Giovanni Brunero, storia di un antieroe

La guerra e un male incurabile hanno irrimediabilmente segnato Giovanni Brunero.

 

 

Giovanni Brunero è stato un fuoriclasse capace di unire umiltà e cinismo come pochi altri nella storia. D’altronde, nel corso della sua carriera, si è dovuto confrontare con una delle migliori generazioni partorite dal ciclismo italiano. I suoi avversari si chiamavano Costante Girardengo, Gaetano Belloni e Alfredo Binda. Nonostante ciò, però, il suo palmarès è ricco di successi d’alto rango.

Rispetto ai tre rivali sopraccitati, coi quali forma quello che potremmo definire il poker d’assi del ciclismo italiano degli anni ’20, era quello con le caratteristiche più marcate. Nasce grimpeur e la montagna rimarrà per sempre il suo terreno d’elezione, anche se negli anni riuscirà a evolversi migliorando notevolmente sul passo. Non era veloce come Girardengo e Belloni, né era travolgente su ogni terreno come Binda. Però quando si alzava sui pedali in salita rendeva un inferno l’esistenza di chiunque si trovasse alla sua ruota.

Brunero sapeva sovente farsi trovare al posto giusto nel momento giusto. E per questo qualcuno gliene ha anche fatto una colpa. Verosimilmente pagava, agli occhi di molti e soprattutto della stampa, l’essere meno personaggio dei suoi contemporanei. Giovanni era un uomo di poche parole, un introverso. Non aveva praticamente nulla in comune con il vivace Girardengo o con l’idolo del pubblico femminile Belloni.

©David Guénel, Twitter

Probabilmente questo suo saper vestire con abilità magistrale i panni dell’avvoltoio era dovuto al fatto che la sua carriera iniziò particolarmente tardi. Nato il 4 ottobre del 1985, a neanche diciotto anni Brunero è uno dei dilettanti più quotati del Piemonte. Nel dicembre del 1915, però, viene inviato al fronte con il Quinto Reggimento dei bersaglieri ciclisti.

Il congedo arriverà solo a guerra praticamente finita, nell’autunno del 1918. Quando torna dal conflitto globale, inoltre, Giovanni scopre che ambedue i suoi genitori non ci sono più. Un dramma che lo segna per sempre. Dietro quella maschera di uomo taciturno si nasconde una ferita che mai si rimarginerà. Ad appena ventitré anni, Brunero e il fratello Ettore Francesco, anch’egli sopravvissuto alle ostilità mondiali, restano soli.

Riprende l’attività come ciclista, ovviamente dilettante, nel 1919. Nel frattempo lavora anche come meccanico. Nonostante gli anni passati a combattere al fronte, Brunero impiega poco tempo a ritrovare il colpo di pedale. In quella stagione conquista sia l’ambita Coppa del Re che il campionato nazionale di categoria. Risultati che non passano inosservati e convincono la Legnano a dargli una chance nel professionismo.

Brunero parla poco, ma nel ciclismo dei grandi non entra certamente in punta di piedi. Alla Milano-Sanremo 1920 è già protagonista. In cima al Capo Berta solo cinque uomini restano in testa alla corsa. Giovanni è uno di questi. Con lui ci sono i nomi di spicco del mondo delle due ruote: Belloni, Girardengo, Henri Pélissier e Giuseppe Azzini. La gara, purtroppo per lui, però, si decide allo sprint. La volata non è il fondamentale migliore del piemontese e infatti deve accontentarsi di un comunque lusinghiero quinto posto.

In estate, oltretutto, arriva anche il primo successo da professionista. Il 21 agosto 1920, infatti, Brunero vince il Giro dell’Emilia. Il piemontese sulla salita della Masera dà sfoggio delle sue grandi doti di grimpeur. Si alza sui pedali e uno ad uno sfianca tutti i rivali. Financo Belloni e Girardengo devono cedere il passo. Giovanni, autore di una danza devastante su quella ripida erta, vince con ben 8′ di vantaggio sul Campionissimo di Novi Ligure.

