Da un po’ di tempo Vakoč vede la vita in modo diverso

 

Da Praga a Nelspruit ci sono oltre diecimila chilometri. Una distanza che un ciclista professionista ricopre mediamente in qualche mese di allenamento o che può percorrere disputando tre grandi giri in una sola stagione. Chissà se Petr Vakoč aveva questa immagine in testa mentre in un letto d’ospedale cercava di capire cosa ne sarebbe stato del suo futuro come corridore e come uomo.

Il 26 gennaio del 2018 tre corridori della Quick-Step in ritiro in Sudafrica si stanno allenando sulle polverose strade di montagna intorno a Nelspruit, per iniziare al meglio la stagione. Vakoč e De Plus vengono urtati da un camion; distrazione, poca disciplina, sfortuna o fatalità, non importa: chi va in bicicletta al giorno d’oggi è come se fosse esposto ad una logorante guerra di posizione. Jungels, che in quel momento si era leggermente attardato dalla coppia davanti, descrive quel momento come una lama che all’improvviso taglia in due lo schermo di un cinema. La dinamica è incerta e le immagini annebbiate come un nastro analogico rovinato dalle polvere e dall’umidità; di sicure ci sono solo le conseguenze. Il belga davanti viene colpito e sbalzato a terra, se la cava – si fa per dire – con una frattura del bacino e una contusione polmonare: tornerà in bici poche settimane dopo perché l’idea che si ha del ciclista è quella di un oplita inscalfibile capace di rialzarsi sempre e De Plus, che a ottobre aveva avuto un grave incidente in corsa a Il Lombardia, sembra un caratterista ritagliato perfettamente per questo ruolo. Non è retorica, è l’esatta istantanea del loro mestiere.

In allenamento poco tempo prima dell’incidente @twitter Petr Vakoč

Petr Vakoč ha la peggio e di rialzarsi non se ne parla. Perde conoscenza per qualche attimo lungo come una notte senza fine e quando si risveglia è steso sull’asfalto a fissare Jungels negli occhi e a domandare cosa fosse successo a De Plus, nemmeno fossero in salita ad aspettare un capitano in difficoltà. Si ritrova con il terrore del vuoto, come dopo un incubo quando i sensi confondono ancora la testa e mescolano realtà e finzione. Non sente le gambe, lo trasportano in ospedale imbottito di antidolorifici. Un mix letale che avrebbe steso anche il più forte degli uomini scolpito con l’accetta, ma lui ha cuore e tempra; se il suo corpo ha provato a spezzarsi e porre fine alla sua vita, dentro reagisce come un villaggio ricostruito dopo un terremoto. Resta sempre cosciente nonostante la gravità dei danni: sei vertebre fratturate. Diverse operazioni riducono l’ex campione ceco su strada ad una tela da pittura rovinata e pronta per essere stracciata e gettata via. Per i primi mesi è difficile immaginare cosa sarebbe stata la sua vita da corridore e qualcuno storce il naso pure all’idea di rivederlo in piedi.

Quando viene trasportato dopo qualche settimana dal Sudafrica in Repubblica Ceca (“Scelsi Praga, per stare vicino alla mia famiglia, in aereo sembrò di vivere un film horror, non ero io, ed ero trascinato come un sacco di patate sopra un carro”), Vakoč non può distendersi sul letto, né può pensare di alzarsi in piedi. Tornare a correre in bicicletta poi, è come il sogno di un adolescente appassionato di fantascienza negli anni ’60 che immagina un pianeta lontano in un universo sconosciuto. Un impianto metallico gli ricostruisce una delle vertebre polverizzate a causa dell’incidente; operazioni, riabilitazione sono le nuove parole del vocabolario di Vakoč e che vanno a sostituire grandi classiche, grandi giri e vento in faccia.

