La classica che chiude il periodo è incerta come non mai.
Quant’è ingannevole il profumo delle classiche: ci ha stordito ancora una volta, facendoci credere che sarebbe durato per sempre; e invece, come ogni anno, siamo qui a piangerne la dipartita, a supplicare rifugio ai caldi pomeriggi delle grandi corse a tappe. La Milano-Sanremo pare cominciata un paio d’ore fa, ebbene sono passati già più di trenta giorni. La Liegi-Bastogne-Liegi chiude un’emozionante stagione: per ogni fedele discepolo della specializzazione, c’è un reazionario che crede ancora che tattica di gara e spettacolo possano portare alla vittoria. Proseguendo nel solco di un immobilismo ormai dimenticato, anche la Liegi-Bastogne-Liegi cambia l’abito per il gran finale. Il grigio traguardo di Ans, in cima a quello strappo che così tante volte ha anestetizzato delle nobili ambizioni, è stato rimpiazzato dal Boulevard d’Avroy, uno dei viali principali di Liegi. Il finale appare incerto, la seconda parte della corsa sicuramente più esigente: Wanne, Stockeu e Haute-Levée vantano pendenze importanti come i loro nomi, e per una Côte de Saint-Nicolas che se ne va, ci sono Redoute e Roche-aux-Faucons che riacquistano quella decisività che le ha rese celebri. La Decana aspetta gli invitati nel centro di Liegi, una scelta ben più raffinata. Ecco cosa ci vuole per conquistare un’elegante e attempata signora: classe.
Jakob Fuglsang
A una serie pressoché infinita di piazzamenti si possono dare due letture diverse: un’incontrovertibile incapacità di vincere oppure un’invidiabile continuità di risultati. Jakob Fuglsang è un po’ questo e un po’ quello: ha ottenuto poco o nulla ma sa bene cos’è necessario possedere per conquistare i palcoscenici più prestigiosi. Lo ha imparato prima agendo da gregario a favore di Nibali e Aru, lo ha capito dopo muovendosi da capitano, ruolo assegnatogli nel miglior periodo della sua carriera, ovvero passati i trent’anni. Fuglsang di anni ne ha rimediati trentaquattro, una decina in più dei vari Formolo, Schachmann, Jungels, tredici in più di Lambrecht, il nome più fresco e più intrigante. Soprattutto otto in più di Alaphilippe, il favorito principale e il peggior collega che Fuglsang potesse trovarsi accanto negli ultimi quarantacinque giorni: Alaphilippe ha vinto spesso e volentieri, Fuglsang avrebbe vinto volentieri ma spesso si è dovuto accontentare di quel che buttava il convento. Non una brutta pescata, comunque: il danese va forte da febbraio, è reduce dalla primavera più colorata che gli sia mai capitata ed è sostenuto da una delle squadre più complete, adatte e in forma del lotto. Il nono posto del 2015 e il decimo dello scorso anno sembrano facilmente migliorabili: per riuscirci, però, dovrà muoversi da lontano. E sperare che sulla sua ruota non balzi Alaphilippe.
Michał Kwiatkowski
La primavera di Michał Kwiatkowski va divisa in due parti: nella prima ha inanellato un piazzamento dietro l’altro, terminando l’UAE Tour al decimo posto, la Parigi-Nizza e la Milano-Sanremo al terzo, senza dimenticare la classifica a punti nella breve corsa a tappe francese. Pur non avendo mai vinto, il polacco ha sfoggiato la costanza e la duttilità che gli hanno permesso di ritagliarsi un posto al sole nel ciclismo di prima fascia . La seconda parte della primavera era iniziata nello stesso modo in cui s’era conclusa la prima: con due terzi posti nelle prime due tappe dei Paesi Baschi. Poi, improvvisa e maledetta, la caduta che costò il ritiro anche ad Alaphilippe. Come il francese, anche Kwiatkowski tirò i remi in barca e optò per l’abbandono. Il corridore visto tra Amstel Gold Race e Freccia Vallone è volitivo ma inconcludente: undicesimo nella classica olandese, sedicesimo sul Muro di Huy. Rientra tra quegli atleti indifferenti al cambio di percorso: regolare sul passo, discreto in salita e lesto in una volata ristretta, Kwiatkowski ha nell’adattamento al fluire della corsa la sua qualità più marcata. Al suo servizio c’è un Team Sky giovane e tutt’altro che impressionante: Puccio e Gołaś verranno impiegati nella prima metà di gara, il rendimento di Poels e de la Cruz è altalenante, Dunbar e Geoghegan Hart hanno nella giovane età il maggior pregio e il maggior difetto. Dopo due terzi posti, Kwiatkowski continua a ballare intorno alla Liegi-Bastogne-Liegi senza riuscire ad abbracciarla.