©Germán Bouso, Twitter

Due mesi e mezzo più tardi Brunero partecipa anche al suo primo Lombardia ed è uno dei più forti. Sul Brinzio resta con i migliori ma successivamente fora, e Belloni e Pélissier lo attaccano. Sul Ghisallo, tuttavia, si lancia in una portentosa rimonta. Sulle rampe della salita simbolo della Classica delle Foglie Morte, il piemontese si produce in una delle sue progressioni e va a riprendere la testa della corsa composta da Pélissier, Belloni e dal francese Louis Luguet.

A 40 chilometri dall’arrivo buca anche Luguet e così davanti restano in tre. A 12 chilometri dalla meta, invece, è Belloni a forare. Brunero fiuta l’occasione e scatta con foga. Troppa foga. Mentre scatena la sua offensiva gli cade la catena e il più esperto Pélissier lo trafigge in contropiede. Giovanni deve accontentarsi della piazza d’onore. Quel giorno, però, impara una lezione importante che gli tornerà utile in futuro.

Se il 1920 è la stagione che rivela al grande pubblico il talento di Brunero, il 1921 è quella che lo consacra. Il piemontese è grandissimo protagonista già alla Milano-Sanremo. Nella Classicissima Giovanni va all’attacco insieme a Girardengo sui Piani d’Ivrea. I due vanno via portando con sé un gregario a testa, Sivocci per l’alfiere della Legnano e Azzini per l’Omino di Novi. Arrivati sul Capo Berta, i due capitani restano soli sotto l’impulso del nuovo forcing di Costante.

Le salite della Sanremo sono un po’ troppo dolci per Brunero, il quale si deve limitare a rispondere ai colpi di Girardengo. Giunti alla volata il Campionissimo ha vita facile. Il capitano della Legnano prova ad anticiparlo, ma ai centocinquanta metri dalla meta l’Omino di Novi lo supera e vince con una decina di metri di vantaggio. Le lacune allo sprint saranno la croce di Giovanni per tutta l’annata. Il piemontese, infatti, perde in questo modo anche il Giro dell’Emilia sempre per mano di Girardengo, e la Milano-Torino, ove a beffarlo invece è Federico Gay.

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Il 25 maggio 1921 Brunero si presenta alla partenza della nona edizione del Giro d’Italia. I grandi favoriti sono Costante Girardengo, vincitore nel 1919, e Gaetano Belloni, campione in carica. Il piemontese è uno dei tanti ad ambire al ruolo di terzo incomodo. La Corsa Rosa inizia nel segno dell’Omino di Novi, il quale conquista le prime quattro tappe regolando allo sprint gruppetti più o meno numerosi. Brunero lascia per strada poco più di un minuto nella seconda frazione, mentre nelle altre tre arriva coi primi.

Dopo i primi quattro giorni di gara, il piemontese si trova in decima posizione in classifica generale. Ha 1’18” di distacco da Girardengo, il quale occupa la prima piazza in coabitazione con Belloni. Nel corso della quinta frazione, la Chieti-Napoli di 264 chilometri, il Campionissimo cade, si fa male e oltretutto rompe anche la bici. Gli avversari ne approfittano e lo attaccano. Girardengo rimonta in sella, ma il dolore è troppo forte e poco più avanti si ritira. Dopo l’ultima salita di giornata, inoltre, restano in tre nell’avanguardia del plotone: Belloni, Brunero e Bartolomeo Aymo. Tano fulmina proprio Giovanni in volata e conquista tappa e maglia.

Il dì seguente, nella Napoli-Roma di 299 chilometri vinta da Luigi Annoni, Brunero è nuovamente secondo e guadagna 7″ su Belloni. Soprattutto, però, Bartolomeo Aymo, alla mattina secondo ad appena 6″ dal leader, lascia per strada 3’41”. All’indomani, nella Roma-Livorno di 341 chilometri, Giovanni completa il sorpasso su Tano. Il piemontese attacca e stacca tutti. Sul traguardo vince con 2’01” di vantaggio su un gruppetto di sei atleti, regolato da Sivocci, di cui fa parte anche Belloni.

A tre tappe dalla fine, Brunero si trova in testa alla Corsa Rosa con 52″ di margine su Belloni. Tano riesce a staccare il leader nella nona e penultima frazione, nella quale ottiene anche il successo parziale, guadagnandogli 11″. Nel giorno conclusivo va in onda la Torino-Milano di 305 chilometri. Per la prima volta nella storia del Giro si affronta il Ghisallo. Tano attacca a ripetizione, ma Brunero non molla la sua ruota. I due arrivano al traguardo insieme e il cremonese brucia il piemontese, conquistando la sua terza vittoria nell’edizione 1921 del grande giro nostrano. Tuttavia, in classifica generale, per appena 41″ prevale Brunero.

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Mai, all’epoca, si era visto un distacco così contenuto. Nelle edizioni precedenti il secondo era sempre arrivato a più di mezz’ora dal primo. Ancora oggi si dice che Girardengo, senza caduta, avrebbe conquistato quel Giro. Il Campionissimo ha effettivamente fatto man bassa di tutte le frazioni che ha concluso. Ma in nessuna è mai riuscito a staccare tutti gli altri e, anzi, Belloni è sempre arrivato insieme a lui. Brunero, al contrario, è stato l’unico in grado di ottenere un trionfo parziale in solitaria con distacchi consistenti sugli altri. Dunque è assolutamente innegabile che abbia vinto con pieno merito.

Il 1922 è, a livello di risultati, l’annata migliore della carriera di Brunero. Alla Milano-Sanremo i protagonisti sono ancora Giovanni e l’acerrimo rivale Girardengo. I due scollinano Capo Berta insieme a Bartolomeo Aymo, compagno di Giovanni, e ad Adriano Zanaga. Il primo, però, cade, mentre il secondo fora. Così sono nuovamente loro due a giocarsela e ancora una volta la corsa sembra destinata a concludersi allo sprint. L’alfiere della Legnano prova ad anticipare anche stavolta. L’Omino di Novi, ai duecento metri, si accinge a superarlo. Tuttavia tale Segalerba, un addetto alla sicurezza, ha la brillante idea di attraversare la strada proprio in quell’istante.

Brunero, più reattivo, lo scarta. Girardengo, spiazzato, lo centra in pieno. Il Campionissimo frana a terra e Giovanni ha la strada spianata verso la sua prima e unica vittoria nella Classicissima. In questo caso, il torinese non aveva oggettivamente chance. Senza la follia di Segalerba avrebbe vinto Costante. Tuttavia, c’è da dire che il capitano della Legnano era stato sfortunato in precedenza, quando la dea bendata aveva tagliato fuori il compagno Aymo, con il quale avrebbe potuto provare a sfruttare la superiorità numerica.

Giovanni, successivamente, si presenta al Giro d’Italia da campione in carica e inizia alla grande. Nella Milano-Padova di 326 chilometri, che prevede il passaggio sul Colle San Eusebio e sul Pian delle Fugazze, stacca tutti e vince con 15’23” su Gaetano Belloni. Girardengo arriva addirittura a 22’21”. Il giorno seguente il Campionissimo si rifà, conquistando la frazione con arrivo a Portorose battendo allo sprint lo stesso Brunero, Azzini e Aymo. Belloni arriva a 5’21”. Dopo due tappe, il capitano della Legnano guida la classifica generale 21’04” su Belloni e 22’21” su Girardengo.

©David Guénel, Twitter

Tuttavia, nella carovana la polemica impazza. Brunero è accusato di cambio-ruota irregolare nella prima frazione. Inizialmente la giuria decide di squalificarlo, poi lo riammette sub iudice. Alla fine interviene l’UCI, che stabilisce come pena venticinque minuti di malus in classifica generale. Dopo la terza frazione, la Portorose-Bologna di 375 chilometri, Belloni, che ha conquistato anche il successo parziale, è il nuovo leader con 1’15” di vantaggio su Girardengo, 1’16” su Aymo e 3’54” su Brunero.

La Bianchi di Tano e la Maino di Girardengo non accettano la decisione dell’UCI di riammettere Brunero. Così, il giorno successivo, ambedue ritirano la squadra dalla Corsa Rosa. Una follia, dato che entrambi erano ampiamente in corsa per vincere il Giro. La leadership della gara, ad ogni modo, passa nelle mani di Bartolomeo Aymo. Giovanni, tuttavia, nella settima tappa, la Roma-Firenze di 319 chilometri, mette in piedi un altro spettacolo. Attacca da lontano e non lascia scampo ai rivali. Vince con 3’58” sullo stesso Aymo e torna in cima alla classifica generale.

Il piemontese, in seguito, metterà la ciliegina sulla torta nella frazione conclusiva. Nella Torino-Milano di 348 chilometri che prevede i passaggi sulle salite di Santa Maria Maggiore e Monte Olimpino, infatti, la danza letale di Brunero costringe alla resa tutti i rivali. Giovanni stravince la tappa con 5’58” di vantaggio su Aymo, secondo, e 15’23” su Sivocci, terzo. In classifica generale, invece, precede Aymo di 12’29”. Il distacco di tutti gli altri è ben superiore all’ora.

Belloni più di Girardengo ha da recriminare per la decisione della sua squadra. Tano l’anno prima perse per soli 41″ e poteva riuscire a difendere un tesoretto di quasi quattro minuti. Tuttavia, Brunero nel Giro del 1922 tocca punte in salita che mai nessuno aveva nemmeno sfiorato in precedenza nella Corsa Rosa. Nelle tre frazioni più impegnative ha rifilato distacchi enormi a tutti gli altri concorrenti. Il suo successo non fu assolutamente immeritato, anche se il ritiro prematuro dei due rivali principali l’ha sicuramente impoverito.

Il capitano della Legnano suggella il suo splendido 1922 conquistando il Giro della Provincia di Milano B. La gara in questione è una corsa che si divide in due frazioni, una cronocoppie su strada e un’australiana su pista. Brunero vince in tandem con uno dei suoi rivali di sempre, Gaetano Belloni, per una volta prezioso alleato.

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I due tornano avversari nel 1923, ma il grande protagonista dell’annata è un altro: Girardengo. Costante inizia alla grande la stagione vincendo la Milano-Sanremo, dove supera undici corridori allo sprint, tra cui Giovanni che giunge quarto. Successivamente, l’Omino di Novi e Brunero si affrontano al Giro. Il Campionissimo conquista la Corsa Rosa imponendosi su otto dei dieci traguardi in programma. Tuttavia, in classifica generale stacca Brunero di appena 37″. I due si equivalgono in salita, ma Girardengo è capace di guadagnare qualche secondo qua e là nelle tappe con arrivi a ranghi compatti, e soprattutto nella quarta frazione, la Firenze-Roma di 289 chilometri, ne strappa ventuno alla sua nemesi.

Brunero, comunque, si consola vincendo il Giro della Romagna, ove precede il compagno e grande seigiornista Pietro Linari, e il Giro della Provincia di Torino, nel quale gareggia con Girardengo. Infine, impreziosisce il suo 1923 conquistando il Giro di Lombardia. Dire che la gara, per tutto il giorno funestata dal maltempo, inizia nel peggiore dei modi per Brunero. Giovanni, infatti, fora nelle fasi iniziali. Il piemontese si ritrova così costretto a inseguire il plotone dei primi sul Ghisallo in compagnia proprio dell’Omino di Novi, anch’egli trafitto dalla dea bendata prima dell’asperità principe della Classica delle Foglie Morte.

I due, ad ogni modo, riusciranno a riprendere tutti i concorrenti che li precedevano giù dal Ghisallo. In seguito, sull’inedita salita di Marchirolo, mentre l’Omino di Novi si ritrova nuovamente appiedato, Brunero attacca con Ottavio Bottecchia e fa il vuoto. I due arrivano così ai piedi dell’ultima erta di giornata: il Brinzio. Brunero decide di fermarsi per cambiare rapporto prima che la strada inizi a inasprirsi. Bottecchia, invece, temporeggia. Errore fatale, perché così finisce dritto dritto nella ragnatela del più esperto e astuto Giovanni. Quando è Ottavio a scendere di bicicletta, infatti, il leader della Legnano lo attacca e se ne va.

Il veneto subisce il contraccolpo psicologico e va in crisi. Allo scollinamento avrà 2’20” dal battistrada. Girardengo lo segue ad appena 20″. Tuttavia, l’Omino di Novi andrà in crisi poco più avanti, mentre Bottecchia sarà vittima di una foratura. Brunero, al contrario, ha ancora il serbatoio ricco di benzina e vola via. Il piemontese, sotto una pioggia incessante, conquista il suo primo Giro di Lombardia con 18’37” di vantaggio su un plotone regolato da Linari.

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Nel 1924 Brunero non partecipa al Giro d’Italia. In quella stagione le squadre di club decidono di disertare la Corsa Rosa a causa di un contenzioso con l’organizzazione. Vi prenderanno parte solo gli isolati. Il piemontese, allora, si presenta al via del Tour de France per la prima e ultima volta in carriera. Giovanni inizia in sordina, mentre Ottavio Bottecchia domina in lungo e in largo. Nella prima frazione pirenaica, la Bayonne-Bagnères-de-Luchon di 326 chilometri, nella quale si scalano Aubisque, Tourmalet, Aspin e Peyresourde, il veneto, leader della classifica generale sin dal primo giorno, vince con ben 18’58” di margine su Lucien Buysse, secondo. Brunero è settimo a 47’40”.

Il giorno seguente, nella Luchon-Perpignano di 323 chilometri che prevede Ares, Portet d’Aspet, Port e Puymorens, Bottecchia supera in volata la leggenda Philippe Thys e il francese Arsène Alancourt. Brunero è quinto a 3’48”. All’indomani, nella pianeggiante Perpignano-Tolone di 427 chilometri, Brunero giunge secondo e guadagna quasi due minuti su Bottecchia. Oltretutto agguanta anche la terza posizione in classifica generale.

Nella prima frazione alpina, la Nizza-Briançon di 275 chilometri, il piemontese dà spettacolo tra Allos, Vars e Izoard. Stacca tutti e trionfa in solitaria con 51″ di vantaggio su Nicolas Frantz, secondo. Ottavio Bottecchia arriva quarto a 9’55”. Giovanni ha saldamente tra le mani il podio e si può giocare la piazza d’onore con Frantz. Bottecchia dista oltre 45′ ed è irraggiungibile, ma il lussemburghese si trova a circa 4′. Tuttavia nelle ultime tappe si ammala ed è costretto a ritirarsi. Senza quel malanno sarebbe indubbiamente arrivato tra i primi tre a Parigi.

In quella stagione, ad ogni modo, si toglie comunque delle bellissime soddisfazioni. Prima rivince il Giro della Provincia di Milano in tandem con Aymo, dopodiché serve il bis al Giro di Lombardia. Stavolta l’avversario principale nella Classica delle Foglie Morte è il ventiduenne Alfredo Binda. Il Trombettiere di Cittiglio, all’epoca sconosciuto nel belpaese, mette in mostra tutta la sua classe sulla salita del Ghisallo ove divampa e si leva di ruota ogni altro concorrente.

Tuttavia dallo scollinamento al traguardo manca troppo e Binda si rialza. Brunero lo raggiunge e i due vanno di comune accordo fino alla rampa di Viggù. L’inesperto Binda si ferma troppo presto a cambiare rapporto e ancora una volta Brunero è lesto ad approfittare degli errori altrui. Il piemontese attacca e scappa via a 100 chilometri dalla fine. Il varesotto, frastornato, va in crisi e viene ripreso anche da Girardengo e Linari. Il capitano della Legnano, intanto, è ormai irraggiungibile. Giovanni taglierà il traguardo della classica più prestigiosa dell’autunno con 7’44” di vantaggio sul terzetto inseguitore regolato da Girardengo.

©il grande ciclismo italiano

Il 1925, per il quasi trentenne di San Maurizio Canavese, è la stagione più avara di soddisfazioni. Alla Milano-Sanremo va in scena l’ennesimo testa a testa con Girardengo. I due vanno via da soli lungo la salita della Colletta. Brunero prova continuamente a staccare il rivale ogni volta che la strada tira all’insù. L’Omino di Novi, tuttavia, non cede mai nemmeno un metro e in volata ha vita facile.

Il Giro d’Italia di quella stagione è probabilmente da considerarsi la Corsa Rosa di livello più alto del decennio. Infatti è l’unica occasione in cui si affrontano Binda, Brunero, Girardengo e Belloni al meglio delle loro possibilità. Girardengo e Binda sostanzialmente si equivalgono, con il primo che ottiene più successi parziali grazie al suo spunto veloce. Giovanni, invece, lascia per strada 4’21” nella Arenzano-Pisa di 315 chilometri e si vede così costretto a gareggiare come luogotenente del Trombettiere di Cittiglio, il quale è entrato a far parte della Legnano proprio nell’annata in corso.

Nella quinta tappa, la Roma-Napoli di 260 chilometri, Girardengo fora. I corridori della Legnano lo attaccano e Belloni, interessato al successo di tappa, dà loro una mano. Proprio Tano si impone nel capoluogo campano, mentre Binda prende la testa della classifica generale e non la molla più. Alla fine Brunero sarà terzo alle spalle del giovane compagno e dell’Omino di Novi. Arricchisce la sua gara, oltretutto, conquistando una delle frazioni più dure, la Benevento-Sulmona di 275 chilometri, la quale prevedeva il passaggio su ben quattro salite: Vinchiaturo, Fontanelle, Roccaraso e Cinquemiglia.

Alla Corsa Rosa della stagione successiva, Brunero sembra nuovamente dover recitare il ruolo di spalla del ciclonico Binda. Il Trombettiere di Cittiglio, però, bersagliato dalla sfortuna, perde oltre 20′ da Giovanni e da Girardengo nelle prime due tappe. Quando nella quarta frazione, la Firenze-Roma di 287 chilometri, i tre staccano nettamente tutti gli altri, il Giro diventa chiaramente una sfida tra i due antichi rivali. Girardengo, quel dì, conquista tappa e leadership.

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Nella frazione più aspra, la Foggia-Sulmona di 251 chilometri che prevede Macerone, Rionero Sannitico, Roccaraso e Cinquemiglia, Brunero lancia l’assalto alla leadership dell’Omino di Novi. Il corridore della Legnano attacca a ripetizione in salita; il Campionissimo in un primo momento riesce a contrastarlo, ma nel farlo storce il tubo dello sterzo. Vittima di quell’infingardo problema meccanico, Costante decide di ritirarsi. Brunero, invece, va al traguardo con Binda, al quale lascia il trionfo parziale, e agguanta la cima della generale.

Il piemontese ha la strada spianata verso il successo del Giro e corona il tutto conquistando, all’indomani, la Sulmona-Terni di 260 chilometri. Brunero diventa il primo nella storia a vincere tre Giri d’Italia. Binda è secondo. I due, in seguito, correranno insieme anche al Giro della Provincia di Torino, e ovviamente batteranno tutti gli altri concorrenti.

L’anno seguente i ruoli si invertono. D’altronde per Brunero inizia il tramonto, mentre Binda, di sette anni più giovane, è nel fiore della carriera. Al Giro d’Italia il Trombettiere di Cittiglio resta in testa alla classifica dal primo all’ultimo giorno e conquista dodici delle quindici tappe in programma. Giovanni è comunque capace di piazzarsi al secondo posto e di vincere la tredicesima frazione, la Treviso-Trieste di 208 chilometri. Sarà il suo ultimo trionfo parziale nel grande giro di casa.

L’ultimo piazzamento di pregio, invece, arriverà alla Milano-Sanremo del 1928, in cui è terzo. In quella stessa annata, inoltre, prende parte per l’ultima volta al Giro d’Italia. Nel 1929, a trentatré anni, Giovanni Brunero appende la bici al chiodo. Morirà appena un lustro più tardi, consumato da un male incurabile.

©il grande ciclismo italiano

La carriera di Brunero non è stata lunga come quella dei suoi rivali principali, Girardengo e Belloni. Non ha avuto la fortuna degli altri due durante il primo conflitto globale ed è stato chiamato al fronte. La guerra l’ha consumato nel fisico e nello spirito, tanto che a trentatré anni era già in fase calante, mentre Costante e Tano sono riusciti a essere competitivi anche una volta superati i trentacinque.

Giovanni ha saputo massimizzare come nessun altro le occasioni che la strada gli ha offerto. Dire che sia stato fortunato, però, sarebbe uno sputo in faccia a un uomo che ha combattuto al fronte per tre anni, che ha perso i genitori senza nemmeno poter stare al loro fianco e che è morto prosciugato dalla tubercolosi. Era un corridore dotato di un grande acume tattico, di una testa eccellente e di una regolarità superba, oltreché di doti in salita che lo pongono ai vertici nella classifica degli scalatori che hanno corso tra le due guerre. Sono questi, e non la buona sorte, i motivi principali per cui è riuscito a primeggiare per oltre un lustro.

 

 

Foto in evidenza: ©Germán Bouso, Twitter