni, i professori lo richiamavano con continue incitazioni: “La voce! La voce! La voce!”. I compagni, distraendosi, iniziavano a parlare e per Cima era ancora più difficile sostenere il discorso. Non è del resto un mistero, lo ha ammesso lui stesso, che il corridore bresciano sia timido, a tratti ansioso, a tratti insicuro. Anche per questo, ha spiegato, ottiene meno risultati di quelli che le capacità gli permetterebbero.

Al Giro d’Italia non ci sono insegnanti, ma interrogati si finisce comunque. Ogni mattina al palco partenza c’è la possibilità che lo speaker ti metta il microfono sotto il naso e ti chieda di pronunciarti sulla tappa, sulla classifica, sulla tua condizione fisica. Se poi fai qualcosa di simile a quello che Damiano Cima ha fatto a Santa Maria di Sala, ti metti nella condizione di dover affrontare un’interrogazione: come prendere tre nel compito di matematica a fine maggio con la scuola che finisce una settimana dopo. Al termine del Giro manca anche meno di una settimana, mancano tre giorni. Prima vittoria al Giro d’Italia al primo Giro d’Italia, seconda fra i professionisti, dopo quella infilata lo scorso anno in Cina. In una realtà come quella della NIPPO-Vini Fantini-Faizanè, peraltro, che fa della buona volontà il sacrificio quotidiano. Se non interroghi Cima adesso, quando lo interroghi?

Quando il corridore sale sul palco venerdì 31 maggio e sabato 1 giugno il pubblico si esalta, lo speaker gli porge il microfono, i compagni sorridono e lui inizia a parlare. Voce bassa, talmente bassa che il microfono non coglie tutte le parole e, scherzosamente, tanto l’intervistatore quanto i compagni lo riprendono: “Allora Damiano, la alzi sta voce?”. Un salto indietro di dieci anni. Il pubblico non si distrae. Il pubblico è il miglior compagno di classe che si possa avere, se si è timidi. Con lo sguardo d’attesa incita a completare periodi e frasi. Magari alzando un poco la voce. Ben poco, in realtà, ma non conta.

E la timidezza di Cima sembra (col senno di poi, lo ammettiamo) infiltrarsi nelle fessure più serrate di questa storia e di quella diciottesima tappa. Cima, Maestri e Denz macinano quasi duecento chilometri in fuga e la loro sembra la fuga perfetta: quella ammirata da tutti, applaudita perché, in fondo, al traguardo non ci arriva. Gli aggettivi si sprecano in queste occasioni: eroi, epici, straordinari. Ma degli aggettivi interessa poco, se ti fai duecento chilometri davanti e poi vincono gli altri. Va bene la pubblicità, va bene lo sponsor, ma restano discorsi da divano. Il corridore vuole vincere. Strano questo destino delle fughe, amate di più proprio quando non arrivano.

©Aivlis Photography

I tre attaccanti di giornata a Santa Maria di Sala arrivano per un pelo. Cima ha il merito di crederci più di tutti e di resistere al ritorno del gruppo, che negli ultimi metri lancia la volata a un fiato dalla sua ruota. Dalle foto si direbbe che Cima vinca in volata. No, Cima vince in fuga. Lancia un urlo e si nasconde tra gli abbracci. Valentino Sciotti gli accarezza il viso e poi lo stringe fra le braccia come un padre con un figlio al ritorno da terre lontane. Luca Barioglio, suo addetto stampa, si mette le mani tra i capelli, si copre gli occhi. Il giorno prima era deluso perché gli atleti non avevano centrato la fuga. Gli hanno risposto così.

Cosa c’è di meglio per un timido? Un rettilineo percorso da solo incute timore, un rettilineo percorso in gruppo o pochi metri davanti al gruppo rassicura. Quegli sguardi hanno troppi soggetti da vedere per soffermarsi su uno solo di loro. Forse anche per questo la voce di Damiano Cima finalmente esce e impazza sotto lo striscione del traguardo. Perché nel frastuono ci si nasconde meglio. Perché i decibel della sua voce non sono identificabili in quella bolgia infernale che è il traguardo. È una sicurezza, tutto quel rumore.

Cima non si sente un protagonista. Lo è, ma non gliene importa. In sala stampa chiede un minuto per ringraziare e alla fine parla per cinque minuti, tanti sono i ringraziamenti che vuole fare. Più che timido, è grato. Victoria, la sua ragazza, spiega che Damiano ha sempre avuto una concezione particolare del ciclismo: uno sport difficile, certo, faticoso e a tratti maledetto. Ma non uno sport elitario. Non uno sport riservato a pochi eletti, quasi superuomini degni di sfidare sorti impossibili per altri, gli uomini veri che appaiono sminuiti di fronte a cotanta forza e virilità. Ridicoli, francamente. Tutte balle per Cima. E per noi, aggiungiamo. Tutti possono correre, tutti possono provarci. Il bello è proprio questo. Per questo negli allenamenti a Desenzano, sul Lago di Garda, si ferma a consigliare amatori e bambini. Ama i bambini.

È un ragazzo attento nel duplice senso che il vocabolario attribuisce al termine. Nel senso di cura e nel senso di meticolosità. La cura è quella che lo porta a vivere il ciclismo come uno dei più bei lavori al mondo, ma pur sempre come un lavoro. La cura è il segno del fratto nella sua frazione esistenziale, la linea di demarcazione per dare senso a tutto. La cura è presenza. Attento alla compagna, alla famiglia, ai dettagli che una vita in giro può far dimenticare.

La meticolosità è per la bicicletta, per il suo lavoro. Forse anche troppo preciso, avremmo detto prima della vittoria. Ora non più. Perché come le fughe anche i dettagli assumono la vera importanza soltanto dopo. Per questo il senno di poi, se non sfocia in prediche professorali, non è così male quando si racconta di qualcuno: è il sapore da dare a tante cose che prima apparivano alla rinfusa e poi hanno trovato senso. E Damiano Cima, quel 30 maggio, ha aggiunto una parte di senso: alla timidezza, alla bicicletta, ai quasi mille chilometri in fuga sulle strade del Giro d’Italia 2019 e a tante parole che chi fa il nostro mestiere scrive.

 

 

Foto in evidenza: ©Claudio Bergamaschi

Stefano Zago

Stefano Zago

Redattore e inviato di http://www.direttaciclismo.it/