René Vietto è stato Le Roi, un fuoriclasse magnifico e sfortunato.

 

 

Per un corridore fare breccia nel cuore dei francesi non è facile. I cugini d’oltralpe, infatti, non hanno mai scelto in modo banale i loro beniamini. Da quelle parti non interessa granché quanto uno vinca. Piuttosto, contano le emozioni trasmesse in sella. Il popolo transalpino adora i generosi e gli eclettici. Gli atleti che sanno buttare il cuore oltre l’ostacolo. Soprattutto, però, ama quegli uomini i quali con la vittoria hanno un rapporto complicato. Quegli eroi che, sovente, si trovano dalla parte sbagliata della storia.

René Vietto, detto Le Roi René, è stato l’archetipo di atleta che fa divampare il cuore degli abitanti di tutta la Francia. Nato nel dipartimento delle Alpi Marittime, Vietto era un eccentrico genio delle due ruote, uno scalatore che dipingeva affreschi ogni volta che la strada iniziava a salire. Estroverso, loquace, ma allo stesso tempo saggio e altruista. Le sue esibizioni in bicicletta erano ricche di colpi di scena. Più che un corridore, era un attore del pedale. E le montagne erano il suo teatro.

Le Roi aveva un difetto, che forse oggi è da considerarsi un pregio: sapeva illudere. O, piuttosto, potremmo dire che faceva sognare i tifosi ad occhi aperti. Tutta la sua vita come atleta è legata da un sottile fil rouge: Vietto si avvicina alla vittoria del Tour de France, la sfiora, la tocca; ma, successivamente, ella gli sfugge, come un matrimonio che non s’ha da fare.

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Per tutta la carriera René non fa altro che corteggiare quella stupenda dama gialla. Ma dovrà accontentarsi d’essere colui che fa emozionare, divertire e financo piangere gli appassionati. Mentre la Grande Boucle è la sua Giulietta. La ama, la brama, ma non può averla. Ha la capacità di incendiarla come pochi altri nella storia tra Alpi e Pirenei. Ma, poi, trova sempre qualche ostacolo a mettersi di traverso tra il loro lieto fine.

Tuttavia, Vietto non è solo un protagonista un po’ sfortunato di quella commedia dell’arte che da quasi centovent’anni attraversa le strade di Francia. Dietro la maschera di Le Roi René c’è una storia fatta di sofferenza. Il grimpeur transalpino nasce il 17 febbraio del 1914, a pochi mesi dall’inizio della Grande Guerra. E ben presto impara quanto può essere dura la vita. Il padre Jean, infatti, viene fatto prigioniero in Germania poco dopo lo scoppio del conflitto. Solo in seguito all’armistizio René avrà modo di conoscere il genitore.

Il giovane René è sicuramente più Brighella che Arlecchino. Ha un’infanzia tormentata e a dodici anni viene addirittura espulso da scuola. Il ciclismo diventa un modo per evadere da quella realtà che con lui è sempre stata dura. L’infatuazione per le due ruote arriva grazie ad Alfredo Binda. Le imprese del Trombettiere di Cittiglio stregano Vietto, il quale, durante l’adolescenza, inizia a coltivare il sogno di emulare il suo mito.

La carriera di Vietto inizia nel 1931, quando si iscrive, senza autorizzazione dei genitori, a un team locale: la Sports Star di Cannes. Gli basta poco tempo per imporsi. Nel 1933, a diciannove anni, vince ben sei gare e si fa notare dall’Olympia, marchio italiano che lo porta a correre nel belpaese. Le Roi René, nonostante la giovanissima età, partecipa anche alla Corsa Rosa di quella stagione. Quel verde francesino fa la sua miglior prestazione nella cronometro di sessantadue chilometri che da Bologna porta a Ferrara. È decimo a 4’52” dal suo idolo, Alfredo Binda. In classifica generale concluderà ventiduesimo.

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La sue prestazioni fanno sì che molti produttori di bici dello stivale si interessino a lui. Ma, alla fine, Vietto resta in Francia, poiché non voleva prendere la cittadinanza italiana come gli chiedevano i vari sodalizi. Nel 1934 vince il GP Wolber, antenato dei Mondiali caduto in disgrazia da qualche anno per via della nascita dell’effettiva rassegna iridata, ed è sesto alla Parigi-Nizza, la corsa di casa.

