Considerazioni sparse sulla docu-serie della Movistar

È disponibile su Netflix e fa luce su alcuni aspetti interessanti.

 

 

  • La docu-serie lanciata dalla Movistar s’intitola El Día Menos Pensado ed è disponibile su Netflix da venerdì 27 marzo. Le puntate sono sei, la durata complessiva si aggira sulle tre ore. L’attenzione è concentrata sui tre grandi giri, fatta eccezione per qualche frammento – l’Ecuador di Carapaz, gli allenamenti, i ritiri. Davanti alle telecamere si alternano diversi personaggi, anche se quelli principali sono i più conosciuti: Valverde, Quintana, Landa, Carapaz, Unzué, Soler, García Acosta, Arrieta, Sciandri, Lastras.
  • Come ha dichiarato Unzué a Ciclismo a fondo, l’idea di riprendere il lavoro della squadra e di montarlo per farne una storia è nata durante la tappa di Cholet del Tour de France 2018. «Quel giorno ci fece visita José María Álvarez-Pallete, il presidente esecutivo di Telefónica (la società che detiene il marchio Movistar, ndr). Nelle otto ore passate con noi rimase letteralmente estasiato dall’ambiente, dall’atmosfera e dall’intensità del nostro lavoro. Ci disse che tutto quello che facevamo meritava d’essere raccontato, a maggior ragione visto che la maggior parte delle persone non conosce il dietro-le-quinte. Abbiamo deciso di farlo nel 2019 anche perché si trattava della quarantesima stagione consecutiva nel mondo del ciclismo (il debutto risale al 1980, la squadra si chiamava Reynolds, ndr).
©Movistar Team, Twitter
  • Andiamo con ordine, partendo da Alejandro Valverde. Il murciano ha dichiarato d’aver fatto molta fatica ad abituarsi alla maglia iridata: da una parte per le ulteriori pressioni e responsabilità, dall’altra perché si sentiva appagato e uno sportivo appagato non è uno sportivo affidabile. Il momento più difficile è arrivato durante le Ardenne: qualche giorno prima della Liegi-Bastogne-Liegi, infatti, Valverde ha provato ad impennare «alla van der Poel», come ha raccontato lui stesso, cadendo pesantemente sull’osso sacro. Alla Liegi-Bastogne-Liegi, infatti, si sarebbe ritirato prima del tempo. Ha ritrovato serenità staccando dalle corse e rientrandovi in estate.
  • Richard Carapaz ha dominato il Giro d’Italia. In un primo momento, probabilmente, le schermaglie tra Nibali e Roglič avevano impedito a una buona parte degli appassionati e degli osservatori di apprezzare la corsa dell’ecuadoriano. Ha vinto due tappe, ha approfittato delle manchevolezze altrui, ha gestito la corsa con autorità ed equilibrio; e ancora, ha vinto la competizione interna con Mikel Landa, si è guadagnato la fiducia della squadra e non ha mai perso contatto dai rivali più accreditati. Nella ventesima tappa, per sdebitarsi della lealtà dimostratagli, Carapaz ha aiutato Landa a vincere la tappa; si è portato in testa al drappello dei migliori senza tanti complimenti per scandire il ritmo, ma Landa chiuse secondo alle spalle di Pello Bilbao. È un peccato che le strade di Carapaz e della Movistar si siano divise così malamente.
  • Mikel Landa è uno dei corridori più affascinanti del gruppo. È coraggioso e sfortunato, forte in salita e dall’animo fragile, mai remissivo e mai vincitore. D’altronde, il trionfo cancellerebbe dai suoi occhi quella malinconia atavica che lo rende così interessante. Avrebbe dovuto essere il capitano per il Giro d’Italia, ma in casa sua ha trovato un corridore in stato di grazia e non ha potuto fare nient’altro che adattarsi. Anche al Tour de France era il capitano della squadra, stavolta alla pari con Nairo Quintana. I due, tuttavia, hanno fatto di tutto per complicare i piani e alimentare la confusione. Il tallone d’Achille di Landa