L’origine del mondo, o una tappa del Tour de France

Dopo la prima tappa d’alta montagna è il turno della più lunga.

 

 

Che facciamo?, sembra chiedere con lo sguardo Rossetto a Offredo. Non dirmi che vuoi riprovarci anche oggi, nella giornata più… Offredo non fa in tempo a ricordare a Rossetto che la Belfort-Chalon-sur-Saône, con i suoi duecentotrenta chilometri, è la tappa più lunga del Tour de France 2019 che l’atleta della Cofidis si è già profuso nel primo scatto della mattinata, il milionesimo da quando la corsa è partita da Bruxelles sabato scorso. È già passata una settimana: il Tour de France comprime il tempo come fanno solitamente i bei momenti e le belle sensazioni – non i bei ricordi, che al contrario lo dilatano. Insomma, con la scusa di raggiungerlo per rammentargli il chilometraggio, Offredo si trova di nuovo alla ruota di Rossetto con un vantaggio sul gruppo tale da rendere ridicolo qualsiasi espediente che mascheri il rialzarsi della coppia. Offredo e Rossetto non si rialzano tanto facilmente, una volta che sono in fuga al Tour de France.

La Belfort-Chalon-sur-Saône non è soltanto la frazione più lunga di questa edizione, bensì anche la più noiosa: l’arrivo in volata è pressoché scontato e le uniche tre salitelle sono una più pedalabile dell’altra, con la terza che termina a centodieci chilometri dal traguardo. Il senso di tappe del genere continua a sfuggirci, così come non capiamo davvero in che modo possa influire ai fini della classifica generale condensare i Pirenei e le Alpi in centotrenta chilometri. Non siamo così sprovveduti da dimenticare che un senso queste tappe ce l’hanno, ed è sostanzialmente economico: il Tour de France, così come ogni manifestazione ciclistica, non può partire e arrivare dove vuole; deve trovare città, paesi e località che tirano fuori dei bei quattrini e attenersi a questo. Peccato che sia l’idea di fondo, ancor prima che lo spettacolo, a venir meno: è incredibile che ci siano così tante persone disposte ad aspettare cinque o sei ore per uno spannung che dura a malapena un minuto. Offredo e Rossetto vengono in nostro soccorso una volta di più, insegnandoci che essendo il Tour de France intrinsecamente insensato, conviene non pensarci più di tanto, viverlo – e vivere – senza trovarci un senso.

Rossetto e Offredo, tagliando questo spicchio di Francia ad un’andatura piuttosto sostenuta, non riescono a godersi praticamente nulla: né la storia del leone di Belfort, né le terme e le saline di Salins-les-Bains, né tantomeno l’influenza di Gustave Courbet, pittore di Ornans, considerato il capofila del realismo. Rossetto e Offredo si oppongono a questa visione del mondo: sono dei surrealisti, esprimono attraverso la fuga la fantasia e la noia che albergano nel loro inconscio. Gli allievi di Courbet sono Tony Martin, Maxime Monfort e Kasper Asgreen, loro sì dei realisti che guardano la realtà senza filtri, prendendola per quella che è: ci sono una fuga da annullare e una volata da preparare. Rossetto si arrende quando le pennellate dei tre lo sovrastano, Offredo si spreme come un tubetto di tempera per riscoprirsi infine vuoto e secco. Sull’arrivo di Chalon-sur-Saône, i due non si guardano nemmeno ma è come se stessero pensando a qualcosa di più importante: alla prossima scusa per rincorrersi e ingannare il gruppo. La loro prossima fuga è iniziata già oggi, dall’ordine d’arrivo: 168° Rossetto, 174° e ultimo Offredo.

La storia del leone di Belfort – che oggi è comparso sulla maglia gialla di Giulio Ciccone – se la sono fatta raccontare Groenewegen, Ewan, Sagan, e Viviani, che cercavano un modo per passare il tempo in attesa della partenza. Per ringalluzzirsi, a loro è bastato sentire che la Peugeot, le cui tre qualità principali volevano essere la forza, la flessibilità e la velocità, ha tratto ispirazione dal leone di Belfort per realizzare il suo. Il ruolo di leone è toccato a Dylan Groenewegen, il cui ruggito non ha disperso gli avversari ma gli ha permesso comunque di vincere una tappa, la prima – per lui fondamentale – di questa edizione. L’esito di una volata è reale – o realista, o realistico, fate voi – tanto quanto le opere di Courbet; perfino più dell’Origine del mondo, uno dei suoi quadri più famosi: il primo piano di una vulva nascosta da riccioli lunghi e neri, sullo sfondo un seno lasciato scoperto da un lenzuolo bianco. Una fuga di Rossetto e Offredo, la Francia che si riversa in strada per tutta la durata di luglio e una volata del Tour de France non saranno all’origine del mondo, ma all’origine del ciclismo sicuramente sì.

 

 

Foto in evidenza: ©Le Tour de France UK, Twitter

Davide Bernardini

Davide Bernardini

Fondatore e direttore editoriale di Suiveur. È nato nel 1994 e momentaneamente tenta di far andare d'accordo studi universitari e giornalismo. Collabora con la Compagnia Editoriale di Sergio Neri e reputa "Dal pavé allo Stelvio", sua creatura, una realtà interessante ma incompleta.