Questi bei risultati gli valgono la convocazione al suo primo Tour de France tra le file di una nazionale francese a dir poco stellare. Al suo fianco ci sono campioni del calibro di Antonin Magne, Georges Speicher, Charles Pélissier, Maurice Archambaud, René Le Grevès e Roger Lapébie. Vinceranno la classifica generale con Magne e venti delle ventiquattro frazioni in programma.

La Grande Boucle inizia nel segno dei suoi compagni, ma nella settima tappa, la durissima Aix-les-Bains-Grenoble di duecentoventinove chilometri, tocca al novellino Vietto mettere il timbro. Il giovane René, sul Galibier, è l’ultimo a cedere al forcing del duo spagnolo composto da Fédérico Ezquerra e Vicente Trueba. Sulla seguente discesa, tuttavia, riprende e stacca i due rivali, involandosi tutto solo verso il suo primo sigillo sulle strade del grande giro francese. Ezquerra e Trueba, alla fine, arrivano a 3’23” dal nativo di Rocheville au Cannet, insieme anche agli italiani Giuseppe Martano ed Edoardo Molinar (cicloturista) e alla maglia gialla Magne.

Passano un paio di giorni e Le Roi René si ripete. Nella Gap-Digne-les-Bains di duecentoventisette chilometri, il francesino stacca tutti sul Vars e, successivamente, si arrampica tutto solo sull’Allos. La sua progressione è devastante e guadagna il margine necessario per arrivare al traguardo. I primi inseguitori, Trueba e Molinar, giungono a 2’23”. 6’28” dopo Vietto, invece, taglia il traguardo un gruppetto comprendente Magne e Martano.

Nella Nizza-Cannes di centoventisei chilometri, René va in fuga con Martano e lo fulmina in volata, conquistando il successo parziale. A 3’23” arrivano Magne e Trueba, tutti gli altri sono abbondantemente più staccati. Dopo le prime undici frazioni, Vietto si trova al terzo posto in classifica generale, preceduto da Magne e Martano. Due giorni più tardi, però, nella Marsiglia-Montpellier di centosettantadue chilometri, una fuga comprendente anche Magne e Martano va al traguardo e Vietto, che non è lesto a inserirsi nel tentativo, perde oltre sei minuti dai primi.

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Vietto, successivamente, sacrifica sull’altare del compagno Magne le poche chance che gli sono rimaste di vincere la Grande Boucle. Durante il quindicesimo giorno di gara si svolge la Perpignano-Ax-les-Thermes di centocinquantotto chilometri. Tonin Le Sage cade sulla discesa del Col de Puymorens e rompe ruote e telaio. Martano, che lo insegue in classifica generale, ne approfitta per attaccarlo. La situazione è critica per la maglia gialla, ma Speicher e Vietto, perfettamente calatisi nello spirito della nazionale francese ove noi conta più di io, gli cedono il primo la ruota e il secondo la bici. Il leader della selezione transalpina riesce così a limitare i danni.

Il giorno seguente, nella Ax-les-Thermes-Bagnères-de-Luchon di centosessantacinque chilometri, Vietto è una furia. In montagna la sceneggiatura prevede un suo dominio. E così è. Appena la strada inizia a inerpicarsi, saluta la compagnia. Poi, però, mentre è tutto solo in testa, gli giunge la notizia che Magne è caduto in discesa, rompendo nuovamente la bicicletta.

Udita la cattiva novella, Le Roi René si ferma, si gira e inizia a procedere in senso contrario alla direzione di marcia. Su quelle montagne ove era nata la leggenda di Orlando, Vietto scrive il suo personale poema cavalleresco. Dando sfoggio di una nobiltà d’animo realmente degna di quella dei paladini di Carlo Magno, il giovane transalpino raggiunge il suo capitano. Dopodiché, scende da quel suo destriero fatto di metallo e lo cede a Tonin Le Sage. Magne darà il là a una grandissima rimonta. Nelle frazioni successive, quando la dea bendata decide di smettere di perseguitarlo, chiuderà definitivamente i conti.

Al traguardo, quel dì, René cede circa 4’30” a Magne e Martano. Il Tour è definitivamente perso, le sue chance di vincere la Grande Boucle le ha offerte in tributo a Tonin Le Sage. Con quel gesto di infinita umanità, però, Vietto conquista l’amore di un’intera nazione. A vent’anni il giovane Le Roi entra nel mito. Non è solo un grande grimpeur, che fa divertire la gente con le sue gesta in salita. È molto di più: un personaggio affascinante, complesso, virtuoso. È un imprevedibile che non lascia mai nulla al caso. Sembra che il suo scopo, quando monta in sella, non sia solo quello di vincere le corse. Vietto ha un legame unico con la sua platea. Pare che il suo fine sia trovare, ogni volta, un modo nuovo per lasciarli di stucco.

