Un artigiano in bicicletta: intervista a Nicola Bagioli

Anche giù dalla bicicletta, Nicola Bagioli ha trovato la sua dimensione.

 

 

Un opuscolo trovato in rete recita: “Lanzada è l’unico comune della Lombardia la cui altitudine massima supera i 4.000 metri sul livello del mare“. Alpi, picchi innevati al confine con la Svizzera, invasi, una florida “attività mineraria che ha permeato nei secoli passati la cultura delle comunità locali“, prosegue il dépliant informativo. Ingredienti da usare per scrivere leggende ambientate in alta montagna.

Lanzada, il centro di questo nostro racconto, è uno dei comuni in cui è suddivisa la Valmalenco, provincia di Sondrio. Da Lanzada arriva Nicola Bagioli, il protagonista di questa storia. Di mestiere fa il ciclista, ma, come vedremo, non solo.

Nicola Bagioli è un plasmatore: non è un semplice modo di dire. Bagioli è un vero e proprio artigiano tramutato in corridore. Nel suo sangue scorre la velocità e l’ebbrezza che si prova a correre in bicicletta, ma anche la precisione, l’eclettismo e il metodo, fondamentali per approcciare una qualsiasi arte. Ha quasi venticinque anni, è professionista dal 2017 e corre con la Androni Giocattoli.

Le sue idee sono chiare: nel mondo del ciclismo si vede come scattista, adatto alle salite brevi, ma dotato di spunto veloce; più da corse di un giorno – gli piacerebbe un giorno vincere l’Amstel Gold Race – che da gare a tappe. Sceso dalla bicicletta, però, Nicola Bagioli svolge un’attività che con il ciclismo non c’entra nulla: fa il laveggiaio. Visto da fuori rientra quasi nello straordinario, da farti restare a bocca aperta, ma Bagioli, cresciuto con i racconti di suo e di sua nonna Ancilla su come nascevano i lavéc, risulta il normale discendente di una famiglia di tornitori.

Tra fine ottocento e primi del novecento, Ludovico Bagioli inizia a lavorare la pietra ollare. D’altra parte la Valmalenco è uno dei centri nevralgici per l’estrazione di questo materiale. La sua passione viene tramandata, e uno dei suoi successori, Renzo, insieme al figlio Roberto, porta avanti la tradizione foggiando i lavéc, i laveggi, le tipiche pentole in uso in tutte le case dell’arco alpino. Ricercano la roccia adatta e poi, con un tornio elettrico, in un piccolo laboratorio di Ganda torniscono e rilegano il materiale che una volta finito è pronto per l’uso.

Nicola Bagioli, ciclista, riprende in mano l’attività interrotta trent’anni prima. Suo padre Roberto, infatti, alla morte del nonno abbandonò quella particolare manifattura per compiere il destino verso cui la maggior parte delle persone della zona erano portati: lavorare in miniera.

©Nicola Bagioli, Twitter

Poco prima del giro d’Italia del 2019, Nicola Bagioli si stava allenando vicino casa; dentro di lui divampavano le speranze che si portano appresso i giovani arrembanti e a proprio agio su una bicicletta da corsa, lui che prima di conoscere il ciclismo su strada correva in mountain bike. Aveva percorso la prima parte di stagione disputando settimane a un buon livello con l’obiettivo di arrivare alla corsa rosa nella giusta condizione, per poi riuscire a coronare il sua sogno: «Vincere una tappa al Giro». Ovviamente. Il destino si butta di traverso e prende le sembianze di un’auto che non rispetta lo stop e lo centra in pieno: quel giorno rischiò di essergli fatale.

Lui cerca in tutti i modi di recuperare dall’infortunio causato da quell’impatto, e in parte ci riesce, ostico come quei serpenti che da sempre lo attraggono. «Fin da bambino mi sono sempre piaciuti i rettili e gli anfibi», raccontava tempo fa su Tuttobici. «Studiarli mi affascinava come idea: una volta in una tappa al Tour of Utah del 2016 vidi un serpente a sonagli praticamente morto: era stato schiacciato da una macchina. Mi sono fermato e gli ho staccato il sonaglio. Era un souvenir così raro che non potevo lasciarmelo sfuggire».

Duro come la roccia estratta nelle sue zone e ambizioso come un picco che osserva dall’alto Svizzera e Lombardia, dopo l’incidente riparte dal Tour of Alps. «Ma è stato tutto un rincorrere, avevo male alla schiena e alla gamba». Bagioli viene ugualmente schierato al Giro d’Italia, nonostante una forma approssimativa. «Quella corsa è stata la mia più grande amarezza sportiva. Non andavo avanti, avevo dolori alla schiena lancinanti, e in più mi sono preso una bronchite: ho tenuto duro, ma mi sono dovuto ritirare». Da quel Giro d’Italia, fino a settembre, non ne può sapere di salire in bici. « Non riuscivo a trovare nessuno che mi guarisse» racconta. Giunge il momento di trovare ispirazione guardando dentro di sé per riprendere in mano il proprio destino.

«A un certo punto mi sono chiesto come e quando sarei tornato su una bici da corsa. Dovevo pensare al mio futuro» ci spiega. Nicola Bagioli decide così di rimettere in funzione quel tornio rimasto fermo per trent’anni; crea la sua attività e gli dà un nome: “Lavéc – Pietra Ollare”. D’altra parte, dentro scorre sangue Bagioli, incollato come pasta di resina a un destino dal quale nemmeno lui ha mai avuto intenzione di sfuggire. «Mi piace questo lavoro, mi realizza, mi dà calma e la possibilità di staccare dalla vita da atleta: cerco di portare avanti quest’attività insieme a quella del ciclista professionista». Quella da vita da corridore che condivide con un fratello più giovane che avrà la sua occasione nel World Tour, in una delle squadre più importanti del mondo. «Andrea è stato bravo e fortunato a cogliere l’occasione».

Nicola Bagioli è una roccia spugnosa: è il suo retaggio, il suo bagaglio culturale. Come ha preso dalla sua famiglia la passione per i lavéc, così in gruppo cerca di captare qualcosa da tutti i colleghi più esperti. «Non riuscirei a fare un nome di un corridore che mi piace più di un altro: da ognuno c’è qualcosa da imparare». Pensa che la multidisciplina sia fondamentale perché «impari a guidare la bici, fai gare più brevi ma sforzi più intensi e abitui il fisco a stare fuori soglia: è fondamentale per un corridore avere quella base», e risulta teneramente banale come un qualsiasi ragazzo della sua età quando ci dà qualche impressione su se stesso e sul ciclismo. «Sono testardo. La bici è fatica, viaggiare da corridore è stressante. Voglio ottenere i migliori risultati possibili per me e per la squadra». Per quello che fa, che crea, che plasma a mano e sui pedali, chiuso nel suo laboratorio o all’aria aperta sulla sua Bottecchia rossa è già un tipo originale così: un artigiano in bicicletta non si sente tutti i giorni.

 

 

Immagine in evidenza: ©Team Androni Giocattoli, Twitter

Alessandro Autieri

Alessandro Autieri

Webmaster, Fondatore e direttore editoriale di Suiveur. Doppia di due lustri in vecchiaia i suoi compagni di viaggio e vorrebbe avere tempo per scrivere di più. Pensa che Mathieu Van der Poel e Wout Van Aert siano la cosa migliore successa al ciclismo da tanti anni a questa parte.