sono le cronometro, non lo scopriamo certo oggi. E affidarsi sempre alle salite non conviene, è una scommessa a perdere. «Menomale che ci sei tu, Landa, altrimenti ci annoieremmo a morte», gli grida un tifoso durante il Tour de France. Frasi belle e colorate, beninteso, ma Landa farebbe volentieri a meno di qualche complimento se questo significasse un grande giro in bacheca. Tuttavia, il discorso che chiude il suo Giro d’Italia è una dichiarazione d’intenti. «È da tempo che mi sono reso conto che forse non potrò collezionare molti titoli, ma di sicuro collezionerò molte esperienze e bei ricordi». Struggente.
©Emanuela Sartorio
  • La Movistar non era più l’ambiente migliore per Nairo Quintana. Lo ha affermato lui stesso e si percepiva anche da fuori, tra i malintesi e le aspettative non rispettate. Ha dimostrato professionalità e carattere, tuttavia, tanto sulle strade del Tour de France che su quelle della Vuelta a España, provando ad attaccare e a rientrare in classifica generale anche in quelle tappe che non si addicevano alle sue caratteristiche. Rimane comunque uno degli scalatori più forti del mondo, probabilmente uno dei più grandi anche della quarantennale storia della squadra spagnola.
  • Quintana e Landa, poi, non andavano d’accordo. Forse è esagerato affermare che non si sopportavano, forse è più corretto dire che entrambi puntavano agli stessi obiettivi con uno stato di forma buono ma non eccezionale. Sono degli scalatori puri, uomini da salita e da classifica generale, modesti nelle prove contro il tempo; in più, agli appuntamenti principali hanno peccato d’incostanza. Se uno dei due fosse stato in forma smagliante, l’altro si sarebbe messo a sua disposizione senza tante questioni.
  • Per sopperire agli addii di Landa e Quintana, la Movistar ha puntato molto su Enric Mas, secondo alla Vuelta a España 2018. Soler sottolinea un aspetto tutt’altro che secondario: Mas è un giovane scalatore spagnolo che deve dimostrare di poter diventare uno dei capitani della squadra più importante del suo paese. Landa, ad esempio, pare aver accusato molto responsabilità simili. Una situazione che Mas dovrà curare con attenzione, se non vorrà rimanerne schiacciato. Da questo punto di vista, il 2019 non è stato rincuorante: le belle cose mostrate nel 2018, infatti, non si sono praticamente mai viste.
©Movistar Team, Twitter
  • La Vuelta a España 2019 è stata l’ennesima corsa in cui la Movistar ha funzionato a corrente alterna. Valverde, splendido, ha chiuso al secondo posto della classifica generale e grazie alla vittoria di tappa conquistata a Mas de la Costa ha finalmente scacciato i fantasmi iridati. Anche Quintana ha vinto una tappa, perdendo tuttavia la possibilità di salire sul terzo gradino del podio nella ventesima tappa – a Landa è andata peggio: al Giro d’Italia ha perso il terzo posto nella cronometro finale di Verona. Lo spannung è stato raggiunto nella tappa di Andorra. Soler, involato verso la vittoria di tappa, viene fermato per alimentare l’azione di Quintana; il tentativo del colombiano, tuttavia, perde d’intensità nel giro di poche pedalate e Pogačar conquista così il primo dei suoi tre successi di tappa. Soler era infuriato: voleva vincere la tappa di casa, dato che lui vive ad Andorra ed è sempre costretto a lavorare per i suoi compagni di squadra. In ammiraglia, Arrieta inveisce contro Soler mentre Lastras lo riprenderà duramente alla fine della tappa.
