Alexander Konychev ha tempo e margine a disposizione per crescere.
Alexander Konychev, prima calciatore e poi corridore, spiega che tra questi due sport, il pallone e il ciclismo, ci sono talmente tante differenze che non vale la pena di elencarle tutte. Ne basta una che faccia da compendio: il calcio è un gioco, il ciclismo no. Una bella frase, va detto: sentirla fa sempre un certo effetto. Ma non basta: forse perché a forza di ripeterla ha perso potenza, forse perché Konychev è arrivato al ciclismo con pochissima romanticheria. Per fare qualcosa durante il recupero da una pubalgia, la sua squadra gli consiglia di iniziare a pedalare; un giorno, mentre lui e suo papà stanno andando a vedere una partita dei ragazzi, Alexander sente le gambe improvvisamente svuotate. Chiede a suo padre di dargli la bicicletta da strada al posto della mountain bike e, una volta sopra, Konychev si rende conto che pedalare non sarà un gioco, ma se uno c’è portato i pedali girano a meraviglia.
Del calcio gli è rimasta l’attrazione per David Beckham e il piacere di praticarlo, tant’è che appena la stagione glielo permette partecipa volentieri a qualche partitella. Insomma, nonostante un padre da quattro vittorie al Giro d’Italia, altrettante al Tour de France e un paio di medaglie mondiali, per vedere Alexander Konychev su una bicicletta da corsa c’è voluta una pubalgia e i consigli spassionati di una società calcistica.
“Se non sento particolari pressioni, è proprio grazie al percorso che ho fatto. Sono arrivato tardi nel ciclismo e fortunatamente, almeno per ora, vado abbastanza bene: non ho niente di cui preoccuparmi”.
Nemmeno del cognome, dunque. “Sono consapevole che il mio cognome sia conosciuto da tanti, ma la cosa non mi spaventa: più che un peso, è una motivazione”. E Dmitrij, essendo uno dei direttori sportivi della Katusha, non ha nemmeno troppo tempo libero a disposizione.
“Ci vediamo poco, abbiamo molti impegni, ma indovinate di cosa parliamo quando siamo insieme?”.
Il tempo è un fattore che ritorna spesso nelle parole di Alexander Konychev: è consapevole della sua importanza e di averne tanto a disposizione. Dice, ad esempio, che ha tempo per limare qualche chilo di troppo, essendo di costituzione robusta e di bocca buona; oppure, che si è appassionato al ciclismo in tempi recenti: il campionato del mondo conquistato da Kwiatkowski a Ponferrada è uno dei primi momenti ciclistici che ricorda nitidamente, oltre ad essere la corsa che gli ha toccato le corde giuste; infine, afferma tirandosi le orecchie da solo, avrà tempo e modo di allenare la malizia e la fiducia in se stesso, “perché spesso sono troppo buono e tranquillo, il mio pregio e allo stesso tempo il mio difetto”. Considerando che la gara dei sogni è la Parigi-Roubaix, di mestiere gliene servirà molto.
Di tempo al Giro d’Italia Under 23, invece, ne manca poco, appena qualche giorno. E Alexander Konychev, che giustamente si definisce un passista-scalatore, ha già messo nel mirino il prologo d’apertura: in caso di vittoria, va da sé, ci sarebbe una maglia rosa da indossare. Per il momento, Konychev si gode il salto di qualità fatto registrare negli ultimi mesi: merito della Dimension Data, la Continental che funge da vivaio per la squadra del World Tour. “Partecipiamo ad eventi importanti, impariamo l’importanza della programmazione e dell’organizzazione; e poi le formazioni dilettantistiche italiane corrono troppo: a volte anche tre volte a settimana e sempre per vincere. Lo scorso anno arrivai stanco al Giro d’Italia perché avevo già quaranta giorni di corsa nelle gambe: troppi”. Ha ragione, Konychev, a dire che c’è tempo: c’è il tempo per allenarsi e il tempo per gareggiare, quello per riposarsi e quello per migliorare, quello per sbagliare e quello per crescere. E soprattutto dovrebbe esserci il tempo di correre nella maniera giusta: necessario, mai esasperato, se si vuole che l’uomo non soccomba all’atleta.
Foto in evidenza: ©Freddy Guérin, DirectVelo