Adam Yates
Adam Yates ha preso parte alla Liegi-Bastogne-Liegi soltanto due volte: nel 2016, edizione funestata dal maltempo, arrivò quasi tre minuti dopo Poels; nel 2017, invece, concluse ottavo a soli sette secondi da Valverde, Daniel Martin e Kwiatkowski, il podio di quell’edizione. Settimo quel giorno fu Michael Albasini, ormai lontano parente del corridore che fino ad un paio di stagioni fa rappresentava uno degli spauracchi principali delle corse vallonate, ma compagno di squadra, oggi come allora, di Adam Yates: insieme a Impey, saranno i due gregari più preziosi a disposizione del britannico. Lo stato di forma che lo assiste praticamente dall’inizio dell’anno dovrebbe resistere. A suo favore depongono i vari successi parziali arrivati in tappe dal percorso nervoso e selettivo, basti ricordare quella di Filottrano alla Tirreno-Adriatico 2018; va detto, tuttavia, che Adam Yates non si è mai distinto nelle classiche: della Liegi-Bastogne-Liegi abbiamo già detto, del Giro di Lombardia non c’è nulla da dire perché in quattro edizioni il miglior risultato è stato il ventinovesimo posto del 2018, quindi rimangono i due successi nel Gran Premio di Larciano (2014 e 2017) e quello alla San Sebastian di quattro anni fa. Potrebbe pagare la distanza e l’inesperienza, ma i suoi avversari non possono permettersi di sottovalutarlo: mai come quest’anno, Adam Yates avrebbe buon gioco attaccando da lontano.
Daniel Martin
Cosa si può dire di un corridore così imprevedibile, che alterna cadute e vittorie in maniera insensata, capace dell’attacco più rischioso come del tonfo più inaspettato? Guardiamo i numeri, sperando che la loro freddezza ci indichi una via. La Liegi-Bastogne-Liegi 2019 sarà la dodicesima per Daniel Martin. Vi prende parte ininterrottamente dal 2008 e i risultati rispecchiano l’unicità del personaggio: un successo, un altro buttato alle ortiche per una scivolata all’ultima curva, un secondo posto, un quinto, due ritiri e le restanti cinque edizioni terminati dal diciottesimo posto in poi. Conosce queste strade come pochissimi altri, l’unico dei partenti insieme a Philippe Gilbert ad aver trionfato tanto alla Liegi-Bastogne-Liegi quanto al Giro di Lombardia. Cosa significa tutto questo? Che Daniel Martin, la cui indole non lo terrà in sella fino ai quarant’anni, ne compirà trentatré ad agosto e potrebbe essere quindi ad una delle ultime recite ad alti livelli sulla scena della Doyenne; che è uno dei corridori più adatti alle corse vallonate; che sta bene, avendo chiuso i Paesi Baschi al secondo posto; e che, dunque, ha tutto quello di cui ha bisogno per ripetersi: perfino la squadra, con Rui Costa, Ulissi, Henao e il rampante Pogačar a tenerlo davanti e rialzarlo da terra. Se non si demoralizza, se non cade e se non resetta il cervello, è pericoloso tanto in salita quanto in volata.
