I corridori alla partenza hanno gambe lisce e pulite come quelle delle statue nel cortile della Pinacoteca di Brera. Non sono ragionieri occhialuti e ingobbiti sulle tastiere che restano nascosti dentro palazzi che grattano il cielo, ma sembrano studenti ribelli che si lanciano in strada, mossi dal desiderio di chissà quale primavera. Più che della primavera, questa Milano-Sanremo ha il colore dell’estate. Il caldo si è fatto strada per arrivare sin qui ad osservare la partenza, prima con animo timoroso, poi man mano che i minuti passano, con fare sempre più sfrontato.

La Torre del Filarete sembra un ciclope e con il suo orologio ornato da un sole ispirato alle insegne sforzesche, irradia e colpisce il villaggio di partenza. Valverde è accecante con la sua luminosa maglia da campione del mondo, è in prima fila e un timido sorriso serve a nascondere la tensione; Nibali scherza con pubblico e colleghi, ci sono campioni d’Italia, d’Europa e di Slovacchia: tutti nascondono nei sotterranei del proprio castello ambizioni che sono labirinti e cittadelle celate agli occhi degli avversari.

La partenza è una minestrina per febbricitanti: gli ingredienti sono leggeri e non fanno male alla pancia del gruppo. A parte a quella del povero Van Hooydonck che si ritira quando non è nemmeno l’ora di pranzo, per un virus intestinale. Davanti c’è Maestri: è uno di quegli studenti che non riesce proprio a stare con gli altri. Insieme a Tonelli porta in giro per tutta l’Italia il nome di una ditta di valvole. Con loro corridori diabetici, pedalatori israeliani, uomini di Scinto e Savio che, da bravi impiegati, timbrano puntuali il cartellino.

Dopo aver delicatamente assaggiato le prime ore di corsa, si arriva al Passo del Turchino, che divide l’entroterra dal mare. L’andatura nel gruppo ora è in brusca progressione. Si scollina e sullo sfondo si riflette uno specchio scuro di onde increspate, che fa venire voglia di tuffartici dentro. Troia, Bodnar, Hansen e De Clerq sono le mani di un musicista che pesta forte sui tasti del pianoforte e guidano un treno che sembra trasportare un gruppo di villeggianti pronti a buttarsi dentro al blu.

Il gruppo ora è tiratissimo, una scutigera che insegue pesciolini d’argento. Arrivano i capi; l’ottovolante in testa alla corsa perde i pezzi scontrandosi con le prime pendenze e le prime fatiche, che si accumulano nei muscoli sotto forma di cattivi pensieri e acido lattico. Masnada resta solo davanti e, sulle prime rampe della Cipressa, viene ripreso da un plotone avido e sornione che si allarga quasi in surplace, lungo una linea grigia che taglia in due il tavolo da gioco.

Lungo la discesa parte Bonifazio che fa stridere le gomme. Il suo attacco è impulsivo come un fumogeno, e umorale e pericoloso come un incendio. Il gruppo sulla Via Aurelia si scompone e ricompone, la sua lingua diventa triforcuta, e riprende il ragazzo nato e cresciuto da queste parti con la stessa voracità di un mostro marino.

Arriva il Poggio con il suo svolgimento già scritto che indurisce le gambe dei corridori, elettrizza i tifosi e rende sensata una corsa che per ore è un grande sonno. Si mescolano attesa e paranoia, follia e adrenalina. Gli ultimi chilometri sono un racconto hard-boiled di Raymond Chandler. I corridori sono pallottole che arrivano da tutte le parti. Bettiol allunga ma rimbalza indietro, Alaphilippe lo ferisce, Sagan rientra sul francese e si porta dietro altri cinque pistoleri che si lanciano lungo i tornanti in discesa, alternando sguardi a scatti, rallentamenti a gesti plateali.

Terminata la discesa, il finale è un crescendo rossiniano con attori folli seduti al tavolo da gioco: Trentin mostra in anticipo le sue carte, ma non fa i conti con van Aert che sembra averne di migliori; Mohorič è una tarantola, Naesen e Kwiatkowski assaporano la beffa e provano a battere il banco, Sagan, direbbe Luigi Tenco, è: “Un marinaio in mezzo al mare con un nemico da mandare a fondo”, Alaphilippe ha le sembianze della calunnia ed è come un venticello, che lentamente e progressivamente distrugge tutto. È un gigante, una statua come quelle del cortile della Pinacoteca di Brera. La Milano-Sanremo è sua: non dite che non vi era stato detto.

Foto in evidenza © Claudio Bergamaschi

 

Alessandro Autieri

Alessandro Autieri

Webmaster, Fondatore e direttore editoriale di Suiveur. Doppia di due lustri in vecchiaia i suoi compagni di viaggio e vorrebbe avere tempo per scrivere di più. Pensa che Mathieu Van der Poel e Wout Van Aert siano la cosa migliore successa al ciclismo da tanti anni a questa parte.