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Tuttavia, quel sacrificio non lo fa certamente a cuor leggero. Dopo essere rimasto appiedato, il ventenne nativo delle Alpi Marittime si siede su un muretto. Al suo fianco, la bicicletta distrutta di Tonin. René esita un attimo, poi china il capo e le lacrime iniziano a disegnarsi sul suo viso. I pensieri lo tormentano. Se fosse andato per la sua strada, avrebbe potuto vincere il Tour? E se non capitasse più l’occasione di conquistare la Grande Boucle?

Appena due giorni più tardi, ad ogni modo, Le Roi René torna ad alzare le braccia al cielo. Nella Tarbes-Pau di centosettantadue chilometri il ventenne transalpino transita per primo sia sul Tourmalet che sull’Aubisque. In salita si leva nuovamente tutti di ruota e, solitario, cavalca fino al traguardo. Rifila quasi 3′ a un terzetto comprendente Martano e 7’10” a Magne. In classifica generale si riappropria della terza posizione. La perderà, però, nella cronometro di novanta chilometri da la Roche-sur-Yon a Nantes, la prima prova contro il tempo nella storia del Tour de France.

Ad appena vent’anni, comunque, Vietto conclude la sua Grande Boucle con quattro vittorie di tappa, il successo nella classifica dei gran premi della montagna e il quinto posto in classifica generale. Sembra solo questione di tempo prima che possa essere lui a conquistare la maglia gialla a Parigi.

Nel 1935 si accasa alla Helyett-Hutchinson. Pronti, via, e vince la Parigi-Nizza. Merito proprio del dominio del suo nuovo sodalizio nella cronometro a squadre di settantuno chilometri che da Marsiglia va a Toulon. In seguito, mette in risalto il suo sfavillante talento in quella che era tutto fuorché una gara adatta a lui: la Parigi-Roubaix. Le Roi al traguardo è quarto, ma il risultato poteva essere ben diverso se non fosse stato per un passaggio a livello che gli costò quattro minuti mentre stava per ripiombare sui primi.

Benché René arrivi in debito d’ossigeno alla fine della primavera, il suo direttore sportivo decide comunque di portarlo al Giro d’Italia. Per quanto forte, Vietto è comunque un atleta di appena ventun’anni: non ha la resistenza dei colleghi più maturi. E, infatti, alla Corsa Rosa non riesce a essere protagonista e sarà anche costretto al ritiro.

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Convocato nuovamente per la Grande Boucle tra le file della selezione transalpina principale, l’inizio del suo Tour sarà un vero e proprio incubo. Le Roi sembra una pallida imitazione dell’eroe che fece innamorare una nazione l’anno precedente. È un Don Chisciotte il cui sogno d’essere un cavaliere errante s’infrange contro la cruda realtà.

Va in crisi di fame, poi cade, perde un dente, si procura una ferita al cranio. Dopo i primi cinque giorni, il leader della classifica generale Romain Maes è già lontanissimo. Nella sesta tappa, però, Le Roi rinasce a nuova vita. Iniziano le Alpi con la Evian-les-Bains-Aix-les-Bains e Vietto si fa trovare pronto. Sul Col des Aravis spicca il volo e dopo centoventicinque chilometri di cavalcata solitaria giunge al traguardo a braccia alzate.

Replica tre giorni più tardi nella Gap-Digne-les-Bains di duecentoventisette chilometri. Va in fuga al mattino con diversi altri corridori. In seguito ai passaggi su Vars e Allos, con lui resta solo l’azzurro Francesco Camusso. Nel finale Le Roi ha decisamente più energie del rivale e lo fulmina in vista del traguardo. È il secondo successo parziale di Vietto in quella Grande Boucle, il sesto in carriera.

Sui Pirenei, però, le fatiche del Giro non danno tregua a René. Il giovane asso francese è troppo stanco. Le gambe sono pesanti. Non riesce a danzare su pedali come nel 1934. Dovrà accontentarsi dell’ottavo posto in classifica generale. Non è in grado nemmeno di contendere il successo al belga Félicien Vervaecke nella graduatoria dei gran premi della montagna.

Dopo quel Tour inizia un periodo difficile per Le Roi René. Molteplici i motivi. Un po’ la malasorte che non gli dà tregua. Un po’ la vita mondana che lo strega. Nella prima parte della stagione 1936 non combina molto, penalizzato anche da una caduta alla Parigi-Nizza. La mancanza di risultati gli costa il posto in nazionale al Tour de France. Prenderà parte alla Grande Boucle da isolato, ma finisce a terra già nella tappa inaugurale e nella sesta si ritira.

Le Roi non si libererà dal turbine che l’ha inghiottito. Nel 1937 nemmeno partecipa al Tour de France. L’anno seguente si ritira alla seconda frazione. Nel mentre, non si avrà nemmeno modo di assistere al duello che tutti aspettavano: quello tra René e l’astro nascente del ciclismo italiano, Gino Bartali. Quando i due finalmente si incroceranno alla Grande Boucle, dieci anni più tardi, René sarà ormai l’ombra del corridore che fu.

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Vietto, dopo un triennio che definire complicato è riduttivo, torna in auge nel 1939. Si ripresenta alla Grande Boucle e, stavolta, inizia alla grande. Nella quarta tappa, la Brest-Lorient di centosettantaquattro chilometri, Le Roi René entra in una fuga molto nutrita che va al traguardo. Il successo parziale lo ottiene il connazionale Raymond Louviot, ma il venticinquenne delle Alpi Marittime veste, per la prima volta in carriera, la maglia gialla.

I suoi rivali principali, vale a dire i belgi Romain Maes e Sylvère Maes, il primo trionfatore della Grande Boucle del 1935 e il secondo di quella del 1936, giungono a 4’27”. Romain, oltretutto, il quale aveva già vinto la cronometro di sessantatré chilometri da Caen a Vire, si era ammalato e sarà costretto a ritirarsi nel corso dell’ottava frazione. Il Tour, dunque, diventa ben presto un discorso tra René e Sylvère.

Il fiammingo, dopo la tappa di Lorient, si trova a ben 5’57” di distacco da Le Roi in classifica generale. Appena quattro giorni più tardi, però, nella Salies-de-Béarn-Pau, una cronometro di sessantotto chilometri, Maes recupera circa 2’20” all’avversario. Il dì seguente, nella Pau-Tolosa di trecentoundici chilometri, Sylvère attacca René nelle varie salite in programma: Aubisque, Tourmalet e Aspin. Il venticinquenne francese, tuttavia, risponde sempre presente.

Nella breve cronometro di ventisette chilometri da Narbona a Béziers, seconda semitappa del decimo giorno vinta dal recordman dell’ora in carica Maurice Archambaud, Vietto guadagna 22″ su Maes. In questo modo, il suo vantaggio in classifica generale sale a 3’19”. Due giorni più tardi, però, nella St. Raphaël-Monaco di centoventuno chilometri, René mostra i primi segni di cedimento. Il fiammingo va all’attacco proprio con Archambaud. I due transalpini non sono compagni di team. Ambedue, infatti, non sono stati convocati con la squadra principale. René milita nelle file dalla selezione del Sud-Est, mentre Maurice in quella del Nord-Est. Archambaud, dunque, non ha alcun vincolo. Collabora con Maes e quel bizzarro tandem strappa 1’30” alla maglia gialla.

Sulle Alpi si consuma il dramma di René Vietto. Quelle montagne, che per prime gli regalarono la notorietà, diventano ora il palco in cui va in scena la sua tragedia. Nella sedicesima tappa del Tour de France 1939, la Digne-Briançon di duecentodiciannove chilometri, Maes porta il suo attacco sull’Izoard e spicca il volo. René, invece, si ritrova vittima dell’uomo col martello.

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Le gambe di Vietto non girano più. Sono troppo doloranti. È come se fossero state infilzate dalle lance delle Valchirie. Le Roi non cede, crolla. Maes è debordante e giunge trionfante alla meta con 3’23” di vantaggio sul primo inseguitore, il transalpino Pierre Gallien. L’ex maglia gialla arriva al traguardo dopo ben 17′. All’indomani è secondo in classifica generale a 17’12” da Maes. La Grande Boucle è persa.

Come se non bastasse, Maes lo umilia anche nella cronometro di sessantaquattro chilometri da Bonneval-sur-Arc a Bourg-Saint-Maurice, la quale prevede la scalata dell’Iseran. Il fiammingo si esibisce in un altra cavalcata imperiosa e rifila oltre 4′ al secondo, il connazionale Edward Vissers. Vietto giunge solamente diciassettesimo e lascia per strada altri 9’48”.

Nell’ultima prova contro il tempo in programma, la Dole-Digione di cinquantanove chilometri, Vietto riesce quantomeno a difendere il secondo posto dall’assalto di un altro fiammingo, Lucien Vlaemynck, per appena 2′. Il venticinquenne transalpino termina la Grande Boucle del 1939 sulla piazza d’onore, a oltre 30′ dal vincitore Sylvère Maes. Sarà il suo primo e ultimo podio al Tour de France.

Già, perché nel momento in cui il ciclismo è tornato la priorità per Vietto, dopo anni dedicati alla bella vita, scoppia la Seconda Guerra Mondiale. Il conflitto globale costringe la Grande Boucle a fermarsi dal 1940 al 1946 e porta via a René quelli che sarebbero stati gli anni della maturità.

Mentre il mondo è funestato dalle ostilità, Vietto continua a correre. Nel 1942 prende parte anche alla Vuelta, il neonato grande giro spagnolo. Sulle strade di una terra appena uscita da quell’atrocità che è la guerra civile, Vietto dà un altro saggio di tutta la sua classe. Abbandona presto le velleità di classifica, ma vince due tappe: la Donostia-Bilbao di centosessanta chilometri e la Santiago de Compostela-Vigo di centodieci chilometri.

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Benché nel 1946 la guerra sia finita, il Tour aspetta un’altra stagione per ripartire. In quell’annata Vietto, peraltro, è ancora sulla cresta dell’onda. Vince il Grand Prix de la République du Sud-Ouest, è secondo nella Monaco-Parigi conquistata dal connazionale di origini greche Apo Lazaridès e sfida Bartali al Tour de Suisse. In terra elvetica, ad ogni modo, subisce un’autentica lezione da Ginettaccio. Il toscano trionfa nella classifica generale e rifila oltre 20′ al francese, che giunge quarto.

Nella stagione successiva, a trentatré anni, René può finalmente tornare a dare la caccia a quel miraggio che insegue sin da quando era ventenne: il Tour de France. Al secondo giorno, nella Lille-Bruxelles, va in fuga e giunge tutto solo al traguardo. Precede di 1’41” un duo composto dal classicomane belga Raymond Impanis e dal connazionale Prosper Depredomme. Il gruppo arriva a nove minuti e la maglia gialla è sua.

Nella frazione seguente, mentre si sconfina in Lussemburgo, lascia per strada 6’31” nei confronti dell’azzurro Aldo Ronconi. Quel dì perde anche poco meno di un minuto da un trio composto dal francese Pierre Cogan e dagli italiani Pierre Brambilla e Fermo Camellini, ma guadagna tantissimo su tutti gli altri rivali. Ad esempio, a Testa di Vetro Jean Robic strappa circa 8’30”.

In classifica generale, dopo le prime tre frazioni, ha 1’22” su Aldo Ronconi, secondo, e 8′ su Pierre Brambilla, terzo. Robic è a oltre 19′. La situazione è perfetta per René. Nella prima frazione alpina, però, la Lione-Grenoble di centosettantadue chilometri, gli spettri del 1939 tornano a farsi vedere. Testa di Vetro domina e conquista il successo parziale con 4’36” di vantaggio su una coppia composta da Brambilla ed Édouard Fachleitner. Ronconi giunge a 5’48” e sfila la maglia gialla a Le Roi, che perde invece 8’24” nei confronti del connazionale.

Nella Grenoble-Briançon di centottantacinque chilometri del giorno successivo, René si ridesta un pochino e riesce a rimanere con Ronconi. Brambilla gli guadagna 2’30”, ma Robic, provato dagli sforzi del giorno precedente, va in crisi e accusa un distacco di 6′ nei confronti di Le Roi. All’indomani, nella Briançon-Digne-les-Bains di duecentodiciassette chilometri, torna in scena l’Izoard. La salita che infranse i suoi sogni di gloria nel 1939.

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In una giornata che rievoca uno dei momenti più cupi della sua carriera, Vietto stupisce la sua platea una volta di più. Apparso fin lì non troppo brillante in montagna, dopo due frazioni passate sulla difensiva, Le Roi René riporta in scena quel grimpeur indemoniato che nel 1934 fece tremare il mondo.

Jean Robic attacca e fa il vuoto sull’Izoard. Sull’Allos, però, René si scatena e lo riprende. Più avanti Robic fora e Vietto va al traguardo in compagnia di Lazaridès. Il nativo delle Alpi Marittime supera il connazionale allo sprint e ottiene il suo secondo successo parziale. Brambilla arriva a 4’20”, Robic a 6’43” e Ronconi a 7’43”. Le Roi è di nuovo maglia gialla. E i distacchi in classifica sono davvero importanti.

Purtroppo per lui, però, nell’ultima tappa alpina, la Digne-les-Bains-Nizza di duecentocinquantacinque chilometri, una foratura lo appieda e permette ai suoi rivali, ad esclusione di un Robic ancora una volta in crisi, di riavvicinarsi a lui. Dopo le prime dieci frazioni, ad ogni modo, in classifica generale lo seguono, nell’ordine, Fermo Camellini a 2’11”, Pierre Brambilla a 3’04”, Aldo Ronconi a 3’25”, Édouard Fachleitner a 6′ 16″ e Jean Robic a 23’21”.

Vietto si difende bene sui Pirenei, ove crolla Camellini, mentre Robic rientra in classica dominando la Luchon-Pau di centonovantacinque chilometri, nella quale passa per primo sul Peyresourde, sull’Aspin, sull’Aubisque e sul Tourmalet e rifila più di 10′ a tutti gli altri. A tre giorni dalla fine, la maglia gialla è sulle spalle di Le Roi, ma davanti a sé ha ancora un ostacolo: la cronometro di centotrentanove chilometri da Vannes a Saint-Brieuc.

A un passo dal successo, Vietto vive l’ennesima disfatta. In quella prova contro il tempo che sembra non finire mai, René crolla. Perderà 14’40” dal vincitore Impanis, quasi 10′ da Robic e 8’40” dalla nuova maglia gialla Pierre Brambilla. Ancora una volta, Vietto recita il ruolo di eroe tragico.

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Come Amleto in fin di vita che indica Fortebraccio come nuovo re, Vietto, ormai sconfitto, deve lasciare il centro del boccascena a Jean Robic. Testa di Vetro, dopo la cronometro, si trova a 2’58” da Brambilla, mentre René è a oltre 5′. Il futuro iridato del ciclocross è l’unico che può evitare il trionfo italiano. E un successo azzurro, nella prima edizione della Grande Boucle dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, sarebbe un’onta troppo grande per la Francia.

Alla fine Robic, con un’imboscata, riesce a rovesciare le sorti del Tour nell’ultima frazione e a conquistare il gradino più alto del podio di Parigi. Vietto deve accontentarsi del quinto posto a 15’23” dal connazionale. Correrà un altro paio d’anni, ma il sipario sulla sua carriera è calato il 18 luglio 1947, quando ha perso per sempre la maglia gialla.

Ad alti livelli Vietto non sarà più competitivo dopo l’ennesima delusione raccolta sulle strade del Tour de France. Avrà, tuttavia, modo di regalare ai suoi tifosi un’ultima emozione. Nel 1951, a due anni dal suo ritiro, si presenta al via della Milano-Sanremo. Nonostante tutto quel tempo senza gare, riesce comunque a finire la Classicissima. Negli anni seguenti, farà il direttore sportivo e gestirà una fattoria sui Pirenei.

A settantaquattro anni, il 14 ottobre 1988, Vietto si spegne. La sua è la storia di un corridore bizzarro e imprevedibile. È stato discontinuo, sfortunato e financo perdente. Ma, allo stesso tempo, Le Roi René è stato anche un atleta generoso e coraggioso che sulla strada ha sempre dato tutto. La guerra e il suo essere genio e sregolatezza gli hanno impedito di realizzare a pieno tutto il suo potenziale.

Vietto a sinistra e Lazaridès a destra. ©David Guénel, Twitter

Il René Vietto che fece infatuare l’intera Francia nel 1934 non si è più visto per il resto della sua carriera. Le Roi, ad ogni modo, si è espresso su ottimi livelli anche nel 1935, nel 1939 e nel 1947. Il suo palmarès, comunque invidiabile, non è quello che gli addetti ai lavori dell’epoca gli avevano pronosticato ai tempi in cui, appena ventenne, scriveva dei canti memorabili tra Alpi e Pirenei.

Eppure la traccia che ha lasciato nella storia ciclistica della sua nazione è stata enorme. Se, dopo di lui, corridori come Raymond Poulidor, Richard Virenque e Thomas Voeckler sono stati così amati in patria, un po’ lo devono anche a Le Roi René. Fu egli a tratteggiare i contorni di quell’eroe per il quale il destino ha sempre in serbo la sconfitta. Una figura che, ancora oggi, scalda come nessun’altra il cuore dei cugini d’oltralpe.

 

 

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