Petr Vakoč  continuerà a seguire le corse prima in televisione, e poi, non appena avrà l’ok dei medici, da spettatore in corsa: “Appena ho avuto la possibilità di viaggiare nuovamente, la prima cosa che ho fatto è stata seguire i miei compagni al Giro d’Italia. Se c’è una cosa che mi mancava delle corse, era il ronzio delle biciclette, le urla degli spettatori a bordo strada, quel calore che ti trapassa le orecchie e sembra cuocerti il cervello. Ho seguito un’intera tappa in ammiraglia: ero come un bambino a una gita premio”. Come si fa a pensare di mollare questo mondo? I dubbi che provano ad affossarlo sono molti: “L’affetto dei miei compagni di squadra, il coinvolgimento nelle loro vittorie, fu uno degli ingredienti che mi fecero andare avanti nei momenti, tanti, di buio profondo”.

In borghese al Giro 2018, Vakoč si fa una foto con un suo compagno di squadra, come un tifoso qualunque: “Vedere le corse da fuori, mi ha fatto capire ancora di più quanto sia bello il ciclismo” Foto: @twitter Petr Vakoč

Va al Tour e assiste al terribile volo di Gilbert che suscita in lui tremendi ricordi, come un reduce di guerra: “La gente si era accalcata di fronte a quel burrone, prima che risalisse sulle sue gambe ho rivissuto attimi di terrore” e poi gioia: “La tappa la vinse Alaphilippe, mio amico e compagno di squadra dai tempi del Team Continental della Quick Step: mi sono commosso, è stato uno dei giorni più incredibili della mia vita”.
Vakoč ha imparato a godere gli attimi, ad apprezzare ciò su cui prima sarebbe sorvolato senza interesse, come un gabbiano sazio su un panino abbandonato sulla spiaggia: “Quello che ti succede in questi casi ti cambia, mi ha cambiato, mi ha portato a godere delle piccole cose della vita, a stare vicino alla mia famiglia e a capirne l’importanza”.

Dopo il Tour vissuto da spettatore è convinto di poter rientrare in bicicletta per fine stagione, si allena duramente senza fare confronti col passato e per buttarsi alle spalle quelle visioni che a volte sono vive come un incubo durante la notte, ma un problema alla gamba sinistra fa saltare i suoi piani. A fine stagione scade il suo contratto, Lefevere glielo rinnova e con Vakoč  inizia a stilare un programma graduale di rientro alle corse. A novembre lancia così il progetto Petr Vakoc 100, come i giorni che lo separano alla prima gara ufficiale della sua nuova carriera. Non ha intenzione di vivacchiare, conosce bene la chance che gli sono state donate e ha intenzione di ritornare a pedalare forte con il pensiero alle grandi classiche ardennesi,e magari aiutare i capitani nei grandi giri o sul pavé, lui uomo completo, ma che in carriera non ha ancora realizzato il passo verso la consacrazione. Ammettendo che, dopo qualche vittoria di spessore e piazzamenti importanti nelle stagioni precedenti, difficilmente potrà tornare sui livelli che aveva dimostrato per via di qualche segno lasciato dall’incidente: “Ho un problema alla gamba sinistra a causa della lacerazione di un tendine”.

I punti di vista sono la chiave di lettura per cogliere al meglio le sfumature della nostra esistenza, per comprendere le sfaccettature di cui ogni individuo è composto. Anche se la gente continua a ripetergli il contrario, Petr Vakoč pensa che fino a oggi nella sua vita è stato fortunato: “Ho rischiato di morire, poi di non camminare più, poi di non salire più su una bicicletta, ora mi riattaccherò un numero sulla maglia e parteciperò alla prima corsa, se non è fortuna questa”.

Fra pochi giorni Vakoč tornerà in sella per la prima gara ufficiale dopo l’incidente e per lui ripetere quei gesti, sentire il vento in faccia, l’odore dell’asfalto bagnato dalla pioggia o arso dal sole, il mutare dei paesaggi ad ogni sguardo e pedalata sarà come una vittoria. Sarà il suo nuovo punto di vista verso la sua nuova vita.

Immagine di copertina da Flickr @sumofmarc: Vakoc in maglia di campione ceco guida il gruppo.

Alessandro Autieri

Alessandro Autieri

Webmaster, Fondatore e direttore editoriale di Suiveur. Doppia di due lustri in vecchiaia i suoi compagni di viaggio e vorrebbe avere tempo per scrivere di più. Pensa che Mathieu Van der Poel e Wout Van Aert siano la cosa migliore successa al ciclismo da tanti anni a questa parte.