  • Fatta eccezione per le tensioni tra Quintana e Landa, la Movistar è un gruppo molto più affiatato di quel che sembra guardando la televisione e leggendo i giornali. A mancare, tavolta, è l’organizzazione: l’affiatamento e l’amicizia no di certo. «Siamo un gruppo di amici», dice Landa ad un certo punto. Scorrendo l’organico e lo staff, ci si rende facilmente conto della solida struttura della squadra: Valverde, Erviti, Rojas, Unzué, Lastras, Arrieta e García Acosta fanno parte dell’ambiente da tantissimi anni, ormai.
©Movistar Team, Twitter
  • Ciononostante, la Movistar è una squadra novecentesca. Appartiene al secolo passato, se mi spiego: tanti scalatori, l’interesse rivolto perlopiù alle classiche altimetricamente più difficili e ai grandi giri, l’affiatamento e il caos degni d’una commedia. Lo stesso Unzué, durante il Tour de France, rivela che la squadra negli ultimi tempi non si era preoccupata poi molto delle cronometro e della cronosquadre: come se fosse un esercizio superfluo, come se non fosse decisivo ai fini della classifica generale del Tour de France, in netto contrasto con la meticolosità scientifica del ciclismo odierno. Senza dimenticare la goffaggine con cui la Movistar ha comunicato col mondo esterno: durante il Tour de France, ad esempio, venne pubblicato un video in cui Valverde, Quintana e Landa smorzavano i toni e scherzavano, dimostrando così che la squadra era serena e compatta e non tesa come raccontavano i giornali. Un video che, alla prova dei fatti, non fece altro che convincere buona parte degli appassionati dell’effettiva tensione che regnava nella Movistar in quel mese di luglio.
  • Anche Unzué e il 2019 sono due protagonisti fondamentali di questa docu-serie: il primo, seppur antico come la sua squadra, è nel ciclismo da una vita e continua ad esserne una delle figure più rappresentative e intriganti; il secondo, invece, è stato pregno d’emozioni e di avvenimenti: la Movistar non poteva sperare in un’annata migliore da punto di vista narrativo.
©Movistar Team, Twitter
  • Non conosco la serialità, ma mi pare d’aver capito che il livello sia piuttosto alto: anche alla luce di questo, dunque, direi che la docu-serie della Movistar è godibile ma non eccezionale. Un appassionato conosceva già buona parte degli eventi, delle dinamiche e delle parole che erano volate durante la stagione. Il microcosmo più interessante è sicuramente quello dell’ammiraglia, uno dei pochissimi luoghi nel quale le telecamere non sono ancora riuscite a penetrare con naturalezza. Raccontare con le immagini e i suoni intrattiene il pubblico, non c’è niente da fare. Toglie un po’ di magia, va detto; si vede il non-visto, si sente il non-detto; ricostruire non serve più a nulla, dato che tutto è testimoniato. Adesso anche le squadre e i corridori si sono messi a fare il lavoro dei giornalisti: comunicano, raccontano, parlano e scrivono sempre più spesso. Tuttavia, bisogna ammettere che il mondo del ciclismo ha un disperato bisogno d’essere svecchiato: il secolo scorso è finito da vent’anni almeno e serve una scossa, un cambiamento; ché non significa snaturarsi né affidarsi ad un progresso indefinito, ma trovare nuove forme per raccontare questo sport – possibilmente adottando il criterio della cultura, della bella pagina, dell’approfondimento. Non conoscendo la serialità, dicevo, non so se la docu-serie della Movistar è il primo lavoro ciclistico d’un certo tipo; quel che so, e per il momento fatevelo bastare, è che sicuramente non sarà l’ultimo.

 

 

Foto in evidenza: ©Boomer Cycling, Twitter

Davide Bernardini

Davide Bernardini

Fondatore e direttore editoriale di Suiveur. È nato nel 1994 e momentaneamente tenta di far andare d'accordo studi universitari e giornalismo. Collabora con la Compagnia Editoriale di Sergio Neri e reputa "Dal pavé allo Stelvio", sua creatura, una realtà interessante ma incompleta.