Vincenzo Nibali
Mai, negli ultimi anni, Vincenzo Nibali era arrivato così bene alla Liegi-Bastogne-Liegi. L’ultima volta fu nel 2013, quando due giorni prima della Doyenne conquistò il Giro del Trentino. Eppure si classificò ventitreesimo a un minuto da Daniel Martin. Per trovare il suo piazzamento migliore, bisogna tornare indietro di un altro anno ancora: era il 2012, infatti, quando Maxim Iglinskiy lo riacciuffò e seminò a poche centinaia di metri dall’arrivo, relegandolo al secondo posto. Prima di allora, Nibali fu decimo nel 2008 e ottavo nel 2011; dal 2012 ad oggi il risultato più importante è il tredicesimo posto di quattro anni fa. Considerando che i percorsi del campionato del mondo e della prova olimpica variano ad ogni appuntamento, si può affermare che la Liegi-Bastogne-Liegi è l’unica, grande corsa che manca nel palmarès di Vincenzo Nibali. La lunghezza e i tanti chilometri di salita gli strizzano l’occhio, mentre l’eccellente stato di forma di corridori veloci come Matthews e Alaphilippe e la seconda parte di corsa rivoluzionata lo obbligano a buttarsi ben prima della Roche-aux-Faucons. Mohorič e Teuns possono addirittura sperare di giocare le proprie carte nel caso in cui Nibali saltasse, Caruso ha il compito di far sì che questo non succeda. Attualmente, nel gruppo non c’è nessuno che abbia il palmarès, la classe, lo stato di forma e la fantasia di Vincenzo Nibali: magari non vuol dire niente, forse potrebbe bastare.
Julian Alaphilippe
Julian Alaphilippe: chi se non lui? Favorito numero uno senza ombra di dubbio, attorno a sé una Deceuninck almeno sulla carta meno forte rispetto alle pietre, ma che vedrà nel francese la sua punta e il faro della corsa. Milano-Sanremo, Strade Bianche, Freccia Vallone: ora è il momento di prendersi anche la Liegi-Bastogne-Liegi per un filotto record senza precedenti. A immaginarci diversi scenari, compresa la possibile volata di venticinque, trenta corridori, in tutti il suo nome non esce dai primi tre posti. In una volata ristretta o allargata, potrebbe essere imbattibile, la corsa dura gli piace così come attaccare da una distanza medio/breve (una battaglia che si accende sulla Redoute, ad esempio), in caso di azione che va via sulla Roche aux Faucons difficile immaginare che il numero uno del ranking UCI possa farsi sorprendere. Mancherà il suo spauracchio Mathieu van der Poel, toccherà quindi ad altri sussurrare alle proprie gambe e farsi guidare dalla testa cercando l’invenzione giusta per provare a batterlo. Ve lo diciamo già adesso: sarà difficile.
Romain Bardet
C’è un nome che gira parecchio in queste ore nella testa della redazione: Romain Bardet. All’Amstel Gold Race si è fatto vedere davanti provando più volte ad attaccare, com’è nella sua indole; sul Muro di Huy non ha brillato, anzi, ma resta pur sempre corridore che qui alla Liegi-Bastogne-Liegi (anche se in un finale differente rispetto a quello di quest’anno), ha concluso: tredicesimo nel 2013, decimo nel 2014, sesto nel 2015, tredicesimo nel 2016, sesto nel 2017 e terzo lo scorso anno, preceduto nella rampa finale solo da Michael Woods, mentre Bob Jungels davanti già si concedeva a fotografi e televisioni. Bardet ha fantasia, ama la corsa dura, col maltempo non si tirerà indietro: è un capitano che si butta nella battaglia, ma è corridore al quale anno dopo anno sembra sempre di più mancare qualcosa per la grande vittoria. Un grosso punto interrogativo persiste nel suo palmarès: ha vinto poco, se non pochissimo, e solamente in Francia, ma quest’anno nelle grandi classiche abbiamo visto sfatarsi diversi tabù. Chissà che non possa essere il suo turno.
Bjorg Lambrecht
Cercate un corridore tagliato su misura per le corse delle Ardenne? Cercate il corridore migliorato maggiormente in questo inizio di stagione? Cercate quello che dopo Julian Alaphilippe ha ottenuto i migliori risultati tra Brabante, Freccia Vallone e Amstel? Eccovi serviti Bjorg Lambrecht. Nato a Gent, ma troppo leggero per essere adatto alle pietre, il piccolo (davvero piccolo) scalatore belga classe ’97, dopo essere stato una se non la più importante realtà per le corse di un giorno dure nelle categoria giovanili, è diventato in pochi mesi una realtà solida. Un anno di apprendistato il suo, lo scorso, condito dall’argento mondiale Under 23 sul durissimo tracciato di Innsbruck e dal quarto posto nella frazione che arrivava a La Camperona alla Vuelta ed ora eccolo scalare le gerarchie del ciclismo mondiale. Non ha paura ad attaccare, non il solito corridore che ottiene piazzamenti facendo dell’attendismo la sua arma migliore, ma uno che ama il gioco rischioso e il vento in faccia, caratteristiche fondamentali per emergere in questo ciclismo targato 2019. Qualcuno però spieghi alla Lotto Soudal che è arrivato il momento di puntare su di lui e lasciare magari a Vanendert e Wellens, corridori tutt’altro che vincenti, il ruolo di guastatori. Anche se a parole il piccolo Bjorg al momento si vede in terza fila nelle gerarchie della squadra belga.
Maximilian Schachmann
Se fosse un pugile picchierebbe come un fabbro. Se fosse un calciatore sarebbe qualcosa di simile a Diego Costa, se fosse fuoco incendierebbe le strade. Maximilian Schachmann è un cucciolo che in pochi mesi si è fatto adulto, diventando un famelico predatore che di prepotenza vuole comandare il branco. Chiedere a Davide Formolo, uno che se li mettiamo vicini sembra più piccolo di dieci anni e invece è più vecchio di due, quando nel finale della Freccia Vallone si è sentito urlare in faccia “Vai davanti a tirare“. Schachmann è corridore vero. Uscito dalla Quick Step lo scorso anno (vittoria di tappa al Giro e ottavo alla Freccia Vallone) qualcuno vide come un passo indietro il suo passaggio in Bora-Hansgrohe. Invece nel 2019 le vittorie sono già cinque e tutte con il piglio del corridore a cui piace dominare. La sua arma migliore sembra l’attacco da lontano, ma sarà marcato a vista pur potendosi giocare con i suoi compagni di squadra (il già citato Formolo, ma occhio anche a Konrad) qualche mossa per sparigliare le carte. È un cagnaccio, non è mai andato così forte e il percorso è dalla sua, ma se vuole vincere dovrà sbarazzarsi di tanti corridori più veloci di lui.
Michael Matthews
Chi invece può prendersi il lusso di non arrivare da solo è Michael Matthews. L’australiano è il più atipico tra i velocisti, il più atipico tra gli uomini per le Ardenne e quest’anno si è scoperto persino forte sul pavé. Una costanza di rendimento dopo la brutta caduta a inizio stagione fanno di questo eterno piazzato del grande ciclismo un corridore da tenere d’occhio anche per la Liegi di domenica. La sua squadra avrà due carte: la sua è buona per diversi scenari, quella invece di Tom Dumoulin sarà da giocare magari in anticipo o contropiede, sarà utile per corsa dura e potrebbe anche permettere a Matthews di restare coperto. Il nuovo percorso, se affrontato per far male, potrebbe risultargli indigesto e le salite più lunghe rispetto a quelle sin qui affrontate nelle altre classiche rischiano di assumere un profilo che suona come una sentenza. Se poi sarà abile a restare con i migliori e a non farsi staccare nemmeno sulla dura Côte de la Roche-aux-Faucons allora saranno dolori per gli altri e quel rettilineo è ritagliato come un abito su misura per il classe ’90 di Cranberra, deciso a far suonare i suoi anelli nell’arrivo di Liegi.
Gli Altri
Abbiamo volutamente lasciato fuori Valverde, consapevoli dell’inganno e consapevoli di parlare di colui che su queste strade ha dominato nella sua epoca vincendo la sua prima Liegi nel 2006 e la sua quarta nel 2017. Il campione del mondo non ha destato grandi impressioni nell’avvicinamento a questa corsa: ottavo al Fiandre, lontano all’Amstel, undicesimo alla Freccia (peggior risultato dal 2012). Mancanza di esplosività e determinazione rispetto al passato e per la prima volta dopo anni ci siamo ritrovati un Valverde che arriva silenzioso alla sua corsa. Fondo e classe però potrebbero fargli scalare velocemente le gerarchie nella corsa di oggi, prevista bagnata e quindi massacrante come piace a lui. Un altro vincitore del passato che non figura nella lista è Gilbert; soddisfatto dalla Roubaix, il belga sarà la seconda punta in casa Deceunink, guai a sottovalutarlo. Detto del terzetto Lotto Soudal, per il Belgio merita una menzione Greg Van Avermaet, che potrebbe anche attaccare alla distanza come in passato gli riusciva spesso e volentieri. La lista degli outsider aumenta col passare delle righe: Madouas e Clarke in evidenza all’Amstel vorrebbero vivere una giornata di gloria anche tra le côte belghe, ma il percorso potrebbe essere troppo esigente per loro. Dello stesso avviso Woods già sul podio qui, ma senza la rampa finale sul quale potersi scatenare; i fratelli Izagirre, mezze punte di un’Astana sulla carta fortissima e che conterà anche su Lutsenko e Luis León Sanchez. La UAE oltre a Dan Martin schiera Ulissi, Henao, Rui Costa e Pogačar da seguire, mentre in casa Bahrain Caruso e Teuns saranno alternative a Nibali. Formolo, Battaglin, Bettiol e De Marchi sono le carte migliori dopo il siciliano per l’Italia, mentre il Gasparotto visto alla Freccia potrebbe essere l’uomo di punta in casa Dimension Data, più di un inesistente Valgren e di un malconcio Kreuziger. In casa Jumbo-Visma, dopo aver schierato autentiche corazzate sul pavé, soffrono sulle Ardenne e i migliori uomini risultano essere De Plus, Gesink e Tolhoek. In casa Trek dell’ultimo minuto è la notizia dell’assenza di un Mollema in evidenza all’Amstel e dunque la corsa si poserà sulle spalle di Ciccone e Skujins, con Conci qui per fare esperienza. Capitolo Team Sky: sarà l’ultima grande classica della sua storia e i corridori vorranno lasciare il segno sulle strade della loro prima vittoria in una monumento. Oltre a Poels, altro vincitore di questa corsa, e che regalo agli antennisti proprio il primo successo in una monumento e in una giornata funestata dal maltempo, e al già citato Kwiatkowski, occhio a Tao Geoghegan Hart in grande condizione e dotato di un buon finale in caso di arrivo di un gruppetto. Se Albasini potrebbe risultare pericoloso con la pioggia, ma le trentotto primavere non sono dalla sua parte, i nomi degli altri svizzeri Hirschi e Müller si segnalano per oggi, ma anche per il futuro. La Francia, infine, non vive di soli Alaphilippe e Bardet (o del rampante Madouas): da seguire la corsa di un Calmejane mai troppo in evidenza in questo scorcio di stagione, anche se una corsa come la Liegi sembra tagliata su misura per il francese. E per chiudere Guillaume Martin, corridore dal quale si attende da troppo tempo la consacrazione definitiva.
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