C’era un inviato al Giro Rosa

Frequentare la carovana del Giro Rosa è un’esperienza unica e irripetibile.

 

 

La cosa migliore che può capitare ad una corsa è avere un quaderno, un foglio o un’agenda ed essere muniti di una penna. Un giornalismo di vecchia data, che resta sulla strada sfidando bronchiti e malanni vari per il gusto di raccontare. Accade così che in quel quaderno si segnino degli appunti, delle impressioni: alcune verranno usate per dei pezzi giornalistici, altre resteranno lì, in attesa di attingervi al momento opportuno. Durante l’ultima edizione del Giro Rosa ho accumulato un bel po’ di materiale – tecnico, giornalistico, sensoriale; una buona parte dello stesso, almeno in un primo momento, era rimasta inutilizzata, finché non è confluita nelle righe che state per leggere.

5 luglio 2019

Leonora Geppi all’arrivo della prima tappa. ©Stefano Zago, Suiveur

Castellania. Parliamo un attimo di cinque ragazze: Leonora, Kseniia, Danielle, Elena e Alessia. Leonora è Leonora Geppi. La sua squadra, Conceria Zabri, è arrivata ultima oggi. Lei è arrivata gridando “aiuto” e fermandosi in mezzo alla strada. Sono corsi in due a sorreggerla. Si è buttata lo stesso per terra. Ha sorseggiato dell’acqua e l’ha sputata, quasi con un conato di vomito. Respiro affannato, pulsazioni chissà a quanto. Ci ha messo dieci minuti a calmarsi. Chiedeva acqua e la sputava, si bagnava il collo e ansimava. Alla fine si è lasciata andare. Si è arresa adagiandosi tra le braccia di un componente dello staff. Occhi chiusi. Un respiro lungo.

Quando è risalita in bici le hanno detto: “Tu frena solo, ti spingo io”. Kseniia è Kseniia Dobrynina, team Servetto. Kseniia è arrivata al traguardo correndo a piedi con la bici in mano. Non poteva fermarsi, non poteva cambiare bici. Era la ragazza su cui sarebbe stato preso il tempo. Un componente del suo staff appena l’ha vista dopo il traguardo ha gridato: “Aiutatela, è sfinita!”, ed era davvero così. Si è fermata per qualche minuto con le mani sulle ginocchia. Poi a terra. Sguardo perso. La bici gliel’hanno portata via, ormai non le serviva più. Danielle è Danielle Christmas della Lotto Soudal Ladies. Appena arrivata, Danielle si è gettata malamente a terra. Ha continuato a rigirarsi da un lato all’altro per qualche minuto. Dolore, stanchezza, sembrava volesse piangere e non ci riuscisse. Nausea, vomito.

Hanno chiamato i soccorsi mentre si contorceva. È arrivata la barella. Poi la barella è andata via, vuota. Danielle si è rialzata da sola. Ha fatto tre soste appoggiata alla transenna e fiancheggiata dallo staff nei cento metri successivi. Ma non sulla barella. A piedi. Pensa te. Elena e Alessia sono Elena Pirrone e Alessia Vigilia della Valcar-Cylance. Sul traguardo è passata prima Elena. Alessia alla ruota. Entrambe affaticate, Alessia forse di più. Un respiro corto, la voglia di fermarsi. Elena era davanti, stanca. Avrebbe potuto tirare dritto e andare a riposarsi e poi a cambiarsi. E invece no. Si è voltata, l’ha guardata: “Non fermarti, Ale. Non fermarti. Non fermarti.” Perché se ti fermi poi è tutto più difficile.

8 luglio 2019

©Emanuela Sartorio

Carate Brianza. Certo che in quei duecento metri dopo il traguardo c’è di tutto. Letizia Borghesi piange incredula. Le compagne le prendono il volto tra due mani, come a dire “Quanto sei bella”. Maserata di sudore e con lacrime che si suicidano buttandosi dagli occhi su un asfalto rovente: è davvero bella Letizia Borghesi. Le passano un telefono: “Ho vinto!”. Dall’altra parte non capiscono, probabilmente: “Ho vinto io! Ho vinto io!”. Michela Balducci non sa da subito che a vincere è stata la sua compagna: la volata con Nadia Quagliotto è incerta dai teleschermi, figuriamoci dal gruppo. Appena arriva guarda un componente dello staff, solo uno sguardo. “Abbiamo vinto”, le dicono. Urla di gioia. Stringe Letizia contro il suo viso.

Le ragazze del Team Vaiano si buttano tutte su Letizia. Lei piange, poi ride, poi scuote la testa e non ci crede. Sul palco farà fatica ad aprire lo spumante e “lavare” i fotografi per festeggiare. Letizia non è abituata e forse è meglio così, forse anche per questo oggi è più bella che mai. Perché si sorprende, si stupisce. Nadia Quagliotto si maledice. Non riesce nemmeno a buttar fuori tutto quello che ha dentro. Anche i fotografi arrivano a consolarla. Dieci minuti dopo nel retro del palco premiazioni c’è una ragazza del Team Vaiano che le si affianca mentre è seduta: muta, sguardo nel vuoto. È Letizia Borghesi. Sì, la ragazza che ha vinto. La guarda, le accarezza la spalla, il volto. Quasi a dire: “Non succederà più”. Sul palco le tre ragazze si stringono. La stretta di Letizia a Nadia è più forte. Sembra un: “Dai, che la prossima volta vinci tu.”

Nadia nel retro palco non ci crede. Molla i fiori. Occhi bassi. Avrà bisogno di tempo per crederci. Ma ci crederà più forte di prima. Come quel bambino che è stato cinque minuti ad osservare Marianne Vos bere e sistemarsi dopo il traguardo, poi ha guardato papà e ha detto: “Da grande voglio fare il ciclista.” Nadia e quel bimbo ci crederanno assieme. Come Letizia Borghesi ci ha creduto fino ad oggi. Ed ha vinto.

12 luglio 2019

Leah Thomas all’arrivo di tappa a Maniago: fondamentale il suo apporto per il successo della compagna Banks. ©Stefano Zago, Suiveur

Maniago. Per parlarvi della giornata di oggi potrei parlarvi di Elizabeth Banks, arrivata al traguardo a tutta e rotolata a terra piangendo sotto il diluvio. Potrei parlarvi del Team Bigla e di quanta famiglia ci sia lì. Potrei parlarvi della mamma di Soraya Paladin, che ci ha protetto con un ombrello al traguardo e al terzo posto della figlia saltava letteralmente nelle piccole pozzanghere del centro per la gioia. Potrei parlarvi di Leah Thomas e in un certo senso lo farò. Potrei dirvi di tutte le volte che ha gridato a Elizabeth “I did it for you“: l’ho fatto per te, riferendosi alla sua azione nel gruppo inseguitore. Potrei dirvi del sudore misto ad acqua scambiato in tutti quegli abbracci fra compagne. Inzuppate di acqua, ma felici.

Invece vi parlerò di quella macchiolina di sangue sulla sua spalla. Sulla spalla di Leah Thomas. Non l’avevo vista. Credo nessuno l’avesse vista. Non i fotografi, non le altre compagne, non i colleghi giornalisti. L’ha vista Cecilie Uttrup Ludwig, altra atleta del team Bigla. Cille, dopo 133 chilometri, due salite e il nubifragio, dopo otto tappe, ha gioito e stretto tutte le compagne per qualche secondo e poi si è fermata. Sguardo alla spalla di Leah: “What happened there?”, cosa è successo lì? Ha notato una minuscola macchiolina di sangue e si è preoccupata di quella. Un secondo. Poi, la rassicurazione di Leah e la festa che continua. Quanta differenza fanno i dettagli.

14 luglio 2019

Le compagne di squadra di Marianna Vos sorridono attorno al proprio capitano al termine delle fatiche del Giro Rosa Iccrea 2019. ©Stefano Zago, Suiveur

Udine. Oggi Marianne Vos ha vinto la sua quarta tappa al Giro Rosa 2019, l’ultima di quest’anno. Appena è arrivata, si è distesa, d’altronde la fatica tocca anche i titani. Sul prato, dopo l’arrivo, dov’era sdraiata lei è arrivata ben presto Moolman-Pasio. Le ha fatto i complimenti, si è seduta. Con una salviettina ha iniziato ad asciugarsi il sudore. Vos era distrutta. Chiudeva anche gli occhi per la stanchezza, si teneva il costato. Quando ha sentito (sì, sentito, perché non può averla vista, era rivolta dall’altra parte) Moolman-Pasio che la guardava, si è tirata su a forza, da seduta le si è avvicinata e l’ha abbracciata e baciata sulla guancia, mani delicatamente sulle spalle.

Guardate l’ultima foto. Il primo sguardo di Moolman a Vos non l’ho colto con una foto. Questo sì. Questo è dopo quell’abbraccio, dopo quel primo sguardo intuito. Qui le parole non arrivano. In questo guardo c’è riconoscenza, stima, tenerezza, c’è qualcosa di buffo, c’è qualcosa di estremamente allegro e una punta di malinconia. C’è fiducia ed incredulità. C’è tutto il pendere dalle labbra di una persona e il desiderio di parlare. Marianne questo sguardo se lo merita. Per tenerezza ha messo da parte ossa rotte, respiro corto, stanchezza e tutto il male che può esserci dopo 940 chilometri di Giro d’Italia.

E fidatevi che, dopo il Giro, il male c’è. Per molte ragazze, ovunque. Se esci dal tuo io per andare verso gli altri, anche quando vorresti solo fossero gli altri a venire da te, succede questo. Ti conquisti un pezzetto di sguardo. E lo sguardo degli altri vale, vale tantissimo. La sguardo degli altri ti mette al mondo nuovamente. Ma per quello sguardo devi rischiare. Rischiare di sentire ancora più male a tutte le ossa, perfino i crampi come Marianne Vos, ad esempio. Se non rischi, forse è giusto che quello sguardo vada altrove. E questo non spiega tutto, ma molto sì.

 

 

Foto in evidenza: ©Stefano Zago, Suiveur

Stefano Zago

Stefano Zago

Redattore e inviato di http://www.direttaciclismo.it/