Di Salary Cap e ciclismo (in)sostenibile

Il World Tour pensato in questa maniera sta diventando economicamente insostenibile.

 

Il sistema ciclismo fatto di squadre dipendenti solo e unicamente dagli sponsor, da qualche anno a questa parte, appare ormai assolutamente obsoleto. Anzi, possiamo dire che sia già collassato. Negli ultimi quindici anni, con l’UCI in mano a dirigenti terribilmente scarsi come Pat McQuaid prima e Brian Cookson poi (personaggi che sono riusciti nell’impresa di farci rimpiangere Hein Verbruggen, il quale, rispetto agli altri due, sembra un novello David Stern), abbiamo assistito a un continuo allargarsi della forbice che separa i team più ricchi da quelli meno ricchi. Con le grandi squadre che sono diventate sempre più grandi e le piccole sempre più piccole.

Il Team Sky è l’esempio principe, ma non è l’unico, ovviamente. Anche UAE, Bahrain Merida, Movistar, Mitchelton-Scott e Astana, nel corso degli anni, sono riuscite a costruire organici al cui interno era presente una quantità di talento smisurata, mentre le Professional, che dieci anni fa annoveravano tra le loro file corridori come Sastre, Hushovd, Petacchi, Di Luca, Mosquera, Scarponi, Mauricio Soler e via dicendo, fanno sempre più fatica, tranne in alcuni casi le squadre francesi, a costruire squadre competitive.

La situazione è insostenibile e va cambiata. A maggior ragione ora che Ineos diventerà il main sponsor del team britannico, alzando il budget a disposizione della squadra di Brailsford a quarantasette milioni di euro. L’UCI di David Lappartient ha fatto intendere di volersi muovere per cambiare le cose, ma per ora le proposte sono state poche e confusionarie e ciò che sappiamo della prossima riforma, al momento, entusiasma ben poco chi vi scrive.

Si fa, inoltre, un gran parlare di salary cap (attenzione Cap, non cup), termine un po’ esotico, con cui i più si riferiscono ai vari sistemi di business sportivo degli sport americani, i quali, ai nostri occhi, sembrano un autentico El Dorado.

Oss e Ganna al via della Milano-Sanremo 2019. (© Aivlis Photography)

Il ciclismo, al contrario di tanti altri sport europei, in primis il calcio, ha una struttura non troppo diversa da quella degli sport americani, per cui è assolutamente lecito immaginare un salary cap applicato al mondo delle due ruote. Tuttavia, il termine salary cap è, in realtà, abbastanza vago e dunque, di seguito, andremo ad analizzare un paio di strumenti presi in prestito dalle varie leghe sportive statunitensi che se inseriti nel sistema ciclismo potrebbero riequilibrare le cose.

Luxury Tax

La luxury tax è uno strumento presente sia in NBA che in MLB (Major League Baseball), ove è chiamata competitive balance tax e, addirittura, sostituisce in toto il salary cap che non è presente. Consiste nel fissare una soglia, per quanto riguarda l’ammontare dei salari dei giocatori, che può essere superata, a costo però di pagare una penale. Più si sfora e più la penale è alta. Dopodiché i team recidivi pagano progressivamente di più e i soldi della squadra che sfora vengono redistribuiti una parte alla lega e una alle squadre che non pagano la tassa.

Ora, immaginatevi la luxury tax applicata al ciclismo: avremmo, ad esempio, un Team Sky che può continuare a spendere trenta milioni per i salari dei suoi corridori, ma che, se lo facesse, sarebbe costretta a versare delle belle somme nelle casse dell’Androni, della Bardiani, della Rally UHC Cycling e via dicendo. In sostanza sarebbe lo stesso Team Sky a garantire l’esistenza delle varie Professional. Certo, se fissiamo la luxury ad una cifra congrua a quelle che girano nel ciclismo al giorno d’oggi, come possono essere quindici milioni di euro, sarebbe pura follia per Sky spenderne trenta per i salari. Ma se ne spendessero meno, comunque sforando, ipotizziamo venti milioni, lascerebbero liberi dei corridori di qualità che si accaserebbero nelle World Tour più piccole, le quali, a loro volta, dovrebbero quindi rinunciare a buoni pedalatori che andrebbero nelle Professional comunque finanziate, in parte, dal Team Sky di turno. La sola luxury, dunque, proprio come accade nel baseball, darebbe vita a un sistema più virtuoso ed equo.
Detto questo bisognerebbe fissare una regola per quanto riguarda la ripartizione dei soldi dei team che pagano la luxury. Non avrebbe senso che la Burgos BH riceva la stessa cifra di un Ag2r che non sfora, ad esempio. Per cui bisognerebbe ripartire il denaro in proporzione a quelli che sono i budget delle squadre Professional e World Tour che non sforano. Chi ha meno riceve di più.

Hard Cap

L’hard cap è la variante del salary cap che viene adottata nella NFL (National Football League). A differenza del soft cap NBA non permette in alcun modo di sforare la cifra massima pattuita come tetto salariale. Questo vorrebbe dire che se il tetto è quindici milioni nessuna squadra può spendere più di quindici milioni. Di base permetterebbe, dunque, una miglior ripartizione del talento visto che le squadre coi budget più elevanti sarebbero impossibilitate a fare razzia di campioni.

Niki Terpstra da quest’anno corre in un Team Professional dopo aver vinto nel 2018 il Giro delle Fiandre. (Foto © Aivlis Photography)

Al contrario della luxury tax, oltretutto, garantirebbe la perfetta parità tra tutti i team che hanno il budget necessario per raggiungere il tetto salariale. In sostanza, mentre con una luxury tax squadre ricchissime come Team Sky e UAE, in virtù della liquidità a loro disposizione, possono comunque spendere più degli altri, con l’hard cap le sopracitate sarebbero sullo stesso piano di quasi tutti gli altri team World Tour.

A braccetto con l’hard cap, inoltre, va uno strumento chiamato franchise tag, che consiste nella possibilità di una franchigia di scegliere uno dei suoi giocatori in scadenza di contratto e levarlo dal mercato, a patto di garantirgli uno stipendio pari alla media dei cinque più alti della squadra nel suo stesso ruolo. Ora, per applicarlo al ciclismo andrebbe pensato in maniera ovviamente diversa e non è detto che possa essere efficace. Però, di base, il concetto di franchise tag avrebbe senso anche nel sistema ciclismo. Immaginatevi che Gianni Savio abbia la possibilità di levare Egan Bernal dal mercato e tenerlo nella sua squadra: questo non potrebbe invogliare sponsor importanti a investire nel team del Principe?

Venendo alle conclusioni, dunque, abbiamo due sistemi diversi che tuttavia potrebbero portare entrambi benefici al ciclismo. Da un lato la luxury tax non permette una reale parità di livello tra i team, ma diminuirebbe, seppure solo in parte, la forbice tra grandi e piccoli team e consentirebbe a quest’ultimi di avere delle entrate. Dall’altro l’hard cap, invece, metterebbe almeno grossa parte dei team World Tour sullo stesso livello, ma risulterebbe più efficace se inserito insieme ad altri provvedimenti, come il premio di valorizzazione e le squadre con contingente da sei a gara, di cui parleremo più avanti.

 

Foto in evidenza: ©Aivlis Photography