L’uomo che aveva tutte le risposte

Thomas De Gendt vince alla sua maniera mentre Alaphilippe torna in giallo.

 

 

1434 anni dopo si riunisce il sinodo di Mâcon. Le questioni sulle quali disquisire sono sostanzialmente tre: chi comporrà la fuga di giornata? Riusciranno i velocisti a rimanere con gli scattisti e gli scalatori? Proverà Julian Alaphilippe a guadagnare l’abbuono in cima all’ultima salita di giornata e a vincere la tappa per riprendere la maglia gialla dalle spalle di Giulio Ciccone? Quando il sinodo – concilio è un sinonimo valido ma non in questo caso, concilio di Mâcon risulta essere infatti una dicitura errata – si riunì per la prima volta era il 585 e al posto di corridori e appassionati di sport c’erano prelati ed esponenti della Chiesa francese. Pare che s’interrogassero sulle possibilità della donna di possedere un’anima e se il termine latino “homo” presente nella Bibbia si riferisse al genere umano oppure al maschio. I problemi del Tour de France non sono così importanti – nemmeno così agghiaccianti, se è per questo – ma valgono la pena d’essere sviscerati.

Chissà se il prefisso “de” nel cognome è più belga o più italiano: sicuramente porta bene per centrare le fughe nelle corse di ciclismo, dato che De Gendt e De Marchi ne fanno parte spesso e volentieri – e con ottimi risultati, peraltro. Oltre a loro ci sono Terpstra e King, ma sono due comparse: il primo è troppo legato al pavé per fare bene su altri territori, mentre il secondo condivide con gli altri tre soltanto la passione dell’attacco – e la maledizione, perché se i fuggitivi potessero vincere restando in gruppo lo farebbero. De Gendt aspetta De Marchi anche quando quest’ultimo, per scansare un tombino, taglia male la curva e per poco non si schianta su una transenna; il belga sa che vincere una tappa al Tour de France è un sogno talmente grande da risultare insostenibile per un paio di gambe e basta: meglio essere in due, anche se questo aumenta il rischio di perderla. Per azzerarlo, a De Gendt viene in mente l’idea più semplice del mondo: accelerare sull’ultimo strappo a disposizione e sperare che De Marchi creda nello stesso sogno un po’ meno di De Gendt. Quando arriva sul traguardo, il belga simula stupore, ma in realtà aveva già capito tutto: Thomas De Gendt è l’uomo che aveva tutte le risposte.

Sapeva, ad esempio, che nessuno dei velocisti poteva dirsi talmente sicuro nei propri mezzi da rincorrere la fuga per tutto il giorno; e infatti nei primi dieci ci sono Matthews, Sagan e Trentin ma le loro squadre hanno tirato soltanto a sprazzi, mai con efficace regolarità. Nessuna traccia degli altri, da Viviani a Ewan, da Colbrelli a Groenewegen, da Nizzolo a Kristoff. Se De Gendt non fosse stato davanti, avrebbe potuto osservare il macabro spettacolo offerto da Greipel nel tentativo di non mollare la coda del gruppo: boccheggiava e dava di spalle, più che un corridore volitivo sembrava un mostro inghiottito dalla lava. De Gendt, tuttavia, sapeva anche che Alaphilippe si sarebbe mosso sull’ultima salita di giornata, per questo lui ha anticipato i tempi seminando De Marchi fin da subito. Magari De Gendt non immaginava che si sarebbe mosso anche Pinot, ma cosa volete voi che importi a De Gendt della classifica generale di una corsa a tappe, breve o lunga che sia, e delle lotte intestine che la regolano. La guerra è lontana dalla fine, ma la battaglia di oggi ha premiato una volta di più la classe e l’acume tattico di Alaphilippe, che non ha vinto per il semplice motivo che davanti a lui c’era il corridore più difficile da rimontare al termine di una tappa simile.

Ciccone può consolarsi col gelato che gli hanno dedicato a Brecciarola, il paese dove risiedono i genitori, mentre al Tour de France comincia a fare sempre più caldo. Thomas e Bardet devono accontentarsi di non aver perso niente: la tappa del primo e la stagione del secondo, d’altronde, si erano messe piuttosto male. Pinot, famoso per l’innumerevole quantità di attacchi scriteriati e andati male, ha di che gioire: in una frazione che non lo chiamava allo scoperto, ha seguito le ruote del favorito di giornata e il blitz gli ha fruttato una ventina di secondi abbondanti. Chi non poteva contare su delle risposte, invece, era Vincenzo Nibali, venuto al Tour de France proprio per trovarle. Non ha dovuto cercare poi così tanto: gli è bastato defilarsi in un tratto impegnativo in salita, dare retta a corpo e anima e raggiungere Saint-Étienne in totale letizia con Alberto Bettiol. Il toscano rideva: se lo può permettere, essendo consapevole della nuova dimensione in cui è entrato e dell’età che gli sorride; anche Nibali rideva: se lo può permettere anche lui, anzi, forse non c’è nessun corridore che può permetterselo con la stessa leggerezza. Perché forse in molti dimenticano che Nibali non aveva risposte soprattutto perché non gli interessava porsi domande; e questa condizione di privilegiato, di uomo che può vivere in pace con se stesso pur rifiutando qualsiasi quesito, Vincenzo Nibali se l’è guadagnata rispondendo sulla strada per un decennio abbondante.

 

 

Foto in evidenza: ©Le Tour de France UK, Twitter

Davide Bernardini

Davide Bernardini

Fondatore e direttore editoriale di Suiveur. È nato nel 1994 e momentaneamente tenta di far andare d'accordo studi universitari e giornalismo. Collabora con la Compagnia Editoriale di Sergio Neri e reputa "Dal pavé allo Stelvio", sua creatura, una realtà interessante ma incompleta.