Ci vediamo in fuga: intervista a Mirco Maestri

Mirco Maestri si racconta tra fughe, tatuaggi e sogni da realizzare.

 

 

«Sai, io sono uno un po’ alla buona». Mirco Maestri è un ragazzo genuino come una torta fatta in casa o, viste le origini emiliane, come dei cappelletti fatti rigorosamente a mano. Lo capisci subito da come si presenta, dalla sua voce. È uno di quelli con cui passeresti volentieri il tuo tempo a fare due chiacchiere e a scherzare, quasi fosse un amico di vecchia data. Le sue parole scorrono sciolte, un po’ come quando si lancia in una delle sue solite fughe: a ruota libera. Rimasto fermo a lungo in questa stagione, recisa dal coronavirus, torna a far girare le gambe sul tanto desiderato asfalto «dopo quaranta giorni di rulli: non mi era mai capitato». Lo fa con il sorriso stampato in viso e tanta voglia di fare bene. «A pensarci è una cosa assurda, ma ormai è andata».

Terminato il periodo di lockdown, finalmente «si può dire che la stagione è iniziata. Le gare sono più avanti, ma già poter uscire…». La vita riprende e la prima sensazione provata tornando a pedalare all’aperto, Mirco la esprime con la stessa parola pronunciata da Mel Gibson in “Braveheart”: «Libertà!». La gioia di essere di nuovo in strada la racconta con semplici ma significative percezioni sensoriali: «Sentire l’aria in faccia, il sole, il vento, i copertoni che sfregano sull’asfalto.» Il primo giro in sella Mirco se lo gusta senza usare auricolari: «Volevo solamente godermi il rumore della strada». Perché in fondo «un ciclista chiuso tra le mura domestiche è come una tigre in gabbia»: fuori luogo. Si trova a proprio agio solo nel suo habitat naturale.

Un ambiente a misura d’uomo Mirco Maestri l’ha trovato alla Bardiani, che definisce «una grande famiglia tutta italiana, dove tutto si svolge in un clima amichevole e si riescono a costruire dei bellissimi rapporti, nonostante sia comunque un luogo di lavoro». Unita anche contro il coronavirus, la squadra ha aderito al progetto di RCS Sport partecipando al Giro Virtual, «soprattutto perché è stata una raccolta benefica a favore della Croce Rossa Italiana».

Paperino – questo il soprannome di Maestri – ha affrontato la prima tappa in compagnia di Nicolas Della Valle sabato 18 aprile: 32 chilometri da Controguerra a Tortoreto. «Bellissima esperienza, in particolare perché quando parli di tappe del Giro è sempre emozionante, ma è stata tosta perché fatta sui rulli» mi racconta, aggiungendo: «Sicuramente una delle tappe più dure che ho mai fatto. Vedere i chilometri sul Garmin scendere piano piano, non avere punti di riferimento e pedalare per un’ora a tutta sui rulli…mamma mia!». Del resto, come ci tiene a sottolineare lui stesso, «tante cose belle sono faticose».

©Roberto Bettini/BettiniPhoto 2020 – Per gentile concessione dell’Ufficio Stampa della Bardiani-CSF-Faizanè

Sfibrante a livello mentale e fisico è stato anche il rinchiudersi in casa. Mirco si trovava in Croazia con la squadra quando l’ansia cresceva e il mondo chiudeva. Tornato in Italia inizialmente usciva per allenarsi, «poi è diventato pericoloso. La gente ti vedeva in giro, ma davi loro fastidio perché non potevano uscire. Ti sfioravano con la macchina, ti urlavano dietro, ti insultavano». Purtroppo, come altri colleghi, nell’ultimo periodo ha saggiato sulla propria pelle l’etichetta di untore affibbiata spesso ai pedalatori. «La decisione di fermarsi è quindi stata giusta, più che altro per un discorso di sicurezza: la nostra. Non ne valeva la pena». Ne ha approfittato così per allenarsi, anche se «grossi lavori non ne ho svolti; ma ho fatto il papà a tempo pieno, godendomi la mia famiglia»: la moglie Giulia e i due bimbi, Irene e Leonardo. «Abbiamo vissuto una sorta di secondo inverno». Ma come cantava De Andrè nell’omonima canzone “Inverno”: “vedrai la neve se ne andrà domani, rifioriranno le gioie, col vento caldo di un’altra estate”.

Il nuovo calendario UCI World Tour è una folata d’aria che solleva come foglie il morale degli atleti, rianimando la loro voglia di tornare a gareggiare. Anche Mirco Maestri non vede l’ora di rimettersi in strada, ma non ha ancora nessun piano per il futuro. Aspetta il 18 maggio per il calendario definitivo, completo di tutte le corse internazionali. «Ci saranno un milione e mezzo di corse, quindi tempo per correre ci sarà. Anzi, secondo me da metà luglio in poi faremo una full immersion». Positivo per natura, una promessa a sé stesso e ai suoi tifosi la vuole fare. «Cercherò di farmi trovare pronto e la speranza è quella di partecipare alle corse più importanti». Il sogno di tanti è vederlo di nuovo protagonista al Giro, ovviamente in fuga.

Paperino: dall’asilo al tatuaggio, fianco a fianco con la sfortuna

Andando per un attimo controcorrente rispetto alle consuete evasioni di Paperino dalla pancia del gruppo, dove proprio non sa stare, ci allontaniamo dal presente per lanciarci nel suo passato. Il soprannome, che lo accompagnerà per tutta la vita, risale infatti ai tempi dell’asilo. «C’era il pupazzo a scuola e ogni volta ce lo contendevamo. Era una guerra. Io lo amavo e riuscivo sempre a portarlo a casa». Questo episodio getta le basi dell’appellativo, legato anche alla sfortuna che accomuna Mirco al fumetto della Disney. «Negli anni mi sono sempre successe un po’ di “sfighe”, un po’ come Paperino d’altronde».

La prostatite al secondo anno da Under 23, «che di solito hai a 70 anni»; le difficoltà a passare professionista; la linea che «cadeva ogni volta che provavo a chiamare Bruno Reverberi»: sono tanti piccoli avvenimenti che minano la carriera di Mirco. Preso un po’ in giro dai suoi amici, quando ancora era dilettante stringe un patto col diavolo: «Se passo professionista mi tatuo Paperino sul braccio». La via verso il professionismo, come abbiamo intuito, non è liscia come un’autostrada appena asfaltata, ma assomiglia più a una strada di campagna, con fondo sconnesso e qualche buca.

©Dario Belingheri/BettiniPhoto2020 – Per gentile concessione dell’Ufficio Stampa della Bardiani-CSF-Faizanè

Mirco sale in bici a otto anni per provare a risolvere un «problema di metabolismo. Ero andato dalla dietologa. Ero più largo che alto». Con il sorriso sulle labbra, Mirco racconta le sue scorribande per il piccolo paese in sella ad una bici, finché un giorno «un vecchietto che aveva corso da dilettante, vedendomi girare per il paese, era andato dai miei genitori dicendo: “Portatelo in una squadra che secondo me ha una bella pedalata”. Io venivo da una famiglia dove mio padre odiava le bici perché chiudevano le strade proprio quando doveva andare a morosa, cioè a trovare mamma. Questo per farti capire che non ne capivamo niente di quel mondo». Da cosa nasce cosa: Mirco si ritrova a pedalare «prima per mettermi in forma, poi per passione. Adesso lo faccio anche per senso di gratitudine verso la bici». E papà Gianluca? «Adesso è diventato un appassionato, non perde una corsa. Segue tutto, si documenta anche sui giovani. Due anni fa ha fatto pure da accompagnatore alla selezione Emilia-Romagna».

Maestri senior era ovviamente presente alla prima corsa di Maestri junior, pur non essendo un grande tifoso di questo sport. La gara se la ricordano bene entrambi. «Era un campionato regionale, era giugno. Io avevo cominciato a metà anno, da G4. Siam partiti e il primo giro ero in testa. Mio papà mi fa: “Cavoli, andiamo bene!”. Poi continuavo a trovarmi sempre più indietro e alla fine mi hanno doppiato. Quando gli altri sono arrivati al traguardo io dovevo fare un altro giro. Ovviamente mi son fermato. Però è stato bello, sai?».

La felicità del momento non si assopisce nonostante il brutto risultato. Nella fanciullezza, passata tra risate e gioie, Mirco inizia a guardarsi attorno e scopre un ciclista a cui ispirarsi. «Pantani è stato il mio primo idolo. Essendo cresciuto in una famiglia in cui non si era grandi appassionati di ciclismo, conoscevamo solo lui». Con il passare degli anni, il giovane luzzarese diventa dilettante, si innamora di Damiano Cunego e prova a seguirne le orme. Il duro scoglio da superare si chiama professionismo. Mirco è al secondo anno da Élite e pensa di essere alla fine. I numerosi procuratori che contatta rispondono sempre con la stessa frase. «Ormai sei vecchio, devi smettere». Per fortuna c’è qualcuno che non la pensa così: Bruno Reverberi. «Non ci avevo mai parlato. Gli devo davvero tanto. Lo vedevo alle gare e solo una volta a Castel d’Ario mi aveva detto: “Continua così!”. Ma non ci avevo dato peso».

Alla fine di luglio del 2015, alla gara di Rovescala, viene avvicinato dal patron della Bardiani-CSF. «Poco prima della partenza mi chiede: “Ti interesserebbe passare?”. Pensavo mi prendesse in giro. Si è messo a ridere e ha continuato. “Dai, so che ti interessa: chiamami dopo la corsa”». Mirco naturalmente affronta la prova con i battiti a mille. Per recuperare una frequenza cardiaca regolare non basta una notte. «Non ho dormito. Alle sei di mattina sono uscito in bici a fare una pedalata perché non ce la facevo più. Dovevo andare da lui nel pomeriggio».

Firmato il contratto per il nuovo ingaggio, Mirco è al settimo cielo, ma deve scendere un attimo agli inferi per tener fede a una promessa fatta a Belzebù: il tatuaggio di Paperino. In quanto a sfortuna, però, non si smentisce. L’appuntamento fissato prima della fine del 2016 si trasforma in un qualcosa di tragicomico. «Ero già là quando mi chiamò Roberto Reverberi perché c’erano problemi su alcuni documenti per il passaggio, dicendomi però di non preoccuparmi. Ho sudato freddo. Ho fermato tutto e sono andato via. Non l’ho mica fatto». Dopo aver sistemato la faccenda, si ripresenta e finalmente riesce nell’intento, questa volta senza alcuna complicazione. Mirco Maestri è a tutti gli effetti un professionista.

Insisti e resisti che raggiungi e conquisti

©Dario Belingheri/BettiniPhoto2020 – Per gentile concessione dell’Ufficio Stampa della Bardiani-CSF-Faizanè

Anche se potesse, Mirco Maestri non cambierebbe nulla del mondo dei pro: «È perfetto così com’è». Il battesimo in questo nuovo pianeta, per lui tutto da esplorare, lo riceve con la Volta a la Comunidad Valenciana. L’esperienza è pura emozione. «Passare dall’essere sul punto di smettere di correre a ritrovarsi nel gruppo con squadre come Sky e Movistar che vedevo soltanto in televisione: incredibile. Guardavo le maglie e non mi sembrava vero». Ancor più assurdo è vederlo in fuga già alla sua prima Milano-Sanremo. Ma col passare del tempo si è capito che era ordinarietà, dato che in tutte le sue partecipazioni si è sempre lanciato in avanscoperta.

«La fuga è un discorso legato alla speranza. È quasi scontato che venga ripresa, ma è un modo per far vedere che sei un combattente, uno che non molla. E poi è più appassionante. Soprattutto nelle grandi corse. Piuttosto che stare lì nel gruppo, preferisco fare 150 o 200 chilometri da leone. Poi sai, magari ti riprende un gruppetto di pochi e te la puoi giocare». Capita così di vederlo protagonista in quattro edizioni della Milano-Sanremo, davanti a tutti. Proiettato verso il mare per procedere il gruppo nell’assaporare il profumo delle ultime mimose della riviera. Capita purtroppo di vederlo sempre ripreso prima del traguardo. Anche nel 2017, quando si trova in uno stato di grazia. «Era una di quelle giornate in cui non senti la catena, di quelle in cui vai e spingi. Ci han ripreso prima della Cipressa, ma son rimasto attaccato. Non ci credevo. Alla fine mi ha tirato giù Cavendish: che rabbia! Però insomma, il mio l’avevo già fatto».

Il suo dovere lo fa soprattutto al Giro 2019, dove la fuga di Maestri, Frapporti e Cima non è nemmeno quotata dai bookmakers. Dopo averci provato nella diciassettesima tappa – tra smorfia napoletana e sfortuna di Paperino, che la fuga andasse in porto non era contemplabile -, Mirco ci ritenta il giorno successivo. Ho la fortuna di avere tanta resistenza e tanto recupero, quindi il mio corpo me lo permette». In compagnia di Nico Denz e Damiano Cima arriva ad un soffio dal successo. Si arrende pochi metri prima del traguardo di Santa Maria di Sala, al contrario dell’altro italiano, che precede a braccia alzate e di un nonnulla il gruppo in rimonta. Tra le sue imprese è decisamente quella che più di tutte lascia l’amaro in bocca. «Analizzandola a mente fredda poi trovi dove hai sbagliato, ma quando sei lì a giocarti la tappa non puoi fare troppi calcoli. Io me la sono giocata, ma un po’ di rammarico c’è».

Non è però la fuga più brutta: per quella bisogna spostarsi in Colombia, dove «mi hanno staccato mentre parlavano. Ero l’unico europeo in fuga, gli altri non ci provavano nemmeno. È vero, correvamo a 3000 metri e noi non siamo abituati, è stato umiliante. Roberto si è messo a ridere». Per veder anche Mirco ridere (di gioia) bisogna invece fare qualche passo indietro, scendere dalle quote elevate delle Ande e raggiungere il livello del mare dell’isola di Rodi. A primavera, sull’Isola delle Rose, il corridore della Bardiani-CSF-Faizanè sboccia – è il 9 marzo 2018 -, cogliendo la sua prima vittoria da pro. «Alzare le mani al cielo è qualcosa di spettacolare», ricorda. «Ero in fuga con Simion. Poi un mese dopo, in Croazia, lui fece primo e io secondo. Avevamo un feeling pazzesco, eravamo come fratelli. Pensa che l’anno scorso abbiamo fatto tutta la stagione in camera insieme».

Paolo Simion c’è anche alla Tirreno-Adriatico 2019, quando Mirco conquista la maglia arancione, tonalità simile alla pelle di Paperino. La fa sua racimolando punti preziosi per la classifica finale punti durante i suoi tentativi da lontano, giorno dopo giorno. «Seppur non sia una vittoria su strada, la maglia della Tirreno-Adriatico è il traguardo più bello. Eravamo a San Benedetto del Tronto. I miei genitori fuori, mentre io, Roberto e l’addetto stampa seduti in macchina a guardare la gara sul telefono, in silenzio. Facevamo i conti, eravamo in ansia: avevamo paura che Alaphilippe mi rubasse la maglia. Quando abbiamo capito che non ce la faceva più, Roberto mi disse: “preparati, preparati, ormai non ce la fa più”. Mancavano poche centinaia di metri quando ho iniziato a vestirmi per la premiazione. Per scaramanzia non mi ero ancora cambiato».

Mirco Maestri è uno di quelli che non ha un rito pre-gara, basta un segno della croce: semplice – come lui, del resto. La sua scaramanzia nasce forse dal fatto che due anni prima si era visto strappare la stessa maglia arancione da Peter Sagan, un corridore che Mirco, quando può, osserva per carpire insegnamenti preziosi. «Purtroppo ho fatto poche corse con lui, ma è un fuoriclasse». Lo aveva preceduto di soli due punti, lasciandogli però un messaggio propiziatorio, una profezia avveratasi nel 2019. «Mi ha regalato la maglia con la dedica: “Forza, la prossima volta sarà tua!”. Ci ho fatto un quadro».

©Mirco Maestri, Twitter

A far da cornice alla vita ciclistica di Mirco, in cui le corse a tappe sono le sue preferite, ci sono alcune partecipazioni a gare di un giorno – come «la fantastica esperienza alla Strade Bianche: è eroica, forse una delle corse più belle» -, ma soprattutto tanta Cina. Dal 2017, infatti, lo troviamo spesso a correre laggiù nonostante abbia paura di volare. «Non l’ho ancora superata. La parte più dura sono il decollo e l’atterraggio. È uno stress, ma non mi tiro indietro: anzi, sono io che chiedo di andare là. Mi piace come paese: la loro cultura, il loro modo di vivere. Secondo me tanti corridori dovrebbero fare questa esperienza. Qua siamo troppo coccolati, bisognerebbe capire che non tutto è dovuto. In Cina impari ad adattarti».

Le parole di Mirco lasciano trapelare leggerezza e semplicità. Le stesse che lo portano a scherzare sul suo modo di passare il tempo libero. «A me piacciono i videogame, è brutto da dire ma è così: ognuno ha i suoi difetti». Chiarisce anche che il blog e il canale YouTube non sono suoi. «A me non piace mettermi in mostra e fare queste cose qui, perché mi sembra di tirarmela. Gestisce tutto un ragazzo belga, anche il fan club. I suoi nonni abitavano a Luzzara, il mio paese natale, e si è appassionato a me quando sono passato professionista. Quando smetterò mi ha già detto che scriverà un libro su di me».

Al di sotto della libreria che verrà occupata tra qualche anno dalla sua biografia, si trova un comodino in cui Mirco tiene rinchiuso un sogno. «Mi piacerebbe conquistare una tappa al Giro d’Italia o alla Tirreno-Adriatico o in una delle maggiori classiche italiane. Oddio, vincere la Sanremo diventa tosta: diciamo essere protagonista. Sì, vorrei essere protagonista in una di queste corse». Con le sue fughe siamo convinti che, in un modo o nell’altro, troverà il modo di mettersi in mostra, come del resto ha già fatto in altre occasioni.

Perché nonostante le vittorie da professionista di Mirco si possano contare sulle dita di una sola mano – la fuga al Rhodes Tour e una crono individuale al Tour of China -, sappiamo per certo che continuerà a provarci sempre, seguendo il suo motto: insisti e resisti che raggiungi e conquisti. E se in questo periodo di calma piatta, passando tanto tempo con i figli, ha imparato da loro che “andrà tutto bene”, Mirco Maestri nelle gare a venire «andrà a tutta: speriamo in bene».

 

 

Foto in evidenza: ©Dario Belingheri/BettiniPhoto – Per gentile concessione dell’Ufficio Stampa della Bardiani CSF Faizanè