Perché parliamo sempre di spettacolo, favoriti e doping e mai di sicurezza?

 

Ogni corsa di ciclismo è anche una scusa per mostrare altro: sponsor, storie, paesaggi. Che sia Tour de France o una qualsiasi altra gara del calendario, si sta correndo la corsa più bella del mondo nel paese più bello del mondo. La Tirreno-Adriatico non esce certo da questo binario. E per quanto di parte, la reputiamo una scelta condivisibile: non ci si stanca mai di vedere e far vedere l’Italia in tutta la sua diversità. Le regioni centrali, tra colline e borghi, riempiono gli occhi. Il problema è che è inutile utilizzare come sfondo un territorio stupendo se le strade che consentono di conoscerlo da vicino sono sporche, dissestate e pericolose.

Nel corso della quarta tappa da Foligno a Fossombrone la stessa Rai ha sottolineato in diretta il pessimo stato in cui versava il percorso attraversato dalla corsa. Poco prima che questa s’incendiasse, un tortuoso tratto in discesa ha eliminato Tony Martin, Laurens De Plus e Ian Boswell. Quando Marco Saligari ha preso la parola ha prontamente segnalato la presenza di ghiaia proprio in curva. Le conseguenze sono state evidenti: De Plus ha perso la maglia bianca di miglior giovane, Boswell è stato portato in ospedale e tenuto in osservazione per una forte commozione cerebrale (e le immagini, in un primo momento, avevano fatto temere il peggio). Pochi minuti più tardi è stato Davide Cassani, ospite per un pomeriggio, a evidenziare le pietose condizioni dell’asfalto nell’ultima parte della salita del Colle dei Cappuccini. Toppe, cerotti e pezze: fino a poco tempo fa si diceva che il Giro d’Italia passava e asfaltava. Ultimamente persino il Giro d’Italia ha smesso di asfaltare.

La frenesia con la quale viene interpretato il ciclismo odierno non aiuta, va detto. La difficoltà di selezionare il gruppo in salita si riversa sui tratti in pianura, imboccati come se non ci fosse un domani e divorati a cento all’ora nella speranza che le tossine e lo stress facciano saltare qualche nervo. Un approccio di questo tipo non contribuisce a una sicurezza solida e diffusa. Così come non aiuta l’elevato numero di partecipanti, che in linea di massima si aggira sui duecento scarsi. Gli organizzatori e le autorità locali non possono però permettersi di nascondere distrazioni, mancanze e negligenze dietro gli errori del gruppo o le dinamiche di gara. La Tirreno-Adriatico ha pedalato su strade orribili e questo è inaccettabile.

La sensazione è che la sicurezza dei corridori venga data per scontata. Saper guidare il mezzo è un loro dovere e in fondo non succede mai niente, non dicono ma pensano in molti. Prima o poi, però, qualcuno si fa male sul serio e la sveglia che ci desta dal sonno ha il fragore di un tuono. Un ciclista non è pagato per rischiare la vita, per dare spettacolo o dispensare emozioni a chi lo incita da bordo strada o dal divano di casa. Come ogni lavoratore deve essere messo nelle condizioni ottimali per svolgere al meglio e con un rischio prossimo allo zero il proprio mestiere. E poco importa appellarsi alla nostalgia per il passato. Gli atleti che hanno corso sullo sterrato avrebbero di gran lunga preferito correre sull’asfalto: non erano eroi, semplicemente si adattavano. Pedalavano dove potevano e come potevano, e se avessero potuto scegliere avrebbero scelto ben altro. Ci rendiamo conto che fare i conti coi soldi altrui sarebbe superficiale, quindi non intendiamo impartire lezioni a nessuno: scriviamo, però, che è inaccettabile che un gruppo di quasi duecento ragazzi debba percorrere delle strade conciate così male. Non se lo meritano, e in ballo non c’è una vittoria di tappa.

 

Foto in evidenza: ©Tirreno-Adriatico, Twitter

Davide Bernardini

Davide Bernardini

Fondatore e direttore editoriale di Suiveur. È nato nel 1994 e momentaneamente tenta di far andare d'accordo studi universitari e giornalismo. Collabora con la Compagnia Editoriale di Sergio Neri e reputa "Dal pavé allo Stelvio", sua creatura, una realtà interessante ma incompleta.