Alla Strade Bianche 2020 trionfano van Aert e van Vleuten.

 

Cosa sono sessanta chilometri di sterrato? Cos’è Monte Sante Marie, undicimilacinquecento metri di ghiaia e polvere, il tratto più impegnativo e dove anche quest’anno, almeno in parte, s’è decisa la Strade Bianche? Ecco cos’è il ciclismo, ecco qual è il potere di una corsa naturalmente potente: uomini stremati, indecisi se usare l’acqua per bere, raffreddarsi o sciacquarsi; talenti cristallini come Nibali, van der Poel, Sagan e Alaphilippe liquefatti, sciolti e fusi in un’amalgama di sfortuna, caldo e fatica. Siena è un miraggio, s’allontana e s’avvicina, la corsa la corteggia ma lei si diverte ad ingannare.

Il paesaggio, per chi non lo conosce, è magnifico e indistinguibile, fatto di colline, sentieri e borghi. A metà tra il grottesco di Buzzati e l’assurdo di Fellini, paesaggi allucinati che fanno riemergere ricordi d’infanzia, a tratti l’impressione d’aver sbagliato strada, d’essersi smarriti nel nulla più assoluto. C’è qualcosa del sogno, nelle terre senesi, persino dell’incubo: ma in fondo cos’è un sogno ricorrente, se non un incubo? Più che crete si dovrebbe parlare di crepe: nell’asfalto, nella terra, nelle labbra dei corridori, che mordono l’aria in cerca di un attimo di respiro che non può arrivare – e che, se arriva, è caldo e pulviscolare. Statue di polvere pronte a sgretolarsi quando l’incantesimo – o la maledizione – finisce, statue di polvere che si dissolvono non appena arrivano in Piazza del Campo: una bottiglietta d’acqua e una doccia sono la loro mezzanotte.

Piazza del Campo, essendo sgombra di tifosi e accogliendo soltanto gli addetti ai lavori, sembra un cantiere. A pensarci bene questo è la Strade Bianche 2020, un cantiere che lavora affinché il ciclismo possa ripartire. Per ripartire è ripartito, anche se si continua a vivere alla giornata e i dubbi superano di gran lunga le certezze. L’unica certezza, in questa strana edizione agostana, era la polvere. Ognuno l’ha interpretata a modo suo. Mavi Garcia, ad esempio, sperava che quella coltre che si alzava al suo passaggio fosse sufficiente per renderla invisibile e irraggiungibile. Ad un certo punto, da quella nube, ha visto uscire la van Vleuten, che la polvere l’ha usata come diversivo per il suo personalissimo gioco di prestigio: le è riuscito alla grande. I vincitori morali non esistono, è una categoria terribile, ma oggi Mavi Garcia merita un applauso lungo e caloroso tanto quanto quello che merita van Vleuten.

Pellaud, invece, l’animatore della prima parte della Strade Bianche maschile, con la polvere ci ha giocato: gli è servita per divertirsi, visto che ha dichiarato più volte di pedalare per passione e non per soldi, e per iniziare a guadagnarsi il prossimo contratto, lui che per mancanza di talento non può far altro che andare in fuga e sperare di durare il più possibile. Qualche anno fa la squadra in cui militava chiuse i battenti, lui rimase appiedato e fu costretto a sbarcare il lunario in formazioni di secondo piano che lo pagavano poco e in ritardo. Adesso vive in Colombia, se n’è innamorato e si è costruito una casa laggiù.

Van Aert, infine, della polvere aveva conosciuto il fratello maggiore, il fango. Nel ciclocross, certo, ma anche alla Strade Bianche di due anni fa, quella dell’esordio, quando arrivò terzo e svuotato. Se fosse stato un cavallo lo avrebbero eliminato sul posto, data l’inutilità degli arti inferiori. Un anno fa le sue lacrime evaporavano sull’asfalto del Tour de France, un brutto incidente e una gamba squarciata; oggi pare che non ne abbia versata nemmeno una. Tutto sommato è stata proprio una bella ripartenza: Formolo e Schachmann non devono aver rimpianti, van Aert era il più forte; Bettiol, quarto, ha persino trovato il buongusto di salutare il pochissimo pubblico presente. Ma il domani dell’oggi non si cura, o perlomeno non nel ciclismo: quel che è stato oggi, domani non avrà nessun valore. Polvere sei, insomma, e polvere ritornerai.

 

Foto in evidenza: ©Strade Bianche, Twitter

Davide Bernardini

Davide Bernardini

Fondatore e direttore editoriale di Suiveur. È nato nel 1994 e momentaneamente tenta di far andare d'accordo studi universitari e giornalismo. Collabora con la Compagnia Editoriale di Sergio Neri e reputa "Dal pavé allo Stelvio", sua creatura, una realtà interessante